E il “Bisazza” parla di antimafia

0
523
- Pubblicità-

L’antimafia incontra il mondo della scuola. È un ritratto particolare quello offerto dal magistrato Nicola Gratteri a una platea studentesca attenta e curiosa, fatto di flashback, spunti storici e radici sociologiche. Ed è così che le parole offrono un ritratto per immagini, che prendono spunto non soltanto dall’esperienza diretta di chi è inserito pienamente nel clima dell’antimafia per professione, ma anche di chi, da vent’anni, incontra i più giovani per spiegare i meccanismi del sistema malavitoso. Gli spunti di riflessione offerti sono stati tanti e partono da radici storiche, per far comprendere che non è possibile studiare il fenomeno mafioso in tutte le sfaccettature senza riferimenti storici precisi e puntuali. Non mancano infatti da parte del magistrato, a tal proposito, critiche al sistema “nazione”, che festeggia il compleanno dell’Italia senza promuovere studi e rivisitazioni sui passaggi cruciali che hanno portano all’unificazione. La mafia, infatti, nasce e si cristallizza dopo l’unità, sullo sfondo di speranze deluse, in primis la riforma agraria mai attuata, e continua il suo operato, sottovalutata, fino ai giorni nostri. Nel frattempo la storia cambia, vi sono evoluzioni, la Calabria subisce una storia simile agli altri territori ad alta densità mafiosa. Si cristallizzano tre potentati con le varie sfere d’influenza: i Piromalli nella piana di Gioia Tauro, i Tripodo a Reggio Calabria e i Macrì nella Locride. Questi regnano indisturbati fino a quando si affacciano le nuove generazioni, che vogliono staccarsi da metodi mafiosi troppo arcaici per sancire la nascita della “Santa”, inaugurata da una scia di settecento uccisioni e, come sottolinea il magistrato, dalla “doppia affiliazione nella ’ndragheta e nella massoneria deviata”. Il dado è tratto, la nuova geografia segnata e il nuovo corso inaugurato: “La mafia entra nella stanza dei bottoni” e da qui poi nasce il rapporto con Messina, sorella gemella della Calabria, anzi “un pezzo della stessa”. I mafiosi collezionano titoli, lauree. La preparazione agli esami è soggetta a minacce e intimidazioni. Le conseguenze si sentono sulla società civile “Il guaio, quindi, – sottolinea Gratteri – è che ci sono medici che confondono una febbre con una bronchite, il guaio è che ci sono medici e primari che usano il reparto di medicina come se fosse ‘cosa loro’ e quindi le cure del malato diventano una concessione se si hanno amici o compari, se no bisogna aspettare ore”. È insomma un mondo di favoritismi che mostra mancanze nei settori vitali. La lectio magistralis a un certo punto cambia registro, mostrando attenzione verso la società e il mondo dei giovani. Un mondo dove la crisi di valori impera, l’omologazione riempie il mondo della comunicazione e la firma dei vestiti diventa il veicolo per essere accettati. Alla base sempre il denaro, la maggior parte ottenuto tramite affari illeciti. Gli stessi che ostentano ricchezza spesso sono giovani corrieri di cocaina, figli di usurai e figli di trafficanti di droga. Il consiglio del magistrato rivolto ai giovani è di non rimanere accecati da questa ricchezza, e da qui parte la spiegazione del perché non conviene essere mafiosi, con la presentazione della faccia più recondita delle cosche. Matrimoni che sono retti sui proventi della droga, donne che spesso rimangono isolate tra le quattro mura domestiche quando il proprio marito è tratto in arresto, boss che offrono la propria protezione fino a quando le condanne non diventano definitive. Un mondo vile, dove il picciotto è solo una pedina di un sistema che lo usa e lo abbandona: “carne da macello” in una struttura dove “chi entra da morto di fame ne esce da morto di fame”. Ma è bello che nella disamina attenta di chi conosce bene la realtà di cui parla, parta anche qualche consiglio alla società civile, che deve cominciare a non legittimare la mafia e il mafioso, perpetrando un cattivo esempio per i giovani che guardano da lontano il miscuglio del “bene e del male”. La lezione, insomma, è per gli studenti di liceo, ma solo in apparenza, perché tutta la società, tutti gli apparati statali possono scavare nel proprio intimo e chiedersi se stanno operando bene, consapevoli che la mafia si nutre e vive del consenso popolare. I punti trattati sono stati tanti, la lezione poi è sempre aperta, offre tanti spunti e pone nuove domande, ma le parole di legalità di Nicola Gratteri riportano alla memoria quelle memorabili di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. La questione oscilla tra aule giudiziarie e incontri con il mondo dell’educazione, in cui una splendida cultura antimafia può aiutare a pensare e agire diversamente, non facendosi solo portavoce di prediche sterili.

- Pubblicità-

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome qui