Attilio Manca: vita di un giovane medico spezzata dall’incontro con Provenzano

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Aveva una carriera luminosa e tutta la vita davanti a sé. Una professione di medico urologo, costruita precocemente e pazientemente al di fuori del suo comune di origine, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Resterà per sempre con i suoi 34 anni e con l’unica colpa, durante la sua vita, di avere probabilmente operato un esponente di “Cosa Nostra”, Bernardo Provenzano. Parliamo di Attilio Manca, trovato morto, nel febbraio 2004, nella sua abitazione di Viterbo dove svolgeva la propria attività di medico chirurgo presso l’ospedale “Belcolle”. Le dinamiche del ritrovamento sono quantomeno un po’ anomale e controverse al punto che la famiglia Manca ha aperto un caso alla Procura di competenza non ancora risolto e basato sul presunto coinvolgimento della mafia.

E’ di pochi giorni fa la notizia che la Magistratura di Viterbo ha presentato, per la terza volta, la richiesta di archiviazione di questo caso sostenendo la tesi del suicidio di Attilio.

“Richiesta incomprensibile e assolutamente inaccettabile – dichiarano i parenti – se si pensa che, ancora oggi dopo cinque anni, non si procede all’accertamento delle prove, in particolare il rilevamento delle impronte sulle due siringhe rinvenute, quella mattina, in stanze diverse di casa di Attilio”.

Troppe le incongruenze su questo decesso. Tra queste il fatto che Attilio, il giorno precedente alla sua morte, avesse fissato un appuntamento con il suo mentore della medicina a Roma e non si fosse mai presentato; il fatto che, due giorni prima della sua morte, non avesse avuto più contatti con parenti e amici; il fatto puramente autoptico delle iniezioni sul suo braccio sinistro: appare insolito che un mancino come Attilio possa avere usato la mano destra per somministrarsi la miscela di sostanze che avrebbero causato il trapasso.

Sollevato dal difensore della famiglia, l’avvocato Fabio Repici, il caso Manca resta ancora aperto e sommerso dai dubbi, vivo ed attuale proprio in questi giorni in cui di mafia si parla sempre più frequentemente: dal problema dei tempi della giustizia per i delitti di mafia al ruolo dei pentiti nelle indagini su Cosa Nostra. La circostanza che l’avvocato Repici sia stato anche il difensore della famiglia Campagna per l’omicidio della 17enne Graziella lascia sperare in un buon esito della vicenda. Ma si spera anche che non debbano trascorrere tutti quegli anni di sofferenze che hanno dovuto subire i cari della ragazza prima che si riconoscesse l’implicazione dei boss nell’omicidio.

Degli sviluppi di questo caso abbiamo discusso con i familiari del giovane medico barcellonese,     proprio durante la cerimonia di commemorazione di Graziella che è stata organizzata lo scorso 12 dicembre, a Saponara. Successivamente, abbiamo raccolto anche l’opinione del legale Repici e del Sen. Giuseppe Lumia, membro parlamentare della Commissione Antimafia.                                      

“La magistratura ci accusa di aver montato il caso di mio figlio – dichiara animosamente Angelina Manca – come se non volessimo far riposare in pace la sua memoria chissà per quale scopo. Quale dovrebbe essere lo scopo appunto – si chiede la madre disperata – se non quello di far emergere e raccontare la verità al mondo intero”.

“Siamo qui, oggi, a ricordare Graziella ma non possiamo dare ancora un nome agli assassini di mio figlio – aggiunge la signora Manca. Lo Stato a cui noi apparteniamo li lascia liberi perché l’omicidio di Attilio non è stato ancora classificato come delitto di mafia. E’ una vergogna. C’è una complicità da parte dello Stato”.        

“La magistratura è indifferente, inerte, non porta avanti le indagini malgrado i solleciti del nostro difensore – rivela la madre accorata. La professionalità, la brillantezza di mio figlio lo hanno ucciso perché ha accettato di assistere quel delinquente, quel mafioso di Bernardo Provenzano”.     

Angelina Manca non risparmia neanche la stampa che, secondo lei, ha taciuto troppo.
L’altro figlio, Gianluca, Pubblico Ministero onorario, fornisce ulteriori dettagli sulle prove dell’esistenza di una connessione tra la mafia e l’uccisione di suo fratello e si scaglia con veemenza contro la magistratura.      

“Il fatto più scandaloso – sostiene Gianluca Manca – è la presa in giro della magistratura, il falso interessamento al caso di Attilio quando invece non vengono esaminate le prove e l’esistenza del contatto tra mio fratello e il boss per motivi medici. I collegamenti sono molteplici – continua. Primo fra tutti: Attilio era un bravissimo urologo, uno dei migliori in Italia nel periodo in cui è morto. Si presume inoltre che si trovasse a Marsiglia nello stesso posto dove Provenzano è stato operato. E poi il genere di intervento che si è effettuato su Provenzano: il tumore alla prostata per via laparoscopica, una tipologia di tecnica in cui mio fratello era specializzato ed esperto e che anzi caratterizzava la sua abilità chirurgica”.

“I collegamenti geografici sono altrettanto evidenti – spiega Gianluca. Tutti qui sapevamo che Provenzano si rifugiava a Portorosa. Esiste una intercettazione ambientale (tra la sorella di un boss e un altro boss) che avvalora e conferma che Provenzano soggiornava nel comprensorio di Barcellona, intercettazione realizzata il giorno dopo la testimonianza dei miei genitori nel programma “Chi l’ha visto” a cui si fa riferimento nella stessa telefonata. Perché le istituzioni, pur essendo al corrente di questa intercettazione, non acquisiscono gli atti?”.  

“Non sono follie o semplici illazioni – ribadisce. Sono prove concrete custodite all’interno del fascicolo di Attilio al Tribunale di Viterbo”.       

“Si è perso di vista il punto fondamentale – afferma Gianluca (e lo sentiremo anche nell’intervista audio). Se Attilio è morto suicida perché, in tutti questi anni, non sono mai state analizzate le siringhe trovate nel suo appartamento?”.       

“Il caso Manca risente del potentissimo rilievo del potere barcellonese – interviene duramente l’avvocato Repici. Barcellona è il buco nero delle vicende criminali dell’intero Paese. Rappresenta il gruppo mafioso più impunito della nostra nazione ed è colluso con le istituzioni. Fino a quando il Governo centrale non si deciderà ad accendere i riflettori su questo sistema, non ci sarà alcuna svolta o speranza per questo territorio”. 

A SEGUIRE, LE INTERVISTE AUDIO-VIDEO DI:

ANGELINA E GIANLUCA MANCA ( MADRE E FRATELLO DI ATTILIO )
AVV. FABIO REPICI SUL CASO MANCA
SEN. GIUSEPPE LUMIA SUL CASO MANCA          

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