Chi paga il pizzo non ha libertà.

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Saracinesche bruciate, vetri rotti, minacce ai figli sono alcune delle cose che i delinquenti fanno a chi non paga il pizzo, piaga che ancora oggi colpisce gli imprenditori siciliani e non solo. Per fortuna il popolo siciliano è forte e ha saputo ribellarsi grazie all’unione , alla denuncia e ai movimenti antiracket.

Il movimento antiracket è nato in provincia di Messina tra il 1990 e il 1991, precisamente a Capo d’Orlando. Sarino Damiano, Tano Grasso , Francesco Signorino e altri piccoli commercianti si unirono per denunciare gli estorsori e nel 1991 ci saranno i primi processi al Tribunale di Patti, che portarono a numerosi arresti e a una grande mobilitazione sia della stampa che dei cittadini.

Tano Grasso portò questa esperienza fuori dalla Sicilia. Oggi le associazioni antiracket sono più di sessanta e sono riunite dalla FAI (Federazione Antiracket Italiana).

Proprio questo è il tema della conferenza-dibattito “Chi paga il pizzo non ha libertà” organizzata da noi de “Il carrettino delle idee” il 28 Febbraio nel Salone delle Bandiere a Palazzo Zanca.

Erano presenti importanti ospiti tra cui il testimone di giustizia Gaetano Saffioti, originario di Palmi che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi estorsori e da allora vive sotto scorta. Ha dichiarato :”Mi sento un uomo libero adesso che sono sotto scorta da 14 anni, piuttosto che quando pagavo il pizzo”. Purtroppo a Palmi nessun commerciante ha seguito il suo esempio, come era successo nella cittadina siciliana sopracitata.

 “Nel corso del tempo ho registrato le estorsioni , le mazzette . Ci sono stati gli arresti e il sequestro dei beni. Dobbiamo capire che lo Stato è il padrone del territorio e che l’ndranghera, che è uno stato parallelo , deve essere messo di lato” a raccontato Saffioti.

“La mafia esiste perché la facciamo esistere con le nostre debolezze e paure” continua il testimone di giustizia  . “Meglio povero e ricco che schiavo e libero”.

 Invece Luigi Chiara professore presso il dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche  ha affermato:“Quello delle pratiche estorsive è un fenomeno che trova il suo fondamento e la sua evoluzione  nella mancanza, all’interno della società, di una cultura alla legalità. Persone come Saffioti non dovrebbero essere l’eccezione, ma la normalità”. Per combattere la mafia deve cambiare il contesto culturale , non solo in Sicilia ma in tutta Italia.Non bastano le azioni repressive. I costi diretti e indiretti e soprattutto psicologici per le vittime sono enormi, infatti molti si pentono di aver denunciato perché spesso vengono lasciati soli.  Incisivo anche l’intervento di  Giuseppe Scandurra presidente della FAI: “Penso che la cosa più importante è quando si incide nel territorio. In questi ultimi tre anni sono nate 21 nuove associazioni con più di 300 imprenditori che hanno denunciato . L’indagine viene fatta bene quando ci sono gli imprenditori che collaborano. Ma non è facile.  Vogliamo che chi denunci trovi solidarietà nella società”. Ha anche parlato della situazione calabrese in cui sono in pochi a denunciare e chi lo fa rimane completamente isolato. Il Presidente si dichiara ottimista e auspica che ci siano tante persone come Gaetano Saffioti.

Ha partecipato anche Emanuele Crescenti Procuratore Capo di Barcellona Pozzo di Gotto che ha dichiarato che da 20 anni le famiglie mafiose sono sempre le stesse.  Il dibattito è stato  moderato da Nuccio Anselmo giornalista.

A fare gli onori di casa è stato Dino Sturiale, direttore de “Il carrettino delle idee” che ha anche realizzato lo spot “Free From Racketeering”, proiettato per la prima volta proprio durante il convegno.

È necessaria una sinergia tra le associazioni e le istituzioni sociali per creare una cultura della legalità che al momento non esiste. 

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