“Liberi di scegliere” dal territorio alla fiction per diseredare la ‘ndrangheta

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Foto di Sara Petraglia
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Prima serata su Rai Uno per il film “Liberi di scegliere” che racconta la delicata storia dei minori allontanati dalla ‘ndrangheta e del loro percorso verso il futuro.

Si adotta questa tipologia d’intervento perché la ‘ndrangheta non è come la mafia, non ci si affilia ma si nasce figli di ‘ndranghetisti“. Bisogna tenere bene a mente queste parole per capire quanta forza e quanta delicatezza c’è dietro alla storia che ha ispirato “Liberi di scegliere” film tv che andrà in onda questa sera alle 21:25 su Rai Uno, dopo esser stato presentato questa mattina alla Camera dei Deputati.

Il film racconta storie legate tra loro a doppio filo. Quella di un magistrato messinese, Presidente del Tribunale Minorile di Reggio che si mette in testa la folle idea di strappare i minori alla ‘ndrangheta.

Le famiglie ‘ndrine coi loro codici millenari e i loro sentimenti sempre più contrastanti. I ragazzi, minori, divisi tra dolore e scoperta, eredità e futuro. Gli assistenti sociali, le associazioni civili, gli psicologi, lo Stato, attori più o meno consapevoli e presenti di un cammino che rappresenta un unicum. Il territorio, infine, con lo Stretto a farla da padrone. Un viaggio tra le due sponde, tra Messina e la Calabria. Luoghi  degli accadimenti reali e set obbligati del film.

La storia parte proprio da Messina, città della speranza dove il primo minore raggiunto dal provvedimento di allontanamento viene destinato per sfuggire ad un destino già scritto. Storie inscindibili, potenti, che abbiamo deciso di esplorare attraverso i protagonisti reali: Maria Baronello assistente sociale giudiziale, interpretata nel film dall’attrice messinese Federica De Cola, Monica Zappelli cittadina attiva prima che sceneggiatrice e Roberto Di Bella Presidente del Tribunale Minorile di Reggio, interpretato da Alessandro Preziosi, che ci raccontano al telefono la loro esperienza.

Un racconto a più voci sulla realtà dietro la fiction.

MARIA BARONELLO: LE DONNE E I MINORI

Forse noi non riusciamo a vedere le famiglie di ‘ndrangheta come famiglie in sofferenza, ma in fondo lo sono. Le mogli degli ‘ndranghetisti sono vedove bianche e i loro bambini sono infelici perché non hanno la possibilità di godere dei genitori e di una famiglia “normale”.

Padri latitanti o dietro le sbarre. Madri costrette al silenzio.

I piccoli vivono nel terrore dei blitz della polizia e non sono neppure liberi di parlare. Vivono con le cimici in casa e nei telefoni. Noi immaginiamo queste famiglie in chissà quale dimensione, ma in realtà sono vittime del sistema che creano. Hanno delle grosse fragilità. Il film è la storia di tutti quei ragazzi allontanati dalla ‘ndrangheta, oggi una quarantina, nel tentativo di dar loro l’opportunità di una vita diversa.

E’ come quando si allontana un minore dai genitori tossicodipendenti, ma in questo caso c’è di più perché la ‘ndrangheta si eredita: se viene meno l’asse ereditario allora si può cambiare realmente lo stato delle cose. Una volta maggiorenni starà a loro scegliere. Al momento ad esempio abbiamo un solo recidivo. Gli altri hanno tutti la loro vita. Alcuni hanno scelto di andar via dalla Calabria e sono in altre regioni o addirittura in altri Stati.  Le madri inoltre, per provare a dare una vita diversa ai loro figli, prendono anche loro le distanze da mariti al 41 bis o con detenzione prevista lunghissima.

Si allontanano dal territorio ma anche da una mentalità che le ha rese schiave. Le donne si trovano spesso per tradizioni culturali e doveri familiari ad essere incapaci di immaginarsi altre vite, sottomesse ad un sistema di violenza. Trovano anche loro il coraggio di andar via. In questo le aiuta molto “Libera” con la sua rete. Certo ci vorrebbero altri giudici come Di Bella. Ce ne vorrebbero tanti. Ma non tutti vogliono fare “l’eroe con la scorta“. Non è semplice .

Ti cambia la vita. La possibilità di scelta deve essere diritto di tutti e il film è importante per poter veicolare questo messaggio.

MONICA  ZAPPELLI: I MINORI E LO STATO

Noi siamo una nazione in cui si tende a dimenticare ciò che è successo.

C’è invece un gran bisogno di far conoscere a un pubblico ampio temi che riguardano proprio il reale. Nel film raccontiamo fedelmente cosa fa lo Stato mentre rispetto al mondo dei ragazzi abbiamo romanzato.  Abbiamo preso un po’ da ciascuno in maniera che ognuno di loro possa riconoscere un pezzetto di sé proteggendo al contempo il loro diritto a crescere decidendo chi sono, senza che gli venga raccontato dal di fuori.  Mi piacerebbe che il film girasse nelle scuole, soprattutto della Calabria.

Sapere che esiste un’alternativa rispetto a quello che a loro sembra un destino precostituito è importante. 

Questa è una storia di dedizione, caparbietà e fatica che ha visto lo Stato vincere. Il dottor Di Bella si è trovato in una situazione iniziale di solitudine come ogni precursore ma, a me ha colpito una cosa intervistando questi ragazzi, cresciuti in famiglie che li abituano a valutare un mondo capovolto dove lo Stato è cattivo e la ‘ndrangheta è buona: avevano grande affetto e stima verso il giudice, l’assistente sociale, lo psicologo…ma li vedevano come individui, non come Stato. 

E’ importante non fare lo stesso errore. Il giudice Di Bella è Stato ed è uno Stato di cui dobbiamo essere orgogliosi.

ROBERTO DI BELLA: I MINORI, LA LEGGE E LA SPERANZA

Non strappiamo i figli a nessuno, al contrario cerchiamo ogni forma di tutela. Coinvolgiamo le madri, che spesso decidono di seguire i figli fuori dalla Calabria. Quando i ragazzi rimangono sul territorio, vengono seguiti da associazioni, dallo psicologo, cerchiamo di coinvolgere anche i familiari detenuti e qualcuno inizia persino a incoraggiarci a intraprendere questi percorsi coi propri figli. I ragazzi che decidono di partire tornano di frequente. Vivono una sorta di “Erasmus della legalità“.

Serve ad ampliare gli orizzonti culturali di minori che spesso vengono da paesini della Calabria di 5mila anime e non hanno idea che fuori da quel contesto esistono altre vite e altre possibilità per poter essere liberi di scegliere. E quando tornano, vengono a trovarti, ti abbracciano … aiutarli a esprimere le loro potenzialità e realizzare i loro desideri è una grande soddisfazione.

Certamente gli strumenti normativi andrebbero aggiornati. Al momento ci rifacciamo a un Regio Decreto del 1935 e ad un protocollo che abbiamo siglato con la Commissione Antimafia, con Libera e con il Dipartimento delle Pari Opportunità e ai fondi della Conferenza Episcopale Italiana. Abbiamo bisogno di risorse e soprattutto di prospettive per ragazzi che, raggiunta la maggiore età, ci chiedono come prima cosa aiuto per poter lavorare. “Libera” è sempre presente, ma bisognerebbe migliorare le politiche occupazionali. Servirebbero delle normative apposite per aiutare loro e le donne che decidono di rompere con le logiche criminali. Ma al momento c’è solo il protocollo che è temporaneo.

La norma di legge ci consentirebbe di dare una continuità al progetto. 

La questione minorile è cruciale. Agire su questo versante significa provare a prosciugare quel bacino sui cui si riproduce e si alimenta il crimine organizzato soprattutto in Calabria.

Il film è importante perché mistifica il modello di tipo mafioso, ribalta la narrativa del genere, gli stereotipi cui siamo abituati, mostra la sofferenza all’interno di queste famiglie ma alimenta anche la speranza del riscatto. Io spero che il messaggio culturale possa far breccia nel cuore e nella mente di tanti.

Liberi di scegliere, dunque, un titolo che non poteva essere più potente. Non fu libera di scegliere Bruna Morabito, uccisa a Messina dal fratello (ringo) con 4 colpi di revolver in faccia per aver infangato l’onore della potente famiglia di Africo, i “tiradritto”. Per lei non c’è stata tutela, né un magistrato coraggioso o un’associazione come Libera. “Liberi di scegliere” è una risposta anche a Bruna: la reale e ostinata dimostrazione che il cambiamento è possibile.

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