Un viaggio nelle culture, nel tempo e nello spazio attraverso il teatro e l’arte. Attiva da 5 anni a Palermo la Babel Crew, «una ciurma di artisti e professionisti dell’arte che hanno scelto di legarsi in un contesto che vedesse la diversità e il confronto dei linguaggi artistici e delle professionalità come motivo di accrescimento», dopo aver vinto il bando MigrArti 2017 debutta al Teatro Montevergini con “Il rispetto di una puttana”, scritto e diretto da Giuseppe Provinzano, e lancia un nuovo progetto artistico: Amunì.
Amunì, andiamo. Un’espressione che indica contemporaneamente la proposta ad andare e l’accettazione di questa: a domanda “amunì?” si risponde “amunì!”, il movimento interno ed esterno di ogni persona che si muove verso un obiettivo da raggiungere o realizzare. Dove va il teatro di Babel Crew? Verso quale direzione si muove? Ne abbiamo parlato con il regista Giuseppe Provinzano.
Cinque anni di vita artistica fatti di teatro, danza, cinema e proposte culturali artistiche con la priorità e necessità «di proporre l’incontro – afferma – tra i linguaggi e questa direzione continuerà a muovere le nostre creazioni. Il progetto Amunì poi fa esplodere di senso questa nostra caratteristica laddove al confronto tra i linguaggi aggiungiamo quello tra culture, lingue ed esperienze umane in questo progetto che vuole fare nascere questa compagnia dei migranti che vuole essere prima progetto speciale di Babel e poi magari una costola che prenda vita e si muova autonomamente». Uno spazio fisico, lo “Spazio Franco” ai Cantieri Culturali della Zisa, accanto ad uno “spazio” umano, la costituzione di una “Compagnia dei Migranti” attraverso un laboratorio multidisciplinare che ha immerso 25 ragazzi da ogni parte del mondo (Africa, Asia, Europa) nei diversi linguaggi della scena (teatro, musica, danza, canto, narrazione..). «Da questo laboratorio poi sono stati selezionati 10 ragazzi che hanno proceduto con il vero e proprio allestimento dello spettacolo. Oltre al laboratorio artistico, sono stati realizzati altri tre percorsi formativi professionali: un laboratorio di scenografia, uno di comunicazione, uno di organizzazione. Anche questi sono stati frequentati da ragazzi e ragazze provenienti da più parti del mondo che poi si sono occupati di tutto ciò è servito per fare lo spettacolo. Da questi 4 percorsi nasce il nucleo del Progetto Amuni: tra attori, scenografi, comunicatori e organizzatori sono circa 20 (esclusi noi di Babel) coloro che stanno credendo in questo progetto».
La prima tappa di questo lungo viaggio ha visto la compagnia portare in scena lo scorso 26 luglio lo spettacolo “Il rispetto di una puttana”, liberamente ispirato a “La putain respectueuse” di Jean-Paul Sartre. «Una storia e un plot narrativo molto contemporaneo, quasi in maniera preoccupante. Ci racconta come certe nostre derive razziste che l’Europa e il mondo sta prendendo siano cicliche e in nuce nella costituzione delle nostre moderne società. Sartre scrisse questo testo all’indomani del dopo-guerra, attaccando gli USA esportatori guerrafondai di democrazia, raccontando come all’interno di quella società, tra le viscere di quella società, il razzismo e l’ingiustizia sociale fosse ben radicata. Se guardiamo ai Trump, al successo della Le Pen, o certe politiche di Theresa May nel Regno Unito o della stessa Merkel mi sono reso conto che sebbene siano passati 60 anni il mondo non è cambiato o forse è tornato a essere schifosamente quello che era». Una riscrittura lessicale importante che passa anche attraverso l’introduzione di un coro che sposta teatralmente la drammaturgia verso la definizione di una vera e propria tragedia moderna. «Abbiamo dato nuovi sensi e nuovi contenuti. Ci siamo immersi totalmente e, sebbene il plot narrativo sia il medesimo, la distanza con Sartre è cresciuta. Più di distanza parlerei di processo di appropriazione da parte dei ragazzi di una storia che hanno fatto loro. Una storia che più che di migrazione parla di discriminazione a 360° e le loro esperienze di vita sono state sollecitate e hanno a loro volta sollecitato questo processo».
Un laboratorio di arte ma anche e soprattutto di interculturalità in cui culture e lingue diverse si mescolano trovando espressione in una lingua meticcia e universale, quella del teatro. «Durante i laboratori – conferma – abbiamo parlato diverse lingue: italiano francese, inglese arabo. Per capirci, per riconoscersi. Ed era del tutto naturale, necessario. La nascita di espressioni nuove che attraversavano le lingue rendeva poi tutto magico e divertente: un esperanto di lingue, linguaggi e umanità che hanno legato il gruppo e lo hanno reso tale. Il confronto culturale poi è stato spontaneo e ad ampio raggio. Per esempio, a giugno era il periodo del Ramadan e questo ha influito nel lavoro fisicamente per quelle che sono le pratiche di digiuno ma hanno poi portato a un confronto molto interessante tra musulmani e non ma anche tra i diversi musulmani a Palermo che da sempre è stata palcoscenico di questi incontri».
Palermo e la Sicilia, storicamente terre d’accoglienza ma «il virus del razzismo e dell’ignoranza relativa e di tutto lo schifo che questo comporta è annidato nella nostra società contemporanea globalizzata e Palermo e la Sicilia non sono certo fuori da questa globalizzazione e dunque non si può abbassare la guardia in tal senso. Palermo è una città in cui la diversità è valore (non a caso abbiamo deciso di creare qui la nostra Babel crew) ma é il mondo che sembra andare in un’altra direzione. E Palermo è in questo mondo. Sta a noi. A ogni singola persona, perché “[..] in attesa che la cattiveria dell’uomo mangi se stessa, agli altri uomini, non resta che aiutarsi l’un l’altro”».