La riforma del Diritto Penale preannunciata dal Ministro della Giustizia, Andra Orlando, fa parte di quel pacchetto di riforme che il Governo Renzi da due anni sta portando avanti con lo scopo di modernizzare lo Stato Italiano. Ciò non significa che le modifiche proposte non siano foriere di tensioni e discussioni che coinvolgono tutti i campi dalla presunta modernizzazione. Ad iniziare dalla riforma del Senato o a quella rivoluzione fiscale preannunciata ma non ancora realizzata.
Si inserisce in questo percorso la discussione che si è accesa tra gli operatori del diritto sulla riforma dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, articolo che prevede la concessione dei benefici ai detenuti e agli ergastolani (permessi premio, assegnazione al lavoro all’esterno o le misure alternative alla detenzione) ad esclusione di coloro che sono stati condannati per reati di mafia e terrorismo e non hanno durante la detenzione collaborato con la Giustizia. Si parla a questo proposito di ergastoli ostativi o senza fine pena, quelli cioè che connessi a reati di mafia o terrorismo con detenuti non collaboranti vedono dei motivi ostativi all’applicazione dei benefici e alla possibilità di fuoriuscita dal carcere. In Italia sono circa 1200 i detenuti, chiamati uomini ombra, che usciranno dal carcere solo in caso di morte. Ovviamente, sono considerati ergastoli non ostativi quelli che prevedono la possibilità dei benefici oppure il fine pena dopo 27 o 30 anni di detenzione.
L’articolo, voluto da Giovanni Falcone, oggi vede scendere in campo a favore del suo mantenimento senza modifica alcuna oltre che il Procuratore Antimafia Franco Roberti anche il P.M. Nino Di Matteo. Il famoso magistrato che sta portando avanti l’accusa nel processo trattativa Stato-Mafia e che vede nella modifica all’art. 4 un tentativo di smantellare quella legislazione antimafia degli anni 90 che ebbe tanto successo contro la mafia, un attacco alla funzione di deterrenza della pena e, in definitiva, una concessione di benefeci ai mafiosi non collaboranti tanto da arrischiare che essi possano riappropriarsi del potere sul territorio, impedito attualmente della detenzione senza permessi premi ecc. .
“ Ai mafiosi non fa paura il carcere ma una detenzione che sia tale da impedire la loro speranza di poter continuare a comandare e ciò è stato possibile anche attraverso l’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario”, ha dichiarato il magistrato in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano.
Non è la prima volta che la Magistratura assume delle posizioni, come in questo caso, che sembrano essere in contrasto con la Costituzione Italiana e con le Direttive dell’Unione Europea. L’art. 27 della Costituzione è chiaro: “la pena (inflitta dallo Stato) non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato…” in previsione del suo reinserimento sociale.
Questo significa che impedendosi i benefici a tutti i detenuti non collaboranti, compresi gli ergastolani, non si realizza il dettato costituzionale e si violano i diritti elementari dell’uomo. Un caso che sovviene è quello del boss Provenzano, condannato a venti ergastoli e dichiarato da tempo in stato comatoso, che passa, nell’ambito degli avvicendamenti tra le carceri dei detenuti, da un reparto carcerario di un Ospedale all’altro senza che sia consentito ai familiari neanche cambiargli i pannoloni. E’ giusto tutto questo? E’ un trattamento umanitario?
Per tentare di dare delle risposte alle preoccupazioni del Dott. Nino Di Matteo abbiamo chiesto all’avvocato Maria Brucale la sua opinione in merito. L’avvocato Brucale, già difensore di Totò Cuffaro, è definita da una certa “cultura” dell’Antimafia come l’avvocato del Diavolo perché tra i suoi assistiti vi sono molti detenuti per motivi di Mafia.
Avvocato, le preoccupazioni del P.M Nino Di Matteo hanno ragione d’essere?
“Io onestamente ritengo di no. Intanto, il Ministro della Giustizia Orlando, nei suoi tanti proclami che riguardano la necessità di rendere vivo e attuale l’art.27 della Cost., ha sempre detto che avrebbe dato massimo risalto alle esigenze di garanzia e di sicurezza che sono correlate alla pericolosità oggettiva di questi reati (mafia e terrorismo). Il Ministro, nel parlare di modifica dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, e diversamente da quanto riportato dagli organi di stampa, non ha mai parlato della sua eliminazione”
“Del resto, continua l’avvocato, il Ministro, ha ravvisato la necessità di una modifica che si adeguasse ai principi della Costituzione e delle direttive dell’Unione Europea, la quale si è espressa contro l’ergastolo ostativo rappresentando la necessità che qualunque pena, anche quella dell’ergastolo, debba contemplare la possibilità concreta per il detenuto di uscire dal carcere qualora la pena perda il suo senso originario. Attualmente l’art. 4 bis ha una preclusione assoluta, per cui chi non collabora con la giustizia non può accedere ai benefici penitenziari. “
A suo giudizio come si potrebbe modificare l’Art. 4 bis ?
“Prima di rispondere dobbiamo premettere che nel nostro ordinamento vi è un principio che è sacro, per cui nessuno può essere obbligato ad autoaccusarsi e ciò ovviamente stride con l’art 4 bis che impone ai detenuti, per accedere a permessi e a benedici, proprio l’obbligo della collaborazione. Detto questo, la modifica potrebbe essere del tipo: sebbene non collabori con la giustizia, se il tuo percorso rieducativo è positivamente avviato, il Magistrato di Sorveglianza potrà verificare caso per caso e senza automatismi che non hai collegamenti con l’esterno, che qualunque partecipazione delittuosa ormai è recisa. In qu caso e solo in quel caso si aprirebbe una porticina e una possibilità per accedere ai benefici”.
E quindi i grandi clamori su Riina che uscirebbe dal carcere, prosegue l’avvocato, sono barzellette che lasciano il tempo che trovano. Del resto, le valutazioni della magistratura di sorveglianza sono effettuate con la collaborazione della DIA, della DDA, delle Procure competenti, del personale del carcere che ha osservato la persona e quindi non vi sarebbe nessun automatismo giuridico lasciato alla libera discrezionalità del Magistrato e allo stesso tempo non vi sarebbe un impedimento assoluto come previsto dall’art. 4 bis,.
Un altro pericolo paventato è che il mafioso possa riallacciare i rapporti con il territorio.
Un giudizio che escluda la pericolosità soggettiva di un detenuto (tanto da concedergli i benefici) viene emesso con enorme cautela da parte dei magistrati, e nel caso di detenuti per mafia e terrorismo la cautela sarebbe ancor più accentuata e forte, ove si ottenesse una modifica dell’art. 4 bis. Pertanto, ritengo che il pericolo che si paventa sia lo stesso che sorge quando il permesso viene concesso ad un rapinatore recidivo che nuovamente torna a delinquere. E’ un pericolo che la magistratura valuterà ex ante e se ritiene che sussista, non concederà i benefici. Ma se il metro di giudizio si fondasse solo su queste paure allora non si potrebbe concedere nulla ad un detenuto, per nessun tipo di reato. Possiamo anche dire che certamente l’allarme sociale che suscita l’associazione mafiosa è maggiore e più grave del reato di rapina, però la specificità dei controlli sarebbe parametrata al tipo di reato.
Un altro rilievo fatto dal Dott. Di Matteo riguarda l’ergastolo ostativo e il concetto di pena perpetua che verrebbe meno con la concessione dei benefici.
“Io sono contro la pena perpetua perché sono per la garanzia dei diritti e se la Costituzione afferma che la pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, e si badi che questi sono due concetti inscindibili, automaticamente un ergastolo che non conceda una speranza mai, per me, non può essere legittimo.”
Da questo punto di vista, seguita l’avvocato, i proclami del Ministro Orlando che hanno portato ad una legge delega che aveva lo scopo di eliminare le preclusioni assolute per qualunque categoria di reato e con particolare riferimento all’ergastolo, in realtà hanno perso ogni significato con la proposta di modica attualmente in discussione sull’art art. 4 bis, perché nell’escludere dai benefici penitenziari i detenuti ergastolani condannati per reati di mafia o terrorismo hanno di fatto lasciato le cose sostanzialmente invariate. Avremo che gli ergastolani non ostativi possono, quando sarà il momento, sperare di accedere ai benefici penitenziari, quelli ostativi non avranno mai questa possibilità. Ecco che una novella di questo genere priva di qualsiasi contenuto la legge delega
Esistono in Italia detenuti che non sono mai usciti dal carcere neanche per permessi brevi?
Io conosco molti detenuti che sono in carcere da 30, 35 o 40anni. Alcuni, assai di rado, hanno goduto della c.d. “inesigibilità della collaborazione“, un istituto i cui parametri interpretativi sono latamente discrezionali e destinati ad inevitabili diseguaglianze. In sostanza, la magistratura può anche decidere (per concederti i benefici) che non è necessaria la collaborazione se si è in grado di dimostrare che non si ha più nulla da dire, perché ad esempio le verità in tuo possesso sono già state interamente dipanate in Sentenze passate in giudicato e per cui nulla si può aggiungere. E’ il caso ad esempio di Carmelo Musumeci che dopo un grandissimo percorso riabilitativo ha avuto un permesso (N.d.A. Festeggiare il suo 60° compleanno con la comunità di Don Oreste Benzi, Papa Giovanni XXIII.) perché gli è stata dichiarata l’inesigibilità della collaborazione-.( N.d.A. Carmelo Musumeci, che oggi ha un sito che porta il suo nome, carmelomusumeci.com è entrato in carcere con la seconda elementare e nel suo percorso rieducativo è risuscito a laurearsi in Giurisprudenza e a prendere un Master in Diritto Penitenziario).
Carmelo Musumeci è anche scrittore di libri e tra i suoi libri vi è “Gli Uomini Ombra”. Un libro contro l’ergastolo ostativo e che parla di “coloro che vivono in carcere e destinati alla sepoltura. L’occhio del popolo non ci crede, ma ci sono in carcere persone che dopo trent’anni di carcere sono cambiate. Non tutte le persone condannate per mafia sono mafiose allo stesso modo”.
Ma forse l’esempio più calzante della distorsione dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziale è la vicenda di Totò Cuffaro e di cui l’Avvocato Maria Brucale è il difensore. Condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio, da gennaio 2011 sta scontando la pena nel carcere romano di Rebibbia.
“La storia di Cuffaro, ci dichiara l’avvocato, è la massima amarezza per una persona che crede nel Diritto. Eravamo di fronte ad un giudizio positivo (completa rieducazione) di tutti gli organi preposti al controllo intramurario. Favorevoli all’immediato reinserimento nella società. Dall’altra parte c’è stato il no definitivo a qualunque richiesta di benefici del Magistrato di Sorveglianza che si è fermato davanti agli automatismi e alle preclusioni dell’art. 4 dell’ordinamento penitenziario negandogli perfino di andare a baciare la mamma novantenne e molto malata. Siamo proprio fuori da ogni logica. Se la funzione della pena, come dice la Costituzione, deve essere rieducativa, quando tutti gli operatori cui è delegato dalla legge il compito di valutare la tua posizione dicono che tu sei rieducato, in teoria, la finalità della pena è esaurita. E però questo signore ( Cuffaro) rimarrà in carcere sino all’ultimo e cioè sino al 15 Dicembre 2015.
Se chiedere l’applicazione del Diritto significa essere il diavolo allora chiedo che al Diavolo sia applicato il Diritto.
PG.