Matteo Dalena
Alla sera del 21 giugno del 1931 al limitare dei territori di Riesi e Sommatino, il fiume Salso restituiva il corpo martoriato di un caruso di Sicilia. Aveva solo tredici anni Salvatore Zuffanti, il cui corpo recava inequivocabile il marchio del delitto a sfondo sessuale. Legato e sodomizzato, venne colpito ripetutamente al viso e alla testa e infine strangolato. Nascosto in un anfratto di una galleria della più grande zolfatara nissena, veniva poi messo in un sacco e gettato nel fiume che costeggia la pirrera. Per quel delitto efferato, il 2 gennaio del 1932 «a metà costa del Monte San Giuliano», nei pressi di una cava di gesso, il quarantenne Diego Mignemi capomastro, «già recidivo in omicidio» veniva fucilato. Francesco Calafato, di circa 20 anni, corresponsabile in omicidio, condannato all’ergastolo.
CARUSI E PICCONIERI | Erano carne da lavoro e perversione. Silenti comparse nella grande storia della Sicilia solfifera, ai gradini più bassi della gerarchia di miniera. Patri ca alla pirrera mi facisti calari unna mi portasti a travagliari? Se il poeta Venanzio Maurici restituisce liricamente il clima di terrore che accompagnava un caruso in quella pirrera che n’aiuta a campari, una delle testimonianze più autentiche delle mattanze di carusi riaffiora da un libro pubblicato 112 anni fa. Il solfaraio (1905), del sociologo e avvocato riesino Gaetano Baglio, è un «primo saggio di ricerche sul lavoro e sui lavoratori della Sicilia» nelle forme della monografia di classe professionale, quella solfaraia «classe di lavoratori sola o più propria di quell’isola». I rapporti fra carusi e picconieri, regolati dal cosiddetto soccorso o anticipo morto – una sorta di cauzione che il picconiere dava per vincolare a sé il trasportatore e non farsi abbandonare da un giorno all’altro – sono improntati a rudezza e spesso a violenza. Per Gaetano Baglio, allievo di Napoleone Colajanni, ciò non dipende dal vincolo di anticipo ma dalla «rozzezza e impulsività delle classi lavoratrici siciliane». I picconieri in particolare, sono per Baglio «giovani animosi, intraprendenti, vaghi di eleganza, sebbene grossolana, amoreggiano e s’innamorano». Proclivi al delitto contro la persona, affrontano il carcere con disinvoltura unica, «come se si recassero a una miniera lontana», e vi rimangono «per dirla nel gergo dei solfarai mafiosi: a breve villeggiatura».
SODOMIA NELLE ZOLFARE | Così, il 21 giugno del 1931, il giovane Salvatore Zuffanti cade vittima di quello che Baglio definisce «soddisfacimento corrotto e pervertito dei bisogni sessuali».Il sociologo riesino riconduce il fenomeno alla natura dell’ambiente di lavoro: la mancanza di svaghi nella zolfara, l’assoluta assenza di pudore fra gli operai che lavorano nudi in ambien
te semibuio, provocherebbero «un bisogno di abbandonarsi a sensazioni erotiche». Dalla conversazione «grassa» alla «sculacciata frequente e briosa» e da questa al rapporto sessuale completo il passo è breve. La zolfara è un mondo tutto maschile e per di più «nei piccoli paesi circonvicini mancano le case di tolleranza». La conseguenza è «la corruzione e la prostituzione reciproca dei maschi».
Nel triennio 1897-1899 preso in esame dal Baglio, 97 uomini vengono condannati per violenza carnale nelle province di Caltanissetta e Girgenti, di questi solo 13 sono solfarai |
Tuttavia, spiega Baglio, «quelli che arrivano a giudizio sono solo una parte del numero totale». I violentati sono i carusi ancora adolescenti, gli “attivi” sono i picconieri. La violenza subita spesso innesca una richiesta d’indennizzo di «qualche centinaio di lire»: un «affare» che la famiglia del caruso «accomoda» privatamente col picconiere. Così le gallerie e i punti più remoti e abbandonati delle zolfare di Sicilia diventano per Baglio veri e propri «bordelli». E col passare degli anni, le vittime diventerebbero carnefici: «Poscia avviene che quel caruso, il quale prima ha subito la pederastia di carusi più grandi o di piconieri, divenendo adulto, desidera provar quelle sensazioni corrotte, a cui altri lo ha abituato; e perciò alletta o costringe i carusi se li tira addosso, e li fa sodomisti attivi». Nelle solfare si aggirerebbero a detta del Baglio «gruppi di dieci» che si prestano reciprocamente alla soddisfazione dei loro bisogni sessuali e «taluni continuano a far parte di quei gruppi, anche quando sono divenuti piconieri, e hanno preso moglie».
DONNE COME “CURA” | Non parole su carta, né leggi repressive o le grate del carcere. La “ricetta” per l’eliminazione della sodomia – «elemento di corruzione così schifoso» – dalle zolfare di Sicilia passa secondo il sociologo riesino dall’educazione morale dell’operaio. La costruzione di case operaie su vasta scala nei pressi delle miniere permetterebbe agli operai di vivere con le proprie famiglie, di modo tale che «gli uomini possano trovarsi ogni giorno a contatto delle loro donne». La conclusione è da degno rappresentante della propria epoca:
«E’ preferibile vedere la vecchia fabbrica del Voreux – descritta da Zola in Germinal – vedere il prato circostante di quella casa trasformato in letto pubblico e in luogo aperto alla soddisfazione bestiale dei naturali istinti, anziché vedere coppie di sodomisti e pederasti, che si perdono nel buio di una galleria, nella penombra di un fosso, in mezzo ad una frasca per corrompersi a vicenda; è preferibile vedere il lungo Chaval, che soggioga Caterina alle sue voglie, anziché un mostruoso satiro, che violenta un ragazzo, e va poi a finire in Corte di Assise».
In gallery: Grafiche “Carusi di pirrera” dell’artista Croce Armonia