Chiesa e mafia. Intervista a padre Giacomo Panizza

Chiesa e mafia. Binomio da tempo tristemente automatico. Associazione di pensieri che rischia di inquinare e velare di sospetto anche le attività di uomini di Chiesa onesti, rispettosi del proprio Credo e spesso in prima linea nella lotta alle mafie. Una lotta che fa paura, spaventa e mette in allerta quelle stesse mafie che poi organizzano attentati, intimidazioni e violenze. Perché è questo che scatena il panico: l’azione di quanti, dal basso, per le strade, nelle scuole e nelle parrocchie, è a contatto con il popolo. Lo stesso popolo che ieri seguiva come un gregge una mafia mascherata da cane guida, oggi segue consapevolmente un pastore coraggioso e fedele alla propria Chiesa, ai valori di onestà e legalità. Ma il ricordo di un passato mai del tutto ‘passato’ (si conceda il gioco di parole, ndr) rischia di sporcare quello che di pulito si mantiene. Un’eterna partita a pingpong tra il bene e il male, tra la chiesa e la Chiesa, tra i preti e gli Uomini di Fede. Da una parte funerali di boss mafiosi degni di un circo vecchia maniera, con carrozze, cavalli, orchestre da fiera di paese e giochi d’artificio come se piovesse. Scenari che sembrano usciti dalla canzone ‘A Finestra’, di Carmen Consoli, in cui si canta di ‘padre Coppola’ che balbetta e interrompe l’omelia perché ‘sua maestà’, il boss del paese, deve farsi la comunione. Dall’altra parte, Uomini di Chiesa che, quotidianamente, senza sfarzi, senza propaganda e senza richieste di attenzioni, vivono per la strada, a contatto con quei giovani che DEVONO essere salvati da un mondo di promesse e secondi fini, di guadagni facili e di ‘onori’ fasulli. Questa attenzione però, è giusto darla. Per tutti gli uomini e le donne di Chiesa che ogni giorno combattono una battaglia nelle trincee della strada, ignorando minacce e attentati. Perché è questo il loro DOVERE.

Noi de ilcarrettinodelleidee abbiamo intervistato padre Giacomo Panizza, sacerdote bresciano da più di 30 anni attivo tra Sicilia e Calabria, dal 2002 sotto tutela per le ripetute minacce da parte del clan dei Torcasio. Una breve ‘chiacchierata’ per tentare di far luce su un fenomeno dai diversi volti. Poche e asciutte domande, prive di ampollosità sterili e senza scopo, per capire, conoscere il nemico contro cui resistere, e tentare di delimitare il sottile confine tra il bene e il male.

In Sicilia la mafia sta tornando a minacciare uomini e donne di Chiesa. Nel palermitano una suora viene minacciata. Lo stesso totò riina è stato chiaro nell’affermare che la maggiore minaccia per la mafia è costituita dai preti perché agiscono direttamente sul territorio. Qual è, dal suo punto di vista, il nodo della questione? Come descriverebbe la situazione attuale?

Possiamo dire che ad oggi nella Chiesa si è fatta maggiore chiarezza. E’ più netta e chiara la distinzione tra chiesa e mafia. Pur sapendo che la chiesa e la mafia non devono andare d’accordo, ormai a livello popolare, non solo a livello sacerdotale, la gente chiede conto ai preti. Se prima magari ci guardavano pensando alle ricchezze, per vedere se fossimo scialacquoni, con macchine di lusso ecc… oggi indagano su eventuali amicizie con famiglie mafiose.

Non mancano però episodi che vedono preti celebrare funerali a mafiosi acclamati. Questo annulla il percorso che altri, MOLTI, fanno.

Dipende da come si è d’accordo con il Verbo. Qui ad esempio a Lamezia, un mafioso è stato ucciso mentre lui stesso tentava di uccidere. Il funerale non si è fatto perché era palese la sua appartenenza alla mafia. Poi magari si è celebrata la ricorrenza dopo il mese o l’anno, per volere dei familiari. Il problema è che non ci sono stati dati dei regolamenti uniformi. Per la gente sono mafiosi, per la legge devono passare i cosiddetti 3 gradi di giudizio per essere considerati colpevoli. Ecco, ci manca, come Chiesa, una guida che possa dirci come sia giusto comportarsi. Ad esempio, potrebbe essere stabilito che si possa celebrare il funerale, purché non ci sia pompa magna, banda, che non ci sia il fenomeno che vede la famiglia uscire vincitrice sulla Chiesa. Questo aspetto a mio avviso è ancora da mettere a punto. Ad oggi, ogni prete si regola a modo suo, magari indipendentemente dalla parrocchia vicina. E’ questo quello che manca, quello che lascia l’amaro in bocca un po’ a tutti.

Ultimamente la mafia sembra non parlare. Ma noi sappiamo che quando la mafia sta zitta in realtà si sta organizzando. Il contrasto potrebbe venire dalla strada, dalle piazze, dalla gente. In che modo si può agire per prevenire l’organizzazione mafiosa?

Secondo me in questi momenti, NOI PRETI DOBBIAMO TENERE DURO E LASCIARCI ANCHE MINACCIARE. Subire avvertimenti, attentati. Questo perché in questo momento hanno capito che i preti possono ostacolare l’avvicinamento o meno tra popolazione e clan mafiosi. Noi possiamo facilitarli o ostacolarli. Se noi preti dimostriamo di non vivere nel passato ma di essere testimoni della nostra fede e della Cristianità, loro si accorgono che la gente non gli va più dietro come in passato. E sanno che il motivo non sta dietro la presa di coscienza del singolo, ma del popolo che segue il prete. Non so se mi sono spiegato”.

E si è spiegato, si è spiegato benissimo…

Gaia Stella Trischitta