Arrivera’ il Dalai Lama

Mentre mi trovavo al Congresso di Sinistra italiana,  mi sono persa l’ultima polemica dal sapore provinciale,  riguardante l’invito che Renato Accorinti ha fatto al Dalai Lama, e che ha suscitato le ire e le minacce dei diplomatici cinesi.

Devo fare una premessa personale:  ho aderito al buddhismo tibetano nel lontano 1994 attraverso un rito officiato a Cecina, in Toscana, dallo stesso Dalai Lama Tienzin Ghiatso, il rito di Avalokitesvara, il Buddha della compassione. Sono una persona piuttosto pigra nei rituali devozionali, che pratico poco, ma la mia adesione spirituale è,  da allora, intima e definitiva. Leggo dunque che un gruppo di compagni dileggia Accorinti, scrivendo addirittura che i tibetani in realtà sono già stati liberati dai cinesi (pur contro il loro volere di popolo invaso e massacrato), liberati cioè da un’odiosa forma di regime feudale a capo della quale vi era questo bieco sfruttatore della forza lavoro dei contadini.

Dunque secondo questi compagni fautori del comunismo cinese, bene hanno fatto a distruggere migliaia di monasteri,  e a mettere al loro posto strade asfaltate e centri commerciali,  bene hanno fatto a trasformare il palazzo del Potala in un sito turistico, bene hanno fatto a sopprimere la libera autodeterminazione del popolo tibetano di fare da sé i propri processi di liberazione. Io studio sempre, è la mia forma di umiltà.  Ho appena scritto un articolo sulle confraternite sufi in Africa, sul loro ruolo di collante comunitario in un mondo agropastorale che resiste alla “modernizzazione”, laddove i moderni sono i salafiti (o quelli di Boko Haram) portatori di puritanesimo sessuale ed economia mercantile urbana. Dovremmo allora inneggiare alla distruzione delle residue civiltà premoderne dove, piaccia o non piaccia,  il rito religioso e la festa comunitaria sono una sola cosa nella scansione di un calendario identitario, un mondo in cui il consenso e la composizione dei conflitti passa attraverso l’individuazione degli “uomini pii”?

Perché mai condanniamo l’apartheid praticato dagli israeliani nei confronti dei palestinesi, quando è del tutto evidente che questi ultimi sono più “arretrati”? Perché mai dovremmo adombrarci per la volontà degli Stati Uniti di imporci il Ttip,  quando, prima ancora che un attacco alla nostra economia produttiva,  esso è un attacco al nostro modo di vivere, compreso il diritto a non avere un Mac Donalds accanto ad una cattedrale, dentro cui non entro per pregare, ma la cui bellezza, grazia e storia devo difendere dagli interessi di un capitale senza storia e senza grazia? Si può essere a favore della rivoluzione quando essa è un atto di autodeterminazione (e io sono perfino a favore della rivoluzione iraniana), ma non a favore della violenza totalitaria colonialista travestita da progresso. O forse è proprio questo che ci divide? Che una malintesa lettura di Marx conduca a preferire l’orrore del nuovo Partito comunista cinese,  inedito ircocervo di corrotto oppressore del proprio stesso popolo in nome della globalizzazione capitalistica più spietata?

Infine due cose. 1. Se ce l’avete con Accorinti,  è legittimo, ma lasciate stare i tibetani e giocate alle freccette con la sua immagine barbuta. 2. Chi non vuole fare la professoressa non la faccia,  e si prenda il tempo per riflettere.

Quanto a me, rivedere il Dalai Lama a Messina sarebbe un momento di commozione infinita.  Riconosco di aver bisogno di una benedizione, di una mano sulla testa che mi dia il coraggio di combattere le mie magagne. Ognuno ha per nemico il proprio ego, è meglio saperlo, piuttosto che no

Alessandra Minniti

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