Il cosiddetto “caso Ruby”, cui la pletora di fedeli berlusconiani vorrebbe dare dimensione esclusivamente privata, in realtà è uno squallido fatto che riguarda l’intero Paese per più di un motivo: non solo la persona del Presidente del Consiglio è accusata di due gravissimi reati quali concussione e prostituzione minorile (e questo dovrebbe bastare per convincerlo a ritirarsi a vita privata nel rispetto delle regole del vivere civile), ma è stata bruscamente messa a rischio la sicurezza del Paese, così come è stata svilita la dignità delle istituzioni, oltre che offesa quella delle donne italiane, che sono scese in piazza oggi per partecipare alle manifestazioni “Se non ora quando?”.
Il nostro Paese pullula di giovani e meno giovani donne che lavorano, che studiano, che crescono figli e che si realizzano: con enormi sacrifici, con grande vigore, con immensa perseveranza. Quelle donne scendono in piazza per difendere la propria immagine, sì, ma soprattutto il prestigio di un Paese che sta diventando lo zimbello d’Europa anche grazie ai festini e alla politica del “bunga bunga”. Quelle donne meritano pertanto gratitudine, prima ancora che rispetto. Da loro bisogna prendere esempio. Perchè hanno saputo reagire ed opporsi, e potrebbero diventare il motore trainante di una ribellione sociale, di quella tanto bramata rivoluzione pacifica che rimetta a posto i tasselli del puzzle.
“Ciarpame senza pudore”, sentenziava, a ragione evidentemente, Veronica Lario nell’aprile del 2009, in piena campagna elettorale per le europee, commentando il livello delle candidature femminili del PdL. Oggi non possiamo certo dire che l’ex moglie del Presidente del Consiglio parlasse a vanvera o fosse in preda ad un delirio. Le sue parole, infatti, rimangono scolpite nella nostra memoria e riecheggiano prepotentemente ogni volta che acquistiamo un giornale e leggiamo in prima pagina le intercettazioni o notizie che riguardano i famigerati festini a base di “bunga bunga” di Arcore, per i quali si sono spesi indegni rappresentanti delle istituzioni, prezzolati giornalisti e avvoltoi travestiti da avvenenti ragazzine.
Sbaglia chi crede che questa mobilitazione nazionale sia intrisa di una ideologia femminista di vecchio stampo. In realtà le donne italiane, quelle vere, vogliono giustamente respingere quell’idea di degrado etico e civile che il Governo Berlusconi sta offrendo al mondo e, prima che “difendersi” dalle brutali offese ricevute, provano a garantire il decoro di una nazione in balia di meretrici e papponi e irrisa dai media internazionali, preoccupati prima di tutto da una silente rassegnazione del popolo italiano, abituato a subire passivamente le arroganze e prepotenze della malapolitica. Un Paese in cerca di verità e giustizia per le tante stragi di mafia e del terrorismo rimaste impunite, oggi si trova a dover fronteggiare le pulsioni ossessive di un vecchio che ha perso il contatto con la realtà. Tutto ciò non può passare inosservato, ed è anche per questo che si scende in piazza.
Le donne italiane, fondatamente, rifiutano di essere accomunate sia alle ragazzine che frequentano le stanze del premier per “arrivare prime”, sia a quelle donne che, invece di occuparsi della cosa pubblica (è il caso della consigliera regionale lombarda Nicole Minetti, come dell’europarlamentare Ronzulli), si preoccupano di “reperire” e “smistare” le giovani animatrici delle serate di Palazzo Grazioli, Villa Certosa o Villa San Martino.
Le donne italiane non possono in alcun modo lasciarsi ricoprire di fango, nè accettare che il loro ruolo all’interno della società, per il quale hanno pure dovuto lottare alacremente, venga deprezzato; non possono permettere che si dica o si pensi di loro che sono “pura merce di scambio”. Il mancato rispetto per la figura femminile, a pochi giorni dal centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, non può che lasciare attoniti e drammaticamente increduli.