Due scrittori a confronto, due saghe di famiglie calabresi che ripercorrono la storia della Calabria e non solo. Nell’incontro tra Carmine Abate – premio Campiello 2012 con “La collina del vento” – e Mimmo Gangemi – vincitore nello stesso anno del premio Tropea con “La signora di Ellis Island” – c’è un momento di alta letteratura. Ma soprattutto c’è la riscoperta della vera Calabria, quella che va oltre i cliché con cui spesso viene descritta.
I due autori vengono da parti diverse della regione: Gangemi dall’Aspromonte, Abate dalla comunità Arbereshe, gli albanesi che tra il XV e il XVIII secolo si stabilirono nel sud Italia. Zone su cui insistono storie familiari epiche, che ripercorrono grandi drammi ed emozioni forti. Con la narrazione dell’emigrazione verso gli Stati Uniti nel libro di Gangemi e in quello di Abate con la famiglia Arcuri, che resta invece attaccata alla terra natia a costo di patire soprusi di ogni genere, emerge il racconto di una Calabria lontana dai soliti luoghi comuni.
Uno stile privo di retorica accomuna i due romanzi, insieme a una straordinaria forza etica dei personaggi descritti, che anche nei momenti più bui mantengono umanità e onestà. A tracciare un ideale filo rosso che unisce le opere di Carmine Abate e Mimmo Gangemi, anche la genesi della “Collina del vento” e “La signora di Ellis Island”: entrambi promessi ai rispettivi padri in punto di morte.
Le due opere rappresentano un’autobiografia collettiva di intere generazioni di calabresi, oltre che due esempi di grande letteratura e un contributo determinante al racconto in modo innovativo di una terra difficile come la Calabria. Una complessità rilevata anche dall’editorialista di Repubblica Curzio Maltese, che ha partecipato alla presentazione dei due volumi a Camigliatello, in provincia di Cosenza: “Che cos’è la Calabria? E’ una regione che confina con quattro continenti, ci sono calabresi in tutto il mondo”.
Durante la serata si parla spesso dell’immagine che della regione viene data dai media. E salta fuori quello che alla fine risulterà il convitato di pietra: la criminalità organizzata. “Come uomo odio la ‘ndrangheta, che ci permette di essere liberi finché non intacchiamo i suoi interessi – dice Mimmo Gangemi andando al sodo del problema comunicativo della sua terra – Però noto che è stata coniata l’equazione Calabria=’ndrangheta, e io la rifiuto. Non voglio negare l’esistenza della sua barbarie. Credo che abbiamo due handicap: la ‘ndrangheta e certa anti-‘ndrangheta”.
“La Calabria è una terra complessa – concorda Carmine Abate – Io ho vissuto l’emigrazione sulla mia pelle, ma ho iniziato a raccontare una emigrazione che è ricchezza. Non monetaria, ma di sguardi. Per i tedeschi ero uno straniero, per gli stranieri ero un italiano, per gli italiani ero un terrone, per i meridionali un calabrese e per i calabresi un Arbëreshë. Alla fine mi sono chiesto chi fossi davvero”.
E come lui se lo chiede la Calabria: fanalino di coda dell’economia italiana, appestata dalla ‘ndrangheta che esporta nel mondo sangue e affari sporchi, ma capace anche di dare i natali a eccellenze in ogni campo.