L’Europa giovane del Campus “Marco & Alberto Ippolito”

l’Europa del Campus europeo

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C’è un’Europa giovane che vuole crescere: ha bisogni comuni, cerca risposte condivise, parla tante lingue  ed una sola lingua, ha curiosità ed attenzione per i vicini di casa, è disponibile a mettersi in ascolto, parla di equità e accoglienza, sa che insieme è meglio.

È  un’Europa che ha a cuore il bene comune e lo identifica nel bene di tutte le parti.

È  l’Europa del Campus europeo –Fnism  “International Prize “Marco & Alberto Ippolito”,   che da   diciassette anni realizza il progetto di far incontrare giovani delle scuole superiori di dieci Paesi Europei perché si confrontino su temi e problemi  comuni per cercare soluzioni condivise.

Vengono dalla Svezia, dalla Germania, dal Portogallo, dalla Grecia, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dalla Romania, dalla Turchia, dalla Bulgaria, da tre città italiane, Catania, Cisternino e Velletri.

Il percorso che li fa incontrare, sotto la guida appassionata dei promotori Natina Cristiano e Leonardo Pangallo, è vario e articolato: un anno di studio e riflessione nelle scuole,  con la produzione di racconti, poesie, fotografie, saggi sociologici e  video-documentari, e poi ci si ritrova  per cinque giornate, ad aprile o a maggio, a discutere insieme –studenti, insegnanti, dirigenti delle scuole, personalità europee eccellenti del mondo delle scienze, dell’arte, dell’economia, della cultura- sul “tema dell’anno”; un mese  prima del  summit tutte le scuole ricevono i documenti elaborati dai gruppi di  ciascun Paese, per prepararsi a discuterli nell’incontro finale; a conclusione del campus si redige un documento comune, una proposta condivisa, che le Istituzioni europee dovrebbero ascoltare e accogliere  perché ne avrebbero straordinarie sollecitazioni e spunti di pensiero ed azione.

  I temi che di anno in anno vengono proposti  li definirei  imprescindibili: sono  temi che in ogni scuola  europea andrebbero   affrontati per tutto l’anno. Ne ricordo alcuni, i più  recenti: “La scuola europea che vorrei”, “Le parole che non ho mai detto”, “la fuga dalla scuola”, “Le parole giuste da dire”, “Essere adolescenti  tra agi e disagi”, “Scuola e lavoro: quale formazione”.

Si arriva così alle cinque giornate conclusive -quest’anno   a Costanza, sul mar Nero, in Romania, ospiti del Liceul Mircea cel Batran diretto da Vasile Nicoara – e qui le delegazioni nazionali   entrano in relazione e diventano subito  comunità: nessuno dice “prima io, prima noi”, ciascuno parte dal racconto della propria storia, che resta punto centrale di partenza, e tutti insieme condividono  la ricerca di risposte e soluzioni condivise ai problemi posti.

 I tavoli di discussione,  tutti rigorosamente multinazionali, sono coordinati da insegnanti o  studenti.   Oltre i  tavoli di discussione, i seminari e le conferenze,  le passeggiate, gli incontri sportivi, le conversazioni con le personalità eccellenti, i pasti con cibi locali, i canti e  i balli tradizionali: in una comunità di amiche e amici si disegna l’Europa che vorremmo.    

Un libriccino ogni anno conserva memoria dell’esperienza, raccogliendone   parole e documenti.

Anch’io, insegnante adulta  con una quasi trentennale esperienza, qui faccio scoperte che porto con me e vorrei producessero  cambiamento: scopro  il valore della formazione professionale in Turchia, della scuola a  tempo pieno in Germania, l’attenzione alla salute psicologica degli studenti in Romania e Portogallo, l’apertura multiculturale e la cultura dell’accoglienza in Svezia, l’attenzione allo studio delle lingue europee parallela alla cura della lingua-madre in Bulgaria e Cecoslovacchia, la cura e la valorizzazione delle tradizioni locali in Polonia, la ripresa e la tenuta della scuola greca che sostiene e accompagna la ripresa di un Paese impoverito dalla corruzione dei suoi governanti.

Scopro la differenza di trattamento economico tra insegnanti d’Europa: la giovane insegnante tedesca guadagna il doppio dell’anziana insegnante italiana.

Osservo che il riconoscimento del valore della scuola è direttamente proporzionale allo sviluppo in  ciascun  Paese europeo.

Osservo la crescita di Paesi, come la Romania, che, come l’Italia,  pagano il peso della corruzione, ma, a differenza dell’Italia, crescono grazie alla cultura del lavoro, soprattutto femminile. Scopro che una scuola-modello per l’Europa è proprio in Romania:  è la scuola di Vasile Nicoara, preside colto, sempre presente, sempre al servizio,   competente, che ha creato   una squadra di lavoro coesa,    valorizzando  tutte e tutti, creando su solide basi progettualità europea.   

Florentina Georghe, docente d’Italiano al Colegiul Mircea, ci indica con  orgoglio  la volontà della loro scuola di storicizzare tutti i percorsi significativi, le conquiste, le scoperte, il lavoro delle persone, insegnanti e studenti.

Grandi cartelloni, lungo i corridoi  dell’istituto,  mostrano foto di eventi e attestati di merito  che hanno fatto grande la loro scuola, che la reggono e costituiscono modello per chi la frequenta. Mi lascia senza parole la scuola di Cumpana, ad un’ora da Costanza, luogo di incontro interculturale, che coniuga  tradizioni antiche ed   innovazione. Fiore all’occhiello della politica illuminata di una sindaca vulcanica, Mariana Gaju, Presidente delle Sindache di Costanza, che ha fatto del sostegno all’istruzione e alla Cultura un pilastro della sua politica, perché “da qui parte il rilancio di un Paese”.  

Si guarda anche avanti:  qui nascono nuove collaborazioni e progettualità condivisa. Un esempio:  le scuole rumena e svedese parteciperanno  al nostro progetto “Un Giardino delle giuste e dei Giusti in ogni scuola”, che promuove   parità e memoria, proponendo modelli nobili da condividere e valorizzando l’impegno delle donne e degli uomini, oltre i confini nazionali.

Quando ritorno a casa – per me è   il quarto anno di partecipazione  felice per la grande opportunità che è stata offerta ai miei studenti, per  i premi, per la ricchezza che potrò restituire al mio lavoro di insegnante, alla mia scuola e ai miei alunni che non hanno potuto partecipare, torno a chiedermi perché le Istituzioni europee non adottano e sostengono questa esperienza virtuosa e preziosa.

Forse non la conoscono. Forse non ne hanno compreso la potente portata innovativa.

Se solo sapessero vedere, leggere e valorizzare, questa Europa da fare ne avrebbe un grande aiuto e sarebbe riconoscente a chi all’Europa educa per un anno intero. Perché europei si diventa   attraverso l’incontro, la conoscenza e l’educazione: si è migliori italiani, svedesi, tedeschi, cechi, portoghesi, polacchi, greci, turchi,  bulgari, se si è anche europei: saper stare insieme dà forza, sicurezza e gioia.

Per tutto questo, quando ci si saluta, ciascuno sente  che a casa si torna diversi, potenziali e reali cittadine e cittadini di un’Europa da far crescere.

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