Beni comuni all’abbandono, il caso dell’ex Macello Comunale

In via Santa Cecilia, nel cuore della città, l’ex Macello Comunale, immobile di proprietà del Comune di Messina, versa ad oggi in totale stato di abbandono.

Edificato con deliberazione della Giunta Comunale del 6 marzo 1893, la sua costruzione era considerata allora una grande occasione di sviluppo grazie all’utilizzo dei capitali privati e alla possibilità di averne notevoli ritorni economici.”Perché sarebbe ardua impresa se si volesse distruggere la camorra del macello; e perché il nostro scopo è solo di proporre un’opera che miri alla miglioria delle carni, ed alla nettezza del sito dove stanno.” Parlava così Giuseppe Martinez in discorso del 1851, sottolineando l’importanza di un’attività del genere in città in termini di sanità, igiene e beneficio per i cittadini.

Ma veniamo ai giorni nostri. Poco meno che vent’anni fa, a seguito di un intervento del Tribunale di Messina, si rende necessario un adeguamento della struttura alla normativa europea.

 Il 17 gennaio 1997, sotto la giunta Providenti, è approvato il “progetto dei lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento alla normativa Cee con potenziamento dell’attività produttiva del macello comunale” con modalità di gara di pubblico incanto. La base d’asta è fissata all’epoca a 4 miliardi e 410 milioni di lire, resa possibile da un mutuo, ottenuto dal Comune, di 6 miliardi.

Il progetto, quindi, prevede non solo la messa a norma della struttura ma la sua piena rimessa in funzione.  Sedici anni dopo dall’approvazione di quel progetto, il macello comunale non ha mai preso vita, diventando una delle vergogne della città, abbandonato nell’incuria, abitato negli anni dai più variegati ospiti, in primis senzatetto (fatti sgomberare in vista dell’asta pubblica indetta per vendere l’immobile dall’amministrazione Buzzanca) e infine da animali di ogni genere, che a tutt’oggi vivono indisturbati nell’immobile d’epoca.

“La mia idea era quella di proporre un appalto-concorso che consentisse ad un’impresa esterna di provvedere non solo all’adeguamento strutturale, ma anche al progetto e alle approvazioni. Ciò avrebbe di gran lunga contenuto i costi per il Comune”- racconta Luigi Beninati, al tempo Assessore al Commercio e alle Finanze.

Secondo quanto aveva pensato l’ex assessore, il macello ristrutturato sarebbe andato in gestione ad una cooperativa che avrebbe provveduto “non solo alla macellazione, ma anche ad un servizio di confezionamento della carne fresca e di trasporto della stessa, con evidenti benefici per i cittadini”, come lui stesso ha dichiarato.

I vantaggi sarebbero stati di due tipi: la possibilità di avere carni, se non nate ma quantomeno ingrassate in loco, ma anche la nascita di un sistema concorrenziale per chi detiene il monopolio della distribuzione della carne, che in un buon numero dei casi arriva in città congelata.

Inoltre provvedere ai mezzi di macellazione, la creazione di una macelleria, il sistema di confezionamento e di trasporto avrebbero certamente dato possibilità di impiego. 

Il Consiglio Comunale boccia l’idea gara-concorso optando per una più trasparente ma decisamente più costosa soluzione di indire un appalto per i soli lavori di messa in sicurezza dell’edificio, costringendo così il Comune a provvedere ai progetti e alle approvazioni del caso, con evidenti costi aggiuntivi.

I lavori terminano il 2 settembre del 2010, quando il sindaco è Salvatore Leonardi, durante la cui gestione ci si occupa del collaudo della struttura e gli ultimi lavori per la totale riapertura del macello.

“Il macello avrebbe dovuto riaprire in gestione all’ex cooperativa Mattatori -ha spiegato Beninati- ma quella cooperativa non aveva i mezzi per pagare la somma dovuta al Comune e nessuno subentrò ad essa, con il risultato che l’attività produttiva non è mai ricominciata”.

E continua: “E’ chiaro che la mancanza di un progetto integrato intorno al macello non poteva attrarre alcun tipo di investimento, una volta esauriti anche gli interessi di quei pochi lavoratori della cooperativa che avrebbero voluto riprendere la produzione, non se n’è più parlato”

Le spese, inizialmente previste entro i sei miliardi di lire, hanno raggiunto presumibilmente gli otto miliardi.

Qualche anno dopo, nel 2010, a seguito di un tavolo tecnico relativo al progetto per la riqualificazione funzionale ed il riuso dell’ex Macello Comunale, l’edificio viene inserito nel programma di alienazione degli immobili comunali.

Il 20 ottobre 2010, infatti, la Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Messina certifica che “non si ravvisano componenti architettoniche o elementi di rilevanza tale da prefigurare una sussistenza di rilevanza culturale”, nonostante la struttura si trovi pienamente in Zona A1 del Piano regolatore generale, ovvero in zona con immobili di interesse storico, monumentale o ambientale. Ma tant’è, il macello si può vendere e l’Amministrazione Buzzanca indice ben quattro bandi di gara. Il primo, del 2010, con base d’asta di 4 milioni e 775 mila euro, il secondo del 2011 con base d’asta di 4 milioni e 298 mila euro, il terzo e il quarto scendono a 3 milioni e 820 mila, accompagnati da un progetto di preliminare, che prevede il cambio di destinazione d’uso da macello ad attività commerciali e direzionali.

A nulla è valso che il Comune abbia abbassato il prezzo dell’immobile di quasi un milione di euro, la crisi morde e l’immobile rimane invenduto.

“Ci si voleva disfare della struttura e fare cassa -ha concluso Beninati- E’ rimasta un’occasione persa e la responsabilità è indubbiamente della politica. Non c’è progettazione, non si è scelta una vita produttiva per questa città. Nelle grandi città, i comuni gestiscono i servizi ai cittadini creando così produttività, cosa che non si è scelto di fare a Messina, basti pensare alle attività come la ex Sanderson”.

Il problema dei beni comuni investe in questi giorni grande importanza, in concomitanza con la sempre maggiore richiesta di partecipazione dal basso. L’ex Macello Comunale è uno di quei beni lasciati all’incuria, un disinteresse immotivato a cui si aggiunge un dispendio di denaro pubblico inaccettabile. A chi spetta la responsabilità di riprendere questi beni? A meno che il macello non diventi la prossima tappa del Collettivo Pinelli…..