Ritagliare sagome di donne dalle gambe sempre più sottili. Contare calorie e provare ad indovinare quante ce ne sono negli alimenti assenti dalle tabelle consultate su internet. Per le giovani adolescenti niente più bambole paciocche, ma fotomodelle divinizzate dalle pagine satinate dei giornali. Niente più compiti di matematica, ma somme e sottrazioni di importi calorici e grammi. Niente più giri in bicicletta o in moto con gli amici, ma montare sulla bilancia, per vedere il suo ago andare all’indietro. È questo il pericoloso “gioco” dell’anoressia, che oggi sembra coinvolgere non più solo le ragazzine, ma anche molte donne in post menopausa, oltre che soggetti, spesso giovanissimi, di sesso maschile. È il dottor Matteo Allone, psicologo e responsabile del Centro Camelot di Messina, a parlarci di questo male dell’età moderna.
A determinare il cosiddetto comportamento anoressico, una serie di variegate concause: il rapporto simbiotico, o al contrario fortemente conflittuale, con la figura materna, il desiderio di avere il controllo di se stessi, del proprio corpo, del proprio peso, “quasi come necessità di poter dominare un mondo interno ed esterno che, in realtà, gli adolescenti, non riescono a gestire”. Sono tante le circostanze, le condizioni che posso indurre ad assumere un comportamento anoressico e il disagio nell’ambiente familiare è solo una delle tante, possibili chiavi di lettura. “A questo si aggiunge – come dichiara Allone – l’adozione di modelli culturali che si sono fatti strada, soprattutto attraverso il mondo della moda, imponendo delle misure che risultano essere quelle più giuste per il corpo”, in primis quello femminile.
“Ma nucleo fondamentale, – continua lo psicologo – soprattutto quando si parla di anoressia tipicamente giovanile, è la vulnerabilità, e al tempo stesso il desiderio di onnipotenza, tipici dell’età adolescenziale. In questa fase critica proprio questo senso di onnipotenza, viene condotto oltre, perdendone il limite”. Spesso, di fatti, tutto ha inizio da un proposito positivo, da una normale dieta, se si è più o meno in sovrappeso. Ma la sensazione adrenalinica di poter controllare il proprio corpo dalle necessità esterne, di poter scardinare qualunque senso comune per il quale il cibo è bene primario e fondamentale, lascia che ogni confine venga oltrepassato.
È, dunque, una scelta l’anoressia? In buona parte si. Ma è una scelta incosciente, in tutti i possibili significati del termine. È una scelta fatta in maniera inconsapevole, o comunque, con una consapevolezza di se distorta rispetto alla realtà. “L’anoressico, infatti, non è capace di vedersi davvero, ha una percezione del suo corpo del tutto differente da quella palesata agli occhi degli altri”. Questa percezione falsata, mette in atto una serie di meccanismi che, se hanno inizio proprio con l’intento di controllare il proprio organismo, diventano poi essi stessi incontrollabili. Ed ecco che, come ci spiega il dottore Allone, anche le relazioni importanti vanno perdute, “poiché diventa sempre più difficile condividere la propria vita con altre persone quando sono proprio questi meccanismi a gestire il proprio corpo, quando, per assecondarli, bisogna mettere in pratica un’insieme di strategie”. Si pensi alle crisi bulimiche, quando si sente la “necessità di libera alimentazione” e poi di rigettare tutto fuori.
Altrettanto difficile è, per l’anoressico, condividere la propria vita con qualcuno che lo costringe a mangiare, quando ciò che più di ogni altra cosa lo fa stare bene è rinunciare a quel cibo, il potere che sente di possedere nel privarsi di qualcosa che altri continuano a ritenere essenziale. Ed in questa prova di forza, “l’anoressia si spinge fino a toccare livelli estremi, arrivando a sfidare la morte”. Per questa ragione, è di primaria importanza la presa di coscienza del problema e soprattutto del bisogno di aiuto.
Nella quasi totalità dei casi, non sono i soggetti anoressici a farlo, ma insegnati di scuola, amici, familiari. Anche se altrettanti sono i casi di genitori che non rendono conto del problema. Se più difficile può essere accorgersi di un rituale segreto, come quello di fagocitare, con una furia impressionante, abbondanti quantità di cibo per poi provocarsi il vomito, in molti si chiedono se sia davvero possibile non accorgersi di una figlia che sta ore chiusa in bagno, che fa di tutto per saltare i pasti, o che corre alla toilette ogni qualvolta non può sfuggire dal suo piatto di pasta. Se sia possibile non riconoscere il volto di Ana (l’anoressia, così come la si nomina nei blog in rete) negli occhi della propria figlia quando, con le ossa sporgenti e il viso emaciato, raccoglie fra le sue mani nodose pochi lembi di pelle e dice «guarda come sono grassa». “In alcune circostanze subentra un rifiuto, una negazione del problema”, forse per tentare di sfuggire dall’insinuarsi del dubbio di esserne, in qualche modo responsabili.
Alcuni familiari non se ne accorgono in tempo. Per altri invece quel tempo è prezioso per porre fine ad una vita passata in solitudine, tra specchi e bilance, tra contemplazione di sé e autocommiserazione. Per farlo, importante è il supporto non solo di un nutrizionista, ma anche e soprattutto di uno psicologo, nel tentativo di ristabilire un equilibrio fra mente e corpo.
Dall’anoressia si può guarire? “Non del tutto” ci risponde Allone. “Rimane un cono d’ombra” che, in questo caso, nemmeno il sole di mezzogiorno è in grado di allontanare. “L’anoressico un po’ come il fumatore, anche se smette di fumare vive nella paura che possa ricominciare a farlo”.
Anna Maria Fazio
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