Spendere gran parte della propria vita per aiutare i meno fortunati senza avere alcun ritorno economico: scopo oltremodo nobile, perseguito -purtroppo- da poche persone. A seconda delle proprie caratteristiche, del proprio titolo di studio, dalle proprie esperienze di vita, si possono selezionare diversi campi di volontariato: medici, reporter freelance, semplici volontari… La scelta è ampia, e, dopo un corso per partire, si può andare sul territorio ad aiutare chi ha bisogno.
Abbiamo incontrato una volontaria che è stata in Africa, che ci spiega come “una volta che torni da là, ti rendi conto che le cose che ritenevi importanti sono solo futili. Ti cambia la vita, sono esperienze che segnano. Gli africani sono meravigliosi. Dovrebbero odiare i bianchi per tutto quello che hanno fatto loro nella storia, invece la maggioranza è, nonostante le difficoltà, allegra“.
Parliamo proprio dei migranti: chi parte dall’Africa come arriva nel nostro Paese?
“Il viaggio è duro e lungo: le condizioni sono tutt’altro che umane, dovendo attraversare il Sahara senza acqua né cibo; quelli che un tempo erano semplicemente ‘scafisti’ ora sono ‘piloti’, e anche in questa nuova veste lasciano molta gente per strada. In tutti i gruppi di migranti disperati che lascia l’Africa, meno della metà arriva a destinazione. Sono peggiorate le condizioni, che già non erano esaltanti“.
Da dove partono, e che tratta percorrono?
“La più frequentata è quella che passa attraverso il Sahara e arriva nel golfo di Sicilia. Poi partono anche da Turchia, Senegal, Libano… Non solo dall’Africa, come puoi vedere. E i numeri sono in aumento, il che causa, appunto, un notevole peggioramento delle condizioni del viaggio“.
Ma i migranti chi sono? Perché vanno via dal loro Paese?
“Ci sono due tipi di migranti fondamentalmente: chi scappa dalla guerra, e chi scappa dalla miseria. La guerra -intendiamoci- È miseria; ma chi arriva dalla guerra arriva segnato, rabbioso nei confronti della vita, il che pregiudica in parte il suo inserimento in società. Chi arriva da una situazione di fame e carestia (ad esempio chi parte da Haiti, Darfur, Pakistan eccetera) non arriva, fortunatamente, in quello stato mentale“.
Ok, questo quindi il viaggio. E una volta arrivati in Italia? Dove vivono?
“Be’, una volta in Italia vengono sistemati in dei centri di accoglienza (di Caritas, Emergency -che a Palermo ha aperto da qualche anno un poliambulatorio solo per i migranti- eccetera) e vengono registrati: lavoro non certo rapido, perché non tutti hanno i documenti; in seguito vengono visitati da medici ed eventualmente curati, e successivamente vanno a colloquio con uno psicologo. Poi, secondo la legge vigente, dovrebbero andare a casa, espulsi dall’Italia, ma al riguardo ci sono diatribe perché la legge stessa è poco chiara.
I centri di accoglienza, comunque, non sono dei lager come si pensa: il problema principale è il sovraffollamento, che fa sì che ci siano meno cure per ciascuno; i lager erano tutt’altra cosa, qui l’unico (grosso) problema che porta via cure e attenzioni è questo.
Tornando ai migranti, il loro destino qua è il ritorno a casa o la fuga, e quindi la vita da strada. Tieni conto che loro partono con niente in tasca, e quindi sono costretti a fare di necessità virtù. Molti africani per religione non bevono, ma quando arrivano qua diventano alcolisti per disperazione; la Caritas li mantiene per quello che può (cibo, indumenti ), ma loro sono facili prede della criminalità, che diventa per molti un modo per sopravvivere“.
Quindi è la criminalità organizzata a mandarli per strada, a fornirgli la merce da vendere?
“Loro non hanno soldi, quindi sicuramente non vnno a comprarsi i fazzoletti per rivenderli al semaforo. Hanno qualcuno dietro che li manovra, sì“.
A livello di comunità, quali sono le più integrate nel nostro Paese?
“I senegalesi sicuramente! Credo siano la comunità migliore. Loro hanno portato l’arte, la musica del loro territorio qui da noi, hanno portato cultura. Sono -come tutti gli africani che non vivono la guerra- molto pacifici. Più difficoltoso invece l’inserimento dei marocchini, che sono parte integrante ormai del nostro vivere quotidiano, ma che hanno alcune difficoltà a diventare una parte “viva” del territorio. Chiaramente, in entrambi i casi, non possiamo fare di tutta l’erba un fascio: ancor prima che senegalesi o marocchini, sono uomini diversi tra di loro“.
Quanto cambia la vita conoscere l’Africa in questo modo?
“Quando ripenso all’Africa il cuore mi diventa come una nocciolina. mi viene quasi il magone. È un’esperienza da vivere, ma bisogna ricordarsi sempre che volontari si nasce, non ci si improvvisa. Se qualcuno volesse andare in quei paesi a dare una mano, dovrebbe prima contattare un’Organizzazione non governativa e fare un corso per partire: per essere volontari bisogna studiare. Emergency, Save the children, Chiama Africa, Francesca Rava per Haiti, Mezzaluna rossa… tutte queste, e anche altre, sono ONG che preparano i volontari e che sono presenti in Africa. E che preparano per l’esperienza più significativa per la vita di una persona“.