Celle fotovoltaiche di terza generazione che utilizzano coloranti naturali per trasformare l’energia solare in elettrica sfruttando esclusivamente materiali rinnovabili ed ecosostenibili quali il vetro, l’ossido di titanio e, fra gli altri, la frutta! Non è fantascienza, ma una realtà in attuale sperimentazione che perfettamente si inserisce all’interno di un programma di ricerca in sintonia con il crescente bisogno di energia ricavata da fonti rinnovabili, che possano fronteggiare il problema ecologico, ormai definito emergenza.
Tutto inizia nel 2008, da un brevetto degli inventori Giuseppe Calogero (Ricercatore) e Gaetano Di Marco (Primo Ricercatore), impegnati presso i laboratori del CNR-IPCF di Messina (Consiglio Nazionale della Ricerca – Istituto per i Processi Chimico Fisici). In seguito, una serie di Progetti coordinati dal Dott. Gaetano Di Marco, responsabile del gruppo di ricerca “SOLARE”, hanno fornito le risorse necessarie a continuare la sperimentazione. “Nonostante si tratti di ricerche sperimentali, iniziate da pochi anni, i risultati finora raggiunti hanno già ricevuto importanti riconoscimenti a livello internazionale. Se si pensa che le ricerche riguardanti il fotovoltaico tradizionale al silicio sono iniziati nei primi decenni del ‘900, il nostro progetto, sin da subito, ha dato risultati interessanti.” afferma il dott. Giuseppe Calogero.
Ciò che rende questo dispositivo originale in termini di sostenibilità è la sua stessa struttura, come detto, composta in ogni sua parte di materiali ecosostenibili e rinnovabili. La cella solare studiata dai ricercatori del CNR-IPCF consta infatti di due elettrodi, tenuti insieme da un collante: uno chiamato anodo (il polo negativo) e l’altro definito catodo (il polo positivo). L’anodo, ovvero un elettrodo sensibile alla luce, è composto da un vetro reso conduttore da un sottilissimo strato di ossido di stagno drogato con fluoro (FTO), avente uno spessore circa un milione di volte più sottile di un capello. Su questo vetro conduttore viene stesa, per via serigrafica, una miscela di ossido di titanio, materiale utilizzato come colorante in pasticceria o nei dentifrici. Anche questo, dunque, completamente atossico (purché in forma di pasta o creme, e non in polvere). Questa pasta di ossido di titanio risulta inoltre completamente trasparente, in quanto composta da sfere mille volte più piccole dell’occhio di una zanzara. Ciò non compromette dunque la trasparenza del vetro che andrà a costituire parte della cella fotovoltaica. “Ci si potrà aspettare in futuro di vedere celle fotovoltaiche che riproducono fotografie, o copertine di dischi, o ancora scritte pubblicitarie” commenta il dott. Calogero, illustrando le potenzialità di un progetto che, pur in fase di sperimentazione, sembra poter alimentare grandi aspettative. Ma in tutto questo, ci si chiederà, che ruolo avrà la frutta? Ebbene, una volta preparato l’anodo, verrà portato ad una temperatura di circa 500 °C, e dopo essere stato raffreddato, verrà immerso in una soluzione di colorante naturale estratto dagli scarti della frutta. Non solo quindi un colorante completamente atossico e rispettoso dell’ambiente, ma anche ottenuto da ciò che andrebbe eliminato. La frutta che meglio si presta all’utilizzo è quella più colorata: fichi d’india, gelsi, more, arance rosse, ma anche melanzane e carote nere o altri frutti e vegetali simili. Il risultato finale sarà un elettrodo (il fotoanodo) capace di raccogliere la luce solare grazie al colorante assorbito su di esso.
La controparte, ovvero il catodo o contro-elettrodo, costituisce il polo positivo della cella. La sua preparazione è simile alla precedente: il vetro verrà ricoperto con uno strato sottilissimo di platino a specchio , tramite una tecnica definita ‘sputtering’, così da ottenere il catalizzatore. In alternativa allo sputtering, tecnica costosa che richiede macchinari specifici, il platino potrà essere spruzzato direttamente sulla superficie con un aerografo in forma di sale sciolto in soluzione. Dopo il procedimento che renderà il vetro un catalizzatore, si ripeterà la cottura a 500 °C, come nel caso dell’anodo. Altra possibilità è quella di usare la semplice grafite contenuta nelle comuni matite da disegno, in questo caso nessun trattamento termico sarà necessario. Le due parti vengono così sigillate tra loro tramite una guarnizione di plastica. Lo spessore costituito da quest’ultima garantisce che i due elettrodi non tocchino tra loro per evitare fenomeni di corto circuito. La miscela elettrolitica, composta da iodio, ioduro e solvente (la comune tintura di iodio), viene inserita all’interno della cella attraverso un foro praticato in precedenza sul catodo. Anche nel caso della miscela elettrolitica, i componenti possono essere di uso comune e presenti in natura come per esempio lo iodio, notoriamente presente nelle acque del mare.
Il principio di funzionamento inizia con l’assorbimento della luce ad opera del colorante naturale, l’energia contenuta nella radiazione solare assorbita viene utilizzata per spostare alcune cariche elettriche (gli elettroni) dal colorante stesso alle particelle di biossido di titanio e da queste alla superficie del vetro conduttore. Il fotoanodo quindi si caricherà negativamente e sarà pronto a trasferire queste cariche elettriche al contro-elettrodo tramite un filo elettrico esterno alla cella. La corrente elettrica, una volta trasferita al contro-elettrodo, passerà dunque attraverso l’altro vetro conduttore, quindi al catalizzatore (platino o grafite) e da questo alla soluzione elettrolitica che funzionerà da spola per le cariche elettriche, riportandole tramite lo ione ioduro al colorante che le aveva perse riportandolo nel suo stato fondamentale iniziale. Il processo si ripeterà di nuovo con un nuovo assorbimento di luce da parte del colorante e potrà continuare moltissime volte, essendo limitato solo dalla stabilità dei vari componenti.
Un meccanismo complesso a parole, ma straordinariamente semplice se si considerano i materiali utilizzati e il ciclo lineare percorso dall’energia. Il difetto che ancora non permette di considerare queste celle una valida alternativa al comune fotovoltaico è il deterioramento di alcuni componenti. A dispetto di una durata di 30 anni, propria delle celle al silicio, questi dispositivi ecosostenibili dopo qualche anno perdono parte della loro capacità di convertire l’energia solare in corrente elettrica. L’inconveniente è dovuto al rapido deterioramento della guarnizione in plastica e alla conseguente fuoriuscita della soluzione elettrolitica. Le ricerche in questo momento si stanno quindi dedicando all’individuazione di un sigillante più longevo e al tempo stesso economico ed ecosostenibile. Altro fattore che rende ancora non competitiva questa tecnologia è la più bassa resa energetica rispetto alle celle al silicio. “Il rapporto attualmente è di 1 a 20” spiega il dott. Calogero.
Se ad oggi risulta quindi improponibile il paragone tra le celle al silicio e quelle, potremmo dire, alla frutta, lo stesso non vale se le si confronta con le attuali batterie a ioni di litio. Continua infatti il dott. Calogero: “rispetto ai comuni sistemi di alimentazione di piccoli oggetti, quali cellulari o altri dispositivi simili, queste celle sono più funzionali. Non è infatti da sottovalutare la potenzialità di questi sistemi che possono essere utilizzati come vere e proprie mattonelle, dato che una delle due superfici che compongono la cella può essere di materiale ceramico. Si potrà caricare un piccolo dispositivo collegandolo semplicemente al muro di casa.” Da considerare inoltre la capacità di questi nuovi sistemi di essere sensibili anche alla luce artificiale. “Un grande pregio è che hanno maggiore resa con la luce diffusa, all’interno di locali o abitazioni. Inoltre, rispetto al silicio, sopportano meglio il calore solare” continua il dott. Gaetano Di Marco, che conclude: “Attualmente lo studio si concentra sull’ottimizzazione di un prototipo. Lo scopo non è solo ricercare l’elemento fotosensibile, ma anche le migliori soluzioni per ciò che riguarda tutti gli altri componenti della cella. E’ un progetto a larghissimo spettro, che coinvolge non solo il mondo della fisica, ma anche quello biologico, chimico, dell’agricoltura, dell’architettura e del design”.
A conferma delle molteplici strade percorribili da un progetto dalle straordinarie potenzialità, il concorso bandito nel 2012 dalla Fondazione di Comunità di Messina, in collaborazione con la Fondazione Horcynus Orca, l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e con l’Istituto dei Processi Fisico-Chimici del CNR di Messina. Tema del concorso, la progettazione di un giocattolo ecologico, interamente assemblabile dai fruitori dello stesso, il cui funzionamento si basa proprio sulle celle fotovoltaiche di terza generazione. Un importante incentivo alla ricerca, finalizzato sia alla produzione in serie di un prodotto assolutamente innovativo, ecologico e sostenibile, che alla diffusione di un dispositivo in grado di sensibilizzare i bambini al rispetto dell’ambiente e all’uso di energie alternative e rinnovabili. Ad oggi, la collaborazione tra l’ IPCF e la Fondazione Horcynus Orca continua, a testimonianza dell’interesse suscitato dalla ricerca sperimentale sulle celle di terza generazione.
Un lavoro straordinario, multidisciplinare e multifunzionale, che potrà coinvolgere industrie e campi diversissimi. Una possibile rivoluzione che potrebbe realmente modificare non solo le abitudini quotidiane, ma anche il modo di concepire il rispetto per l’ambiente. Gli usi potenziali sono molteplici e, considerando la giovane età della tematica proposta, le aspettative non mancano.
I frutti, perdonando il gioco di parole, non tarderanno ad arrivare.
Gaia Stella Trischitta