È un fiume in piena Ignazio Cutrò. Le parole comunicano il pensiero, mentre il tono le emozioni. Le emozioni di un uomo stanco di rincorrere la protezione dello Stato. Le vicende sono note, ma non altrettanto nitidi sono i contorni. Ignazio ha paura per la sua vita, per la sua famiglia. Si sente tradito dai suoi stessi ideali, quelli per cui un giorno, ha deciso di intraprendere a viso aperto la lotta contro Cosa Nostra e i suoi gregari.
Il sistema è stato denunciato e incriminato-quello che ti mette in ginocchio e ti piega le ossa-, mentre quello che ti dovrebbe tutelare vacilla, cade, ti fa piombare nuovamente nello sconforto. La nostra intervista a Ignazio Cutrò, testimone di giustizia, ha assunto la forma di un monologo. Le nostre domande cedono il passo allo sfogo. Lo sfogo di un uomo “colpevole” di aver denunciato la mafia.
Qual è il tuo sentimento oggi, alla luce dei fatti che sono accaduti?
Immagina una vacanza. Una settimana di felicità. Doveva essere qualcosa di speciale per me e la mia famiglia. Considera che per evitare inconvenienti ho mandato comunicazione di questa villeggiatura, dieci giorni prima. Tempi congrui per organizzare tutto. In Italia, però succede che se Ignazio Cutrò deve partire deve comunicarlo alle istituzioni almeno tre giorni prima, mentre se un’alta carica dello Stato decide di spostarsi nel giro di in un minuto, ha tutti al seguito. Io ho comunicato il mio desiderio di spostarmi dieci giorni prima, ma ho anche ricevuto un parere positivo.
Quindi, mi aspettavo ovviamente che erano state vagliate le condizioni e gli strumenti atti a garantire l’incolumità mia e della mia famiglia. Niente di tutto ciò. Noi abbiamo scelto volutamente di occupare uno stabile a piano terra per preservare noi, la nostra scorta e ovviamente chi ci stava intorno. Intorno alle 15: 15 arriva una chiamata. Mi chiedono se devo uscire. Io chiedo spiegazioni. E mi viene data una risposta che mi lascia attonito: “Ci vediamo lunedì. Noi siamo responsabili se lei esce dalle 15.00 alle 17:30. Questo è il servizio protezione e quel che ti combina. Ma non finisce qui.
Trascorrono delle ore con rimpalli, fino a quando chiedo di mettere per iscritto tutto davanti a funzionari dell’arma. Alle 20.40 mi chiamano e mi invitano a uscire frettolosamente. Mi comunicano che devo andare subito via perché sono in pericolo di vita.
Da lì capisco al volo che le mie parole hanno creato allarmismo, ma anche che non ho la protezione adeguata perché sono un pezzo di merda e non rappresento nessuno. Avrei dovuto concludere la mia vacanza spostandomi a 20 km da Crotone, fino a quando un funzionario del ministero ha dato un contro ordine invitandomi a continuare il mio soggiorno. Alla fine siamo rimasti isolati, fino a venerdì sera, quando una telefonata del capo gabinetto di Crotone mi ha informato che la scorta sarebbe arrivata.
Con il tuo contributo, hai dimostrato all’imprenditoria che denunciare è possibile. Quanto ti è costata questa scelta coraggiosa?
Mi è costata tanto. La mia vita è stata rivoluzionata. Ora però ho deciso di rimanere serrato a casa, chiudere la mia attività lavorativa e interrompere i legami con l’associazione antiracket fino a quando non avrò la garanzia che lo Stato mi protegge. Uscirò, tornerò alla mia vita di tutti i giorni, quando un responsabile dell’arma mi tranquillizzerà sulla mia sicurezza.
Pensa che destino: Io parlo e sono bastonato, denuncio e sono abbandonato.
Non sono messo neanche nelle condizioni di difendermi da solo. Dal sei ottobre 2011 ho fatto richiesta per il porto d’armi ma non ho ricevuto nessuna risposta. In Italia, poi succede anche che se hai bisogno di qualcuno che ti protegga, vengono in tuo soccorso altri testimoni di giustizia. Quando sono rimasto solo in Calabria, Piera Aiello e Giuseppe Carini erano disposti a farmi da scudo. Ora sono indignato. A volte penso alle parole di mio nonno che mi raccomandava sempre di tenere la bocca chiusa, così da evitare problemi. È un brutto vizio, che mi sta costando caro.
Intanto, mentre raccontiamo questa vicenda che restituisce una realtà triste, arriva qualche reazione dal mondo politico. Il senatore del PD Giuseppe Lumia così si è espresso “I testimoni di giustizia sono una risorsa preziosa da tutelare. Si tratta di cittadini onesti che denunciano fatti criminosi e che per questo rischiano la vita. Solleciterò un intervento presso le istituzioni competenti affinché si metta fine a situazioni di pericolo, che si verificano ripetutamente e che rischiano di indebolire la credibilità dello Stato nella lotta alla mafia”.