A distanza di settant’anni dalla concessione dello statuto speciale, la Sicilia è nel pantano. Fabrizio Fonte: “non c’è più spazio per le scuse”.
Il dibattito sul regionalismo differenziato va avanti ormai da più di un anno imposto dall’agenda politica nazionale. Da un lato gli accordi preliminari con le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto che si appellano all’articolo 116 della Costituzione per vedersi attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
Dall’altro le regioni che vedono questa spinta all’autonomia come pericolosa e destinata ad acuire l’eterno divario tra Nord e Sud.
Un fronte del “No”, costituito soprattutto dal Mezzogiorno e che ha visto il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci scagliarsi più volte contro il governo nazionale, accusandolo di essere poco attento ai bisogni del Sud e invitando lo stesso a integrare nel governo “la presenza dell’unico presidente di Regione legittimato dal proprio Statuto a partecipare ai lavori” trattandosi di un deliberato del Consiglio dei ministri che “incide sugli interessi della Regione Siciliana”.
Viene da domandarsi cosa ne ha fatto negli anni la Sicilia della sua condizione di regione a statuto speciale? Perché al nord si battono oggi per ottenere parte di quell’autonomia che nell’isola sembra non aver funzionato per settanta anni?
Tra i tanti a riflettere sul paradosso siciliano, il giornalista Fabrizio Fonte (Presidente Centro Studi Dino Grammatico), nel suo ultimo volume “Irredimibile Sicilia?” – L’Isola e il sogno infranto della sua Autonomia speciale”.
“Ricca all’inverosimile di un patrimonio architettonico, naturalistico, paesaggistico e archeologico tra i pochi al mondo, dovrebbe poter, tranquillamente, vivere della sua bellezza e della sua storia ultra millenaria – scrive Fonte – L’Isola si dimena, invece, perennemente in un perfido gioco fatto di luci e di ombre, dando più che l’impressione di non essere assolutamente capace di risollevarsi, eppure nel 1946 la concessione, da parte del governo nazionale, dell’Autonomia speciale (al fine di rintuzzare i fremiti indipendentisti) aveva posto in essere le condizioni per cambiare, una volta per tutte, le sorti della Sicilia e dei siciliani”.
Lo Statuto speciale, di là dei proclami, è sempre stato strumento principe dell’immobilismo invece che base solida di una politica del fare.
La Sicilia è rimasta terra di tornaconto personale, in un gioco che vede lo sbandieramento dell’autonomia in difesa dei soliti privilegi, e la sua deposizione in un cassetto di Palazzo D’Orleans quando occorrerebbe lavorare per migliorare le condizioni di una terra che sembra destinata a morire. Due gli esempi chiari di questa gestione che rappresenta un paradosso.
Da un lato la legge n.3 del 2019, la cosiddetta “spazzacorrotti” contenentele misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, le norme sulla prescrizione del reatoe sulla trasparenza dei partiti e movimenti politici. Una legge non recepita in Sicilia.
L’altra è quella dei fondi Ue, per cui la stessa regione, che lamenta lo svuotamento delle casse da parte dello Stato, brucia 380 milioni di euro per “gravi carenze nella gestione e nei controlli”, con fondi spesi in modo irregolare o tramite delle vere e proprie truffe.
Autonomia male interpretata e utilizzata, dunque, che offre terreno fertile per dichiarazioni quali quelle recenti del ministro degli Interni Matteo Salvini: “Autonomia? Chi non la vuole premia ladri e incapaci del Sud”.
La speranza è che il dibattito sull’autonomia differenziata, dopo aver fatto luce sulle criticità e sulle possibilità dell’autonomia da Nord a Sud, possa portare a serie riflessioni sullo statuto autonomista siciliano e sul senso di responsabilità che dovrebbe accompagnarlo.
C’è ancora speranza per una terra, che lo stesso Fonte ricorda essere ultima tra le regioni europee in termini di sviluppo socio-economico, ma prima per il numero degli abitanti che ogni anno l’abbandonano?
“A distanza di settant’anni non c’è più spazio per le scuse e la dura realtà imporrà, in particolare alle nuove generazioni, delle scelte coraggiose e soprattutto una chiara rottura con il passato, spesso caratterizzato, purtroppo, dall’ingombrante presenza di una criminalità mafiosa capace di condizionare, a suo vantaggio, le scelte strategiche per il futuro dell’Isola.”
L’interrogativo, racchiuso nel titolo del suo ultimo volume, “è dunque irredimibile questa Sicilia?”è una chiara speranza al miglioramento e alla possibilità di riscatto. Fonte fa suo il concetto di Sciascia “la Sicilia è irredimibile, ma bisogna continuare a lottare, a pensare e ad agire, come se non lo fosse”.