La storica libreria indipendente “Bonanzinga” cambia veste e lo fa riprogettandosi come struttura modulare, interattiva e green nella nuova sede di via XXVII luglio. Uno spazio che si tinge di azzurro, il nuovo green, una nuova tendenza, dove sezioni importanti come quelle dedicate ai bambini siano ben visibili dalla strada, che mantenga il ruolo di “luogo della narrazione” fruendo al contempo della consulenza del territorio.
Un progetto di design che però nasconde molto altro. A rinnovarsi è l’idea stessa di libreria che ruota tutto attorno alla centralità del lettore, primo consulente, attivo e partecipe e soprattutto di libraia indipendente, in tutti sensi. Daniela Bonanzinga ha deciso, infatti, di staccarsi dall’eredità familiare per fare spazio, è il caso di dirlo, alla donna, militante e ribelle, in cerca della sua impronta personale.
Nel 1969 il padre, primo agente Einaudi rateale a Messina e in Sicilia e dirigente di un grosso gruppo editoriale torinese, è pioniere nel creare la prima libreria del sud Italia senza un settore di scolastica. La madre, lettrice incallita e frequentatrice dei salotti letterari di Messina, prende in mano la libreria diventando punto di riferimento in famiglia e sul territorio.
In mezzo Daniela. 40 anni di militanza in libreria l’hanno spinta a cambiare non solo se stessa ma il tessuto sociale in cui agisce. Tra gli scaffali e i libri della storica sede di via dei Mille, che sta per lasciare, ci racconta come tutto cambia e si rinnova. Tra impegno, scelte consapevoli ed emozioni.
Mentre le librerie indipendenti chiudono lei si rinnova, è così che si diventa migliori librai di Italia?
Sono diventata libraia non per vocazione ma per eredità. Quando c’è un’attività in famiglia, gli atteggiamenti sono due: o si sposa la causa o la si rifiuta. Dentro un’azienda familiare però sviluppare personalità, autonomia e potenza è una cosa molto complessa, specialmente quando i tuoi genitori diventano i tuoi competitors, ed è molto difficile che un genitore sia tanto illuminato da sgravare il figlio da questa concorrenza. Si diventa i migliori librai di Italia cercando il potere personale dentro un’azienda di famiglia.
Lei come hai trovato il suo posto al di là di un’eredità sicuramente importante?
Il mio è stato un progetto di ricerca interiore e lavorativa. Quando ho deciso di staccarmi dalle strategie che mio padre proponeva per implementare il territorio nasce il laboratorio “La libreria incontra la scuola” che mi è costato anni e anni di ponderata meditazione. I miei studi sull’intelligenza emotiva e la scuola di formazione per librai mi hanno portato a inventare un nuovo modo di leggere che vedeva al centro il protagonismo degli studenti, cosa che mi ha visto per anni impegnata in una militanza totale in tutte le scuole della città. Ho trovato una schiera di docenti stanchi dei loro alunni che non leggevano e desiderosi di dare altro. Quella è stata la forza, il motore.
Questo tipo di militanza non si fa solo per il profitto.
400mila occasioni di lettura, 155 autori di chiara fama…No. Non si fa per il profitto! Si fa perché si ha una visione sociale del proprio lavoro. La struttura profonda della mia visione sociale è stata sempre portare alla lettura un lettore in più, non rinforzare quelli che leggono. In questo mi sono sempre sentita altro rispetto al resto dei miei colleghi e alle politiche legate alla lettura.
Una militanza che l’ha vista anche portatrice di legalità, sempre in prima fila.
Questo è un lavoro straordinario perché ti fa incontrare persone che scrivono perché hanno dei messaggi. La forza è stata quella di non declinare quest’attività solo verso le realtà semplici. Io mi batto molto per le aree a rischio e per quelle scuole dove l’utenza è più debole e fragile. Ho interpretato la legalità dentro il mio lavoro e ho sempre avuto molto chiara la mia parte.
Quell’unità in più che ha portato alla lettura, quanti sacrifici le è costato?
Tutto nella vita è studio, applicazione e tecnica. Non mi è costato fatica perché una volta che mi sono impossessata degli studi sul cervello emotivo, uno per tutti Goleman, e dopo avere acquisito le competenze necessarie, ho canalizzato le tecniche e messo il laboratorio in movimento.
Da cosa nasce il suo approccio e successivo approfondimento dell’intelligenza emotiva?
L’attenzione all’intelligenza emotiva nasce da un sacrificio familiare dove il mondo intellettuale del cognitivo e del sapere aveva sempre avuto alta priorità rispetto al mondo delle emozioni e siccome io donna, Io bambina, io Daniela sono sempre stata posizionata su un canale privilegiato, che era quello delle emozioni, ho dovuto prima trovare la giustizia di tutto questo, a discapito di quello che nella mia famiglia hanno sempre voluto farmi credere, ovvero che il mondo dell’intelligenza e del miglioramento del sapere fosse quantomeno migliore del mondo delle emozioni.
Un rinnovamento che non riguarda solo gli spazi, dunque, ma anche lei come donna e come imprenditrice.
In 40 anni non mi sono mai sentita protagonista del mio spazio. Sempre una persona che si adeguava alle scelte degli altri anche con grandi conflitti. Ho portato il peso fin quando ho reputato giusto. Negli ultimi anni ho portato il peso di questa crisi che ha condotto 1300 storiche librerie indipendenti alla chiusura. Abbiamo resistito in 300. Quando ho capito che ce la potevo fare ho capito anche che era arrivato il momento di un progetto personale, uno spazio nuovo interpretato da me all’interno del quale io possa vivere facendo le cose che mi piace fare. Qui, in via dei Mille, ho dovuto rinunciare a troppe cose.
A questo punto posso abbracciare la mia storia personale nella certezza della giustizia di tutto quello che ho fatto. Alla fine ognuno di noi cerca riconoscimento. Una volta che questo riconoscimento lo porto dentro non ho più bisogno del riconoscimento della mia famiglia e quindi arriva il momento di tagliare il cordone. Il presente e il futuro sono gli unici tempi che m’interessano.
Nel suo percorso è stata supportata da altre donne, in particolare Sara in veste di consulente l’ha accmpagnata per 19 anni
Sì, Sara è il mio braccio destro, è la persona che ho scelto, espressione di uno dei miei primi moti di autonomia dentro l’azienda familiare. È la prima persona che ho selezionato nel personale ed è quella che ha rinunciato a tutto ciò che gli altri pensavano dovesse essere priorità, ha scelto il privato al posto del pubblico. Il potere tra le donne cresce e si accresce nella dimensione in cui lo ci si riconosce ed io riconosco in Sara un gradissimo potere personale e una grandissima competenza che viene declinata su molti saperi. Sono onorata di collaborare con lei.
Donne indipendenti che fanno rete, quanto è difficile nel contesto locale?
E’ difficile in tutta Italia, siamo un Paese al Medioevo latino perché le donne vengono tenute molto al margine. Se sono siciliane e vivono a Messina, tutto diventa più problematico, anche perché siamo lontani dal punto di vista di trasporti, velocità, costi…per andare a una fiera del libro devo ipotecare tre giorni. Non dico che è impossibile, anche perché ci sono molte donne che fanno impresa a Messina, ma non ditemi che il peso specifico di farlo a Roma o a Messina è lo stesso perché è una menzogna.
Come ha detto lei ci sono molte donne imprenditrici a Messina, anche nella grande imprenditoria che sembra essere sempre più femminile.
Questo è il futuro, il pianeta è delle donne – afferma ridendo – ci stiamo riprendendo quello che ci hanno tolto in duemila anni di storia.