Il clima di confronto tra Istituzioni e soggetti attivi nel contrasto all’illegalità sembra ritrovare coerenza e lealtà. Tralasciando il capitolo spinoso della “Trattativa Stato-Mafia”, succede come il neo Presidente della Commissione Antimafia, on. Rosy Bindi si ritrovi senza troppe cerimonie ad interloquire gomito a gomito con il fondatore di ‘Libera’ durante l’incontro su “La mafia si batte a scuola” organizzato da “Famiglia Cristiana”, il periodico paolino diretto da Don Antonio Sciortino.
Non è stato sempre facile il rapporto tra esponenti di partito e società civile impegnata in prima linea nel contrasto a tutte le forme di mafia. Al di là degli incontri formali – spesso limitati alla sola lettura sul fenomeno malavitoso e della corruzione – il ricordo di provvedimenti limitativi dell’azione profusa dagli inquirenti nelle indagini a sfonfo mafioso portavano la firma di parlamentari di quasi tutte le formazioni politiche. L’azione legislativa dei governi di centrodestra ad esempio resta ancora lì a ricordarci come sia davvero difficile nel nostro paese tradurre il messaggio sulla legalità, mettendo da parte pregiudizi o pretese di cambio di regime suggeriti in forza di consensi elettorali ottenuti. La vita di chi opera nei territori di frontiera porta anche amari precedenti in cui rappresentanti istituzionali minimizzavano se non addirittura sminuivano e mortificavano esperienze importanti di lotta concreta alla mafia. «Libera» non è un ente di formazione: le sue finalità sono «poco chiare». Fu questo il verdetto dell’allora ministro dell’ Istruzione, Letizia Moratti, in occasione dell’accreditamento dell’associazione di Don Luigi Ciotti tra gli enti di formazione, come se diffondere il pensiero antimafia e le prassi per liberarsi davvero dall’abbraccio del potere economico dei boss non fosse formativo. Quelle dichiarazioni colpirono al cuore l’ associazione che dal ‘ 95 è in prima fila nella lotta contro la mafia. “Mettere “Libera” in un cassetto è una ferita un po’ per tutti”, disse don Ciotti. Erano anche gli anni in cui il leghista Roberto Maroni, ministro del Welfare, con una lettera di due righe stralciava la convenzione con la banca dati on line sulle tossicodipendenze del Gruppo Abele.
SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI
“La Camorra esiste da 400 anni, da oltre 150 Cosa Nostra, la ’ndrangheta è solo poco più giovane. Non dimentico certo l’impegno dei magistrati, delle forze di polizia, di segmenti delle istituzioni e di parte della società responsabile, ma bisogna riconoscere che le mafie sono ancora forti e radicate in tutta Italia. Mi stupisco di chi si stupisce della loro presenza al Nord. Già nel 1983 un delitto di mafia uccide a Torino il magistrato Bruno Caccia… Le mafie hanno radici al Sud, ma i frutti, da tempo, li producono al Nord. Oggi però hanno cambiato pelle. Uccidono di meno, riciclano di più. Con la loro capacità di anticipazione e adattamento, hanno saputo inserirsi nei meccanismi dell’economia “immateriale”,aumentando i profitti e diminuendo l’allarme sociale. Tutto questo è avvenuto senza un’adeguata presa di coscienza sociale e politica. Come te lo spieghi?” Sono queste le parole che Luigi Ciotti, il fondatore di ‘Libera’ ha rilasciato a Famiglia Cristiana con il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, tenutosi proprio nella sede milanese del settimanale cattolico e di cui il periodico paolino riporta in edicola nella sua interezza.
E proprio sulla sensibilizzazione nell’ambito scolastico che don Ciotti si sofferma. Citando Nino Caponnetto («La mafia teme la scuola più che la giustizia, l’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa»), Ciotti ricorda come in questi anni sono stati realizzati progetti di valore, ma il dato impressionante è che “abbiamo un grande numero di analfabeti e un così alto indice di dispersione scolastica da meritarci il richiamo dell’Europa”.
“Aveva ragione da vendere, Caponnetto – continua don Ciotti – il problema delle mafie nasce innanzitutto da un deficit di cultura e di responsabilità. La loro espansione si avvale di coscienze addormentate e indifferenti. Le organizzazioni criminali hanno trovato inedite sponde proprio nella “società dell’io” e nel suo diffuso analfabetismo etico. Sono diventate forti in una società culturalmente depressa e politicamente debole, incapace di promuovere l’impegno per il bene comune”.
In Italia i poteri in mano ai magistrati nel contrasto alla criminalità organizzata si scontrano spesso con una legislazione ondivaga e non sono mancate uscite di ministri a suggerire come con la stessa mafia occorra addirittura tollerarla. “Non possiamo permettere, come è accaduto, che un ministro della Repubblica – sottolinea Bindi – dica che con la mafia dobbiamo convivere. È una resa inaccettabile alla logica mafiosa”. La presidente della Commissione antimafia si sofferma, tra l’altro, sui beni confiscati. Con questi, afferma, “si sono ottenuti risultati importanti, però va fatto un aggiornamento delle norme anche perché se non riusciamo a renderli produttivi facciamo aumentare il consenso alle mafie”.
Tra le proposte della Commissione, “l’albo degli amministratori dei beni confiscati, per evitare, aggiunge l’esponente della commissione, come purtroppo avviene, che a gestire le imprese sequestrate ci siano prestanome dei mafiosi e una rinnovata legislazione sugli enti locali in grado di rafforzare gli strumenti per prevenire infiltrazioni e condizionamenti criminali nelle amministrazioni”. Con coscienza però sappiamo come dalle proposte illuminate poi si debbano fare poi i conti con l’aula del Parlamento, un parlamento che solo fino a ieri vantava un numero spropositato di indagati, un Parlamento che con i nuovi equilibri non ha più alibi per decisioni nette ora che il fronte del centrodestra sembra in mutamento.
Sempre dalla Commissione Antimafia per bocca della Bindi altri due impegni: la Calabria e l’Europa. “Serve una legge speciale per la Calabria. Una regione che è in una situazione drammatica e che non può essere lasciata a se stessa e alla quale, al contrario, occorre restituire attenzione e risorse che le sono state negate o tolte. Infine – conclude Bindi – dobbiamo investire sul semestre europeo. Mi piacerebbe che si mettesse la lotta alle mafie al primo posto, perché la crescita sulla quale intendiamo puntare anche in Europa o è all’insegna della legalità oppure non è”. L’onorevole Rosy Bindi è stata eletta, infatti, nelle liste del suo partito proprio in Calabria. Un gesto che rimette in discussione anche il presupposto del legame col territorio portato avanti invece da coloro che rivendicano le preferenze per garantire rappresentanza ai territori. La Bindi però sfata anche un altro preconcetto. “Ci si è ostinati a dire che il problema riguardava le regioni meridionali senza capire che il vero guadagno le mafie lo realizzano al Nord. Sono state capaci di approfittare dell’economia malata di questi anni, mentre noi non ci siamo dati strumenti adatti per contrastarle. Ci ostiniamo a non capire che al pizzo o all’estorsione corrispondono i silenzi delle banche, la mancanza di una legislazione adeguata sulla trasparenza e di contrasto dei paradisi fiscali, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio”. Sui beni confiscati,poi, il presidente della Commissione Antimafia ricorda come si siano ottenuti risultati importanti. La Bindi riconosce anche come sia necessario un aggiornamento delle norme anche perché “se non riusciamo a renderli produttivi facciamo aumentare il consenso alle mafie. L’azienda sequestrata che fallisce e licenzia – continua – diventa un esempio negativo, provoca le manifestazioni sotto le Prefetture e gli attacchi ai magistrati che si occupano di misure di prevenzione”.
“Aiutarle a costruire una speranza per sé e i propri figli non è solo un dovere morale e sociale, ma un segnale per indurre anche altri a seguirle in quel difficile passo verso la dignità e la libertà” sono le parole infine di Don Ciotti, il quale rivela come “sempre più sono le persone che, pur non essendo tecnicamente né testimoni né collaboratori di giustizia, vogliono uscire da circuiti mafiosi e criminali nei quali sono vissute e dei quali si sentono ostaggi”.
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