Caso-TSO La parola al Dott. Matteo Allone

La vicenda della signora che in vacanza in un bed and breakfast di Messina si è ritrovata a dover passare sette giorni di TSO per una sbronza non è un fatto eclatante. O meglio, nel sentire comune e per una certo modo di pensare o di costume potrebbe apparire come un fatto scontato. Almeno è questa la sensazione che abbiamo avuto ascoltando, Giuseppe Bucalo, il Presidente dell’Associazione Penelope e l’allarme lanciato con la campagna Liberamente. Ma è proprio vero che i sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio siano oggetto di continui abusi e soprusi tanto da richiedere l’installazione di telecamere a circuito chiuso (una delle proposte lanciate con la campagna Liberamente)  per la loro tutela ?

Lo abbiamo chiesto al  Dott. Matteo Allone, Direttore sanitario del centro Camelot di Messina.

Dottore, i due interventi dei medici, la proposta e la convalida del TSO sono dei prestampati o presuppongono un’analisi effettiva ?

E’ un analisi effettiva, per rapidità e comodità si utilizzano dei prestampati. Ma è (solo) una questione di praticità.  Quello che rileva è il processo che c’è dietro lo stampato, si analizza la situazione, questa analisi è molto complessa e qui non ci sono stampati di sorta. La persona è in una situazione che richiede un intervento urgente terapeutico, perché è in una fase di scompenso psicotico, perché la sua patologia, i suoi comportamenti lo rendono pericoloso per se stesso e anche per gli altri, gli interventi curativi vengono rifiutati ed il terzo elemento, cioè non è possibile adottare misure extra ospedaliere. Tutti questi elementi  determinano la necessità di un ipotesi di TSO.  Comunque questa ormai è una estrema ratio, cioè nei centri di salute mentale i medici, tutti quanti, sono orientati ed impostati quanto più possibile ad evitare il TSO. Vi è una cultura talmente diffusa che nessuno fa il TSO a cuor leggero. Nessuno dice: ora mi tolgo il pensiero e faccio il TSO, in tutti i servizi di igiene mentale si fa tutto il possibile per evitarlo, almeno a Messina tutti i medici che conosco fanno di tutto per evitarlo. Non fermiamoci al prestampato.

Non volevo mettere in dubbio la professionalità….

Si,  ma io volevo sottolineare che pure se utilizziamo un modello dove senza mettersi a scrivere…subito firmiamo…senza motivazioni ?… cioè dietro un atto formale, il prestampato, vi è un’analisi , uno studio che qualunque medico prima di firmare ha già percorso. 

Soggetti, come nel caso della signora, che erano alterati da uno stato alcolico possono rientrare tra coloro assoggettabili al TSO?

Non tutti, non sempre, non necessariamente. Non è lo stato alcolico in se, non è la condizione psicopatologica in se…non è il criterio diagnostico. Dipende dalla condizione in cui è il soggetto e dal criterio fondamentale dello stato di bisogno d’intervento terapeutico del soggetto e del rifiuto dello stesso. Tanto è vero che se c’è la collaborazione del soggetto possiamo trasformare il TSO in trattamento sanitario volontario. E questo mi è capitato, anche personalmente, diverse volte. Quando troviamo un paziente che partecipa ad un progetto terapeutico noi ci semplifichiamo la vita.

Analizziamo l’ipotesi avanzata dell’associazione Penelope: è possibile notificare un provvedimento di TSO al paziente che rifiuta le cure o non segue i consigli del medico tramite vigili urbani o volontari? O vi è solo una possibilità di revoca del provvedimento? Cioè la signora del nostro caso, passati i due giorni di ubriacatura, poteva richiedere la revoca del TSO o doveva necessariamente ricorrere al Giudice Tutelare?

Sostanzialmente il paziente in qualunque momento può trasformare il TSO in trattamento volontario o può essere dimessa se non ha più bisogno di cure. Per quanto riguarda la notifica del provvedimento ad un paziente in stato di disagio mentale, a un paziente che nella pratica sta facendo del male a se stesso, sta girando nudo per la città, sta facendo volare letti dalla finestra, vive in casa da solo…chi gli notifica l’atto? Noi stiamo parlando di situazioni di questo tipo, di pazienti che non ti aprono la porta o ce l’hanno blindata…ne racconto uno. Un giorno i vigili urbani mi chiamano per un paziente che avevo in cura perché non riuscivano a farsi aprire la porta. Io vado e con la scusa delle sigarette riesco a farmi aprire, lo troviamo tutto nudo con un punteruolo infilato nel pene…stiamo parlando di questo tipo di soggetti.  Cioè, che cosa gli notifichiamo…ma stiamo scherzando. Il TSO nell’alcolismo è la meno cosa, noi dobbiamo considerare i casi “normali” di TSO.

E la notifica direttamente presso l’ospedale? Cioè la notifica al paziente già in TSO e non quella prima del ricovero. Per tutelare il paziente che come dice l’associazione Penelope può essere soggetto ad abusi e soprusi.

No, no, io non credo…intanto la pratica. Noi a Messina abbiamo perso i posti disponibili al Piemonte e abbiamo solo 15 posti al Papardo. Quindi, quando facciamo un TSO e non ci sono i posti il paziente deve arrivare sino a Lecce, fino a Bari. Perciò, quello che proprio non abbiamo voglia di fare è passare 2 o 3 ore per trovare un posto a Cefalù …praticamente tutta questa gran voglia di fare TSO non c’è. Ma lei pensi ai vigili urbani che devono partire per Lecce… è una cosa totalmente…oltre al fatto che noi dobbiamo ricostruire il rapporto con il paziente che poi, uscito, deve continuare a fidarsi di noi…parlo anche a nome dei colleghi. C’è una cultura totalmente diversa per cui complicarci la vita con notifiche…in molti casi… fondamentalmente… Il garantismo non è dovuto a questo (la notifica)  ma nell’atteggiamento, nei modi che si hanno in un processo ed in un rapporto che incomincia dapprima (dell’ospedalizzazione) e che deve continuare anche dopo. Il TSO è un tratto, è un pezzettino, il paziente deve essere attenzionato nella fase precedente – se possiamo fare di tutto per evitarlo –  e nella fase successiva dove dobbiamo riaccoglierlo nei servizi territoriali.    

Dopo aver visto come il paziente sottoposto al TSO è valutato con differente metro a seconda che sia posto al centro delle valutazioni delle Associazioni o dei Dottori non ci rimane che raccogliere le valutazioni del terzo soggetto (l’Amministrazione Comunale) che compare in questo procedimento complesso che è il trattamento sanitario obbligatorio. Per questo motivo siamo andati ad intervistare l’Assessore alla Salute, Avv. Nino Mantineo.

Nel momento nel quale l’abbiamo sentito, l’associazione Penelope non aveva ancora formalizzato la proposta di convenzione ma ad una precisa domanda l’Assessore, pur riconoscendo la validità sia della proposta che della campagna Liberamente, una campagna a livello nazionale, non ne limitava l’appannaggio ad una sola associazione ma ne immaginava un impiego di più ampio respiro, tale da coinvolgere le diverse realtà cittadine. Con riferimento alla notifica del provvedimento del TSO al paziente, l’Assessore sostanzialmente si è trovato sulla stessa lunghezza d’onda dell’Associazione Penelope. Riconoscendo alla notifica quella funzione di mezzo idoneo a tutelare il paziente.  “In realtà ancora non sono state date le deleghe ma è chiaro che noi (come amministrazione ) siamo per la tutela del malato e la notifica può essere un mezzo utile per la tutela”. “L’ipotesi che i vigili urbani notifichino il provvedimento di TSO è solo a tutela del malato”. “Inoltre, oltre ai volontari previsti dall’associazionismo ,un apporto può essere dato anche degli assistenti sociali del Comune in una cooperazione proficua posta nell’esclusivo interesse del paziente.” La notifica che presuppone un opposizione, rispetto ai sette giorni, non sarebbe inutile ? No, perché è posta a tutela dell’abuso proprio su malati.

Non vi è dubbio che in questa vicenda vi è qualche incongruenza che lascia perplessi. Intanto, dalle interviste  raccolte risulterebbe che la Sig.ra abbia subito un TSO per aver deciso una sera di ubriacarsi. Che la stessa, pur sedata (cioè psichicamente contenuta, controllata o “raffreddata”) come ci ha detto il Sig. Bucolo, sia stata lo stesso riconosciuta alterata “psichicamente”, sia nell’atto di proposta che in quello di convalida predisposti dai due medici, lasci perplessi sulla reale necessità di applicare un TSO.

Infine, durante la permanenza del TSO, la stessa veniva visitata da due dei protagonisti di questa vicenda (l’Assessore e il Presidente dell’Associazione) i quali, pur riscontrandola lucida e “sana di mente” tanto d’aver dialogato e preso decisioni insieme ad essa, come quella di rimanere in ospedale un altro giorno,  non hanno fatto niente per “liberarla”. I rilievi non sono peregrini se consideriamo che per la nostra legislazione il TSO è equiparabile per i suoi effetti giuridici alla stregua della carcerazione e prevede le stesse tutele costituzionali.

Un ultima considerazione è quella relativa alla notifica del TSO. La legge 180/78 (legge Basaglia), recepita dalla legge n° 833 di riforma del sistema sanitario nazionale, non accenna a nessuna notifica da doversi fare al paziente sottoposto al TSO.  E’ prevista la possibilità di revoca del provvedimento anche a richiesta del paziente o di chiunque ne abbia interesse, è prevista la possibilità di trasformazione del trattamento da obbligatorio a volontario ed è possibile la revoca da parte del Sindaco.

La notifica è invece un atto che presuppone il ricorso al Giudice Tutelare. In altri termini, un’eventuale notifica al paziente con l’intento di metterlo in condizione di azionare un ricorso atto a dimostrare l’abuso del provvedimento sarebbe nei fatti superata dai tempi medici del TSO, 7 giorni salvo ulteriore e rara proroga. Pertanto, al paziente è sempre consentito dimostrare con un ricorso al Giudice Tutelare che il TSO è stato illegittimo o frutto d’abuso ma questo non impedirà che esso ne debba subire tutte le conseguenze sino al settimo giorno.

Pietro Giunta

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