In questi giorni, con le proteste dei Sindaci e delle Regioni, in particolare del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, è tornato a far parlare molto il Decreto Sicurezza o Decreto Salvini, e cioè il provvedimento del Governo M5S-Lega su cui Matteo Salvini e la Lega si giocano tutto. Il consenso elettorale e la faccia.
Il Ministro dell’Interno è convinto di porre fine con questo decreto al problema dell’Immigrazione irregolare nel nostro Paese. Ma esso non riguarda soltanto la questione dei flussi migratori. La misura principale contenuta è la cancellazione dell’istituto della concessione della protezione umanitaria per i richiedenti asilo, cioè per coloro che una volta giunti in Italia (solitamente sui famosi barconi) chiedono di poter restare.
Non tutti quelli che arrivano ottengono infatti il diritto di asilo, o meglio quello che viene definito lo status di rifugiati. Esso, secondo i principi della Convenzione di Ginevra viene riconosciuto a chi rischia persecuzioni nel Paese d’origine, o in cui vive, per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche e prevede il rilascio di un permesso di soggiorno di cinque anni da parte delle Commissioni territoriali che valutano i permessi. Ad esso si aggiunge la protezione sussidiaria, altra forma di protezione internazionale, rilasciata a chi al rientro nel Paese di origine rischia di subire un danno grave, rischia cioè di essere ucciso, torturato o subire una situazione di violenza generalizzata e di conflitto ( come ad esempio una guerra). Essa da diritto a un permesso analogo di cinque anni.
Alle forme di
protezione riconosciute dai trattati internazionali si aggiungeva in Italia la
già detta protezione umanitaria, rilasciata a chi fugge per seri motivi di carattere umanitario, e
ad esempio a vittime di situazioni di grave instabilità politica, di episodi di
violenza, di mancato rispetto dei diritti umani, di carestie o di disastri
ambientali o naturali. Questo permesso aveva la durata di due
anni. Essa non era quindi necessariamente legata al Paese di origine ma alla
storia della persona.
Oggi non funziona più così, fatte
salve le situazioni ancora tutelate dalle due forme di protezione
internazionale, con il Dl Sicurezza esistono pochi rari casi più rigidamente
definiti di protezione per situazioni speciali e di grave difficoltà. La
protezione umanitaria viene infatti sostituita da un permesso speciale della
durata di un anno, per calamità naturale nel Paese di origine (sei mesi),
condizioni di salute grave (un anno), per atti di valore civile e sfruttamento
lavorativo o vittime di violenza grave.
Uno dei dubbi sull’articolo 1, che cancella di fatto la protezione umanitaria, riguarda eventuali casi ugualmente gravi che non sarebbero tutelati dai nuovi permessi, ed il fatto che oltre ad essere ridotta la durata rispetto alla precedente protezione, molti Comuni e Regioni in questi giorni lamentano le enormi difficoltà per rinnovare questi brevi permessi.
Il mancato rinnovo porterebbe di fatto a trasformare molti immigrati prima regolari in irregolari, i quali non possono accedere all’assistenza e ai servizi sanitari, come lamenta la Regione Toscana, la quale sta ricorrendo alla Consulta assieme ad Umbria ed Emilia Romagna per dubbio di incostituzionalità. Di fatto la trasformazione di molti di questi in irregolari è avvenuta già prima del decreto, a causa di una circolare, inviata a luglio, con cui il Ministero dell’Interno disponeva ai prefetti di ridurre le protezioni umanitarie già in essere in vista delle nuove norme, lasciando di fatto per strada molte persone. E’ da ritenere quindi che un numero molto esteso di coloro che arriveranno con i prossimi barconi sarà destinato a diventare, subito o alla scadenza del permesso, un irregolare.
Moltissimi infatti hanno criticato il Decreto Sicurezza perché nei fatti andrà contro il suo stesso dichiarato obiettivo, cioè quello di rendere più sicure le città, in quanto la condizione stessa di irregolare, senza accesso al lavoro e all’assistenza economica, porterà necessariamente a un aumento della delinquenza, parallelo all’aumentato numero di irregolari. Chiaramente chi non può avere il pane onestamente, sarà costretto a rubare. E tutti coloro a cui saranno respinti e non saranno rinnovati i permessi, si ritroveranno per strada.
Matteo Villa, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), ha spiegato “lo scorso anno (2017) su 130mila domande di protezione internazionale nel 25% dei casi è stata concessa quella umanitaria; il 52% delle richieste è stato respinto, all’8% è stato accordato lo status di rifugiato, a un altro 8% è stata data la protezione sussidiaria e al 7% altri tipi di protezione”. sono circa
39mila i permessi umanitari concessi nel solo 2017. Molta di questa gente rischia di restare per strada se la protezione umanitaria non sarà sostituita adeguatamente dalle nuove forme di permesso.
L’articolo 2 del Decreto prevede che la permanenza nei centri di rimpatrio potrà durare dai 90 precedenti fino a 180 giorni e che i fondi per i rimpatri volontari assistiti siano aumentati ad un milione e mezzo per il 2019 e stessa somma per il 2020. Ma rari sono i casi di rimpatri volontari e già i rimpatri in genere costano molto ai contribuenti e secondo i più critici queste misure non saranno sostenute da un adeguato numero di provvedimenti di rimpatrio.
Le attuali somme non basteranno a rimpatriare tutto l’enorme numero di irregolari che la nuova legge creerà, oltre al fatto che anche ammesso che ci siano i soldi, mancano accordi con i Paesi di origine ( ci sono degli accordi con la Libia risalenti al Governo Gentiloni per il trattenimento dei migranti che finiscono nelle carceri libiche, veri e propri luoghi di tortura, ma la Libia non è un Paese di origine). I dati Eurostat parlano di 7mila rimpatri effettuati dall’Italia nel 2017, a fronte di circa 32mila soggetti irregolari rintracciati. Il fatto che l’anno scorso solo il 20% dei papabili siano stati espulsi dal paese deriva dagli alti costi dei rimpatri e dalle lungaggini burocratiche che li contraddistinguono.
L’articolo aggiunge anche norme più restrittive per il diniego della protezione internazionale in caso di condanna definitiva per reati come violenza sessuale, spaccio, rapina estorsione, mutilazione dei genitali femminili, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e furto aggravato. Se in teoria questi provvedimenti sono in alcuni di questi casi giustificati dalla gravità dei reati, in generale ciò va contro il principio costituzionale della pena rieducativa, soprattutto quando può trattarsi di reati direttamente collegati a condizioni di difficoltà economica, come nel caso di spaccio, rapina, estorsione, furto.
Inoltre il decreto prevede che sia tolta la cittadinanza italiana in caso di reati collegati al terrorismo e in molti casi questo creerà cittadini apolidi, cioè senza cittadinanza, che poi resteranno in territorio italiano senza diritti politici ma soprattutto senza accesso ad assistenza e lavoro, se ciò non sarà affiancato all’effettivo rimpatrio.
Il Decreto prevede poi la creazione, per snellire le procedure e ridurre i permessi, di una lista di Paesi sicuri, cioè Paesi d’origine dove in generale non sussistono atti di persecuzione, tortura, violazione dei diritti umani o di conflitto; la revoca della protezione umanitaria a chi si reca nel proprio Paese temporaneamente senza gravi e comprovati motivi; le restrizioni al sistema Sprar, il sistema più virtuoso di integrazione, quello della seconda accoglienza, alle quali accederanno ora solo chi ottiene la protezione umanitaria e i minori non accompagnati, mentre non vi avranno accesso coloro che hanno altre forme di permesso e i richiedenti asilo.
L’articolo 13 inoltre elimina l’iscrizione anagrafica per chi ha un permesso. Questo creerà disagi alle Regioni per le prestazioni di servizi assistenziali, sanitari, per l’istruzione, la formazione professionale, di competenza regionale.
Altri provvedimenti che stanno invece passando in secondo piano presso l’opinione pubblica, ma non sono meno importanti, sono quelli che puniscono le occupazioni di immobili e gli assembramenti nelle manifestazioni. Si tratta di provvedimenti che colpiscono non soltanto gli immigrati, ma soprattutto gli italiani autoctoni, infatti ritorna di fatto il reato di blocco stradale, punito da 1 fino a 12 anni, e ciò andrà contro i lavoratori ( sostenuti da sindacati di base) che spesso utilizzano questa modalità per protestare in favore dei propri diritti. Sembrano in particolare disposizioni contro la sinistra radicale e contro i senza casa i provvedimenti atti a incrementare gli sgomberi di edifici pubblici e privati.
Vedremo presto in questo 2019 se le critiche al decreto hanno fondamento e pare che già in parte alcune delle situazioni lamentate si stiano verificando.