A Peppino non piacerebbe

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«Quanto è distante la tua generazione dalla gioventù odierna che aderisce alle iniziative col “mi piace” su facebook?». La risposta di Giovanni Impastato al giornalista che appena un mese fa lo intervistava in occasione di un incontro presso le Officine Cantelmo di Lecce rappresenta la cifra dell’abisso che separa  la società dei giovani d’oggi da quella di ieri: quella della lotta in strada a difesa della legalità. Quella stessa lotta che è costata la vita a suo fratello Peppino, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978 a soli 30 anni. “Oggi difficilmente si crede: gli ideali mancano e difficilmente si ha fiducia nell’impegno e nelle  lotte”, spiegava Giovanni Impastato. E tuttavia si tratta di distanze, a suo dire,  in qualche modo recuperabili: “Spetta a noi, con il nostro impegno quotidiano, cercare di coinvolgere le nuove generazioni e portarle all’impegno per la legalità. Per questo dobbiamo lottare fino in fondo per cercare di portare avanti i valori che erano di Peppino e di tutte quelle persone che in questi anni sono morte perché hanno lottato per la libertà e per la democrazia in questo nostro Paese”.

Tra qualche giorno sarà di nuovo 9 maggio, e come ogni 9 maggio da trentaquattro anni a questa parte un fiume scomposto di giovani si riverserà per le strade di Cinisi e Terrasini per commemorare (che brutta parola!) il giovane Peppino morto ammazzato per avere difeso i suoi ideali. Come ogni anno ci sarà spazio per dibattiti e convegni, ai quali anche quest’anno, come ormai da un po’ di tempo, prenderanno parte solo pochi giovani: un granello di sabbia rispetto a quel migliaio di ragazzi che affollerà l’area campeggio in attesa del corteo delle 17. E che attesa! Chitarre e jambè risuoneranno nell’aria per tutta la mattinata, ad accompagnare cori di riscatto e libertà intonati a squarciagola tra un bicchiere  di vino (o di birra) e l’altro, seduti in capannelli a godere del piacere di ritrovarsi uniti a trascorrere una giornata … diversa. Se ci aggiungi un paio di  cannoni di hascisc di quello buono allora la giornata l’hai svoltata davvero.

Negli ultimi anni a Cinisi ci sono stato diverse volte, e ogni volta sono ritornato a casa con l’amaro in bocca. E non era quello dell’hascisc, s’intende. Si tratta di una strana sensazione d’impotenza che s’impasta ad un sentimento di rabbia misto ad autocommiserazione. È la consapevolezza di appartenere a quella generazione disgraziata che i “grandi” continuano ad etichettare come “senza valori”. Di chi siano le responsabilità – se le nostre o le loro – non saprei dirlo. E del resto poco importa: analisi del genere lasciamole volentieri a quegli opinionisti usi a stravaccarsi nei salotti televisivi di qualche talk show da prima serata. Ciò che invece importa è quel senso di smarrimento che nella progressiva erosione dei tradizionali punti di riferimento, delle certezze e delle prospettive di vita sembra aver determinato la scomparsa del “futuro” e di ogni forma di progettualità. Crollano le speranze e le attese utopiche, mentre diviene centrale l’esperienza del tempo presente, l’hic et nunc, il “vivere alla giornata”. «Oggi tutto sembra congiurare contro i vincoli permanenti, i progetti che durano una vita intera, obbligando gli attori sociali a scelte e revisioni continue in una successione di situazioni sempre diverse», scrive Bauman. Ed eccoci infine invischiati in quel processo d’individualizzazione che sempre più si caratterizza dal diffondersi di un sentimento di insicurezza che diviene condizione normale della vita quotidiana e che incide profondamente sul senso delle identità sia individuali che collettive. Insomma, ci siamo dentro fino al collo. E se passi da Cinisi per il 9 maggio difficilmente potresti non accorgertene.

E allora torniamo a Cinisi: si son fatte già le 17 e il corteo s’appresta a mettersi in marcia da Terrasini, di fronte alla sede di Radio Aut, in direzione Casa Memoria. Il serpentone variopinto si allunga tra gli stretti vicoli del centro, da cui partono slogan e frasi fatte urlate rigorosamente coi pugni chiusi levati verso il cielo. “Pd, Pdl, Mpa … la mafia è tutta qua!”, “Peppino è vivo e lotta insieme a noi” e così via. Il colpo d’occhio mostra un tappeto di bandiere rosse di Rifondazione e dei Comunisti Italiani stese in file multiple dietro un furgoncino apripista su cui  campeggiano due enormi casse che sparano a palla dell’assordante musica ska. Di fianco alcuni barilotti di birra ghiacciata da poter acquistare alla modica cifra di un euro e mezzo a bicchiere. E prima di rendertene conto sei già finito nel bel mezzo di un gigantesco party in movimento, una specie di sfilata di carri allegorici come quelle che puoi ancora vedere in alcune piccole realtà provinciali, con tanto alcol e tanto frastuono. Solo che a Cinisi al posto delle maschere i giovani sfoggiano le loro magliette rosso sgargiante con la faccia assorta di Peppino stampata sul davanti. Lungo il corteo non si parla di mafia, né di legalità. Tantomeno di progettualità. È solo una festa. Ed è appena iniziata.

Appena giunti sul corso principale di Cinisi, tra la casa di Peppino e quella di Tano Badalamenti, il fiume di gente si scioglie in mille rivoli disordinati. La gran parte si accalca a ridosso di bar e rosticcerie, una minoranza fa visita a Casa Memoria, tempio laico dell’eroe popolare. Qualcuno lascia un commento sul grande quaderno posto vicino all’ingresso: se lo sfogli ti accorgi che la maggior parte dei commenti hanno molto a che fare con l’esigenza di comunicare al mondo: “io c’ero!”. Poche riflessioni, poca sostanza. Intanto per strada si continua a ballare, saltare, bere, mangiare, bere, fumare, fumare, bere, bere, bere. Il sole è già calato da qualche ora e il corso è stracolmo di gente per l’affluenza degli abitanti di Cinisi e dell’hinterland. Tutti pronti per il concertone finale. Quest’anno toccherà ai Modena City Ramblers, autori del pezzo “I cento passi”: quello che nei cortei del 9 maggio “spacca” più di tutti. I ragazzi ne saranno entusiasti.

Ma la progettualità? La forza delle idee? Il coraggio – lucido! – di provare a cambiare le cose? “Peppino – ha affermato di recente Giovanni Impastato -rappresenta un punto di riferimento importante, non tanto un eroe, perché noi credo in questo momento non abbiamo bisogno di eroi ma abbiamo bisogno di persone che ci indichino il percorso giusto per arrivare alla legalità, all’impegno civile e soprattutto alla rottura con la mafia”. Dice bene Giovanni, ma Peppino per i giovani è ormai un eroe, un mito da celebrare un giorno l’anno – quello della sua morte – attraverso il rito pagano dell’aderenza formale a certi principi. Peccato che la lotta alla mafia sia ben altro. Lo sanno bene personaggi come Giovanni Tizian e Pino Maniaci, che il percorso giusto in direzione della legalità ce lo mostrano ogni giorno col loro coraggio, da vivi, zigzagando  tra le minacce che sono costretti a subire. A tal proposito mi torna alla mente un’affermazione di Umberto Santino del Centro di Documentazione Antimafia Peppino Impastato, ospite qualche anno fa dell’associazione “Novemaggio” di cui faccio parte (guarda un po’!): “Prima che Libero Grassi fosse assassinato – ci raccontava incazzato – al suo fianco eravamo solo una decina. Adesso, improvvisamente, sono tutti amici suoi. Tutti pronti a tributargli onori e a tesserne le lodi. Dov’erano tutti questi amici prima che lo ammazzassero? ”.

Di ritorno da Cinisi i pullman sono stipati di giovani distrutti e frastornati. Alcuni dormono, altri ripassano con la mente il ritornello dei Modena, altri ancora non pensano a nulla e aspettano solo di ritornare a casa per farsi una sana dormita. Meno male che c’è l’autista, altrimenti sai che botto!

Io per quest’anno diserto Cinisi. Peppino capirà.

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