EROI SILENZIOSI

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E’ ormai imminente la distribuzione del mio prossimo libro “Eroi Silenziosi” ed. Datanews, con la prefazione del Generale Luigi Federici, uno dei grandi comandanti dell’Arma dei Carabinieri. Un libro scritto soprattutto per ricordare i tanti carabinieri incrociati nei mie anni trascorso al servizio del paese e della gente. Coloro di cui nessuno parla e che nessuno ricorda e che pure rendono un grande servizio  agli altri, senza chiedere in cambio nulla.

Per i lettori di questo modesto blog voglio allora concedere un’anteprima: “La sera stessa cominciai a scrivere. I personal computer all’epoca non esistevano. La Olivetti ’88 era il massimo della tecnologia di videoscrittura. Ma non sapevo usarla. Chiesi al brigadiere Sapio di tenermi compagnia e di scrivere sotto dettatura. Era il mio esordio a Corleone. Antonio Sapio era il capo scrivano. Anche lui napoletano flemmatico, ma molto arguto. Era finito a Corleone in compagnia di una giovane moglie e due bambini piccoli. Aveva comandato la squadra di Polizia Giudiziaria al servizio del pretore di Corleone. Con la riforma giudiziaria, però, erano sparite le Preture mandamentali e con esse le squadre di Polizia Giudiziaria. Sapio aveva sperato di poter essere spedito in Campania per porre fine alle sofferenze di sua moglie. Invece era rimasto a Corleone. E così di giorno faceva il capo scrivano e di sera metteva a frutto la sua lunga esperienza nelle indagini, il suo primo amore. Scriveva velocemente e sorrideva rassicurante e compiaciuto. Sentivo che lo stavo conquistando. Per me era fondamentale essere considerato un bravo professionista dai miei dipendenti. Divorammo in due un pacchetto di sigarette. Il suo, ovviamente. E bevemmo tanto caffè preparato da quell’ottima signora napoletana che era la signora Sapio e che ci fu recapitato in ufficio dall’appuntato Manti Bruno, il piantone. Con una mano si reggeva la bandoliera e con l’altra teneva in equilibrio una bottiglietta di caffè con un tappo di gomma ed alcuni bicchieri di plastica. «Ecco capitano. Bevetevi un po’ di caffè, ce n’è bisogno». Aveva un sorriso gentile e uno stile inglese, l’appuntato Manti. Sembrava curioso. Era desideroso di capire cosa facessimo. Nonostante i suoi oltre cinquanta anni posati su un fisico asciutto, sembrava un adolescente che aveva voglia di apprendere e lasciarsi entusiasmare. “Sprecato per fare il piantone”, pensai. Qualcosa mi suggeriva di impiegarlo meglio. Approfittai di quella pausa caffè per fare quattro chiacchiere con lui. «Noioso fare il piantone, vero?», gli domandai sorridendo e sorseggiando il caffè fumante. «Facciamo il nostro dovere, comandante», anche lui sorrise, arricciando con una smorfia i suoi baffetti bianchi. Aveva un volto nobile, da carabiniere di un tempo. «Beva un caffè con noi». Accettò l’invito posando il berretto e facendosi versare da me del caffè in un altro bicchiere di plastica. «Che vuole», continuò, «qualcuno lo deve fare il piantone. La caserma non si piantona da sola, signor capitano». «Eh… Manti è una colonna di questa compagnia, signor capitano». Sapio si inserì con il tono adulatore e di chi vuole compiacere, accendendosi un’altra schifosissima MS. «Da quanti anni sei a Corleone, Manti? Quindici, venti, quanti sono?», chiese rivolgendosi a lui. «Magari, brigadiere! Sono ventitré. Mia figlia la grande è nata qua». Lui era calabrese, della provincia di Cosenza. Prima destinazione nell’agrigentino. Una fidanzata, un matrimonio e il trasferimento dove non ci volevano andare neanche i palermitani: Corleone. «Le piacerebbe fare qualcosa di più speciale?». Colpito e affondato, pensai. Il suo viso si illuminò. In quella frase vedeva il suo momento, la sua opportunità. «Signor capitano, lei comanda e io eseguo! Certo che sì. Anche adesso». Sapio non si lasciò sfuggire l’occasione per spezzare una lancia a favore suo e dei suoi colleghi: «Signor capitano, qua tutti siamo così. Non abbiamo problemi di orario… notte… giorno. Quando lei vuole deve solo fare un fischio!». Fischiai. La sera dopo uscimmo in quattro. Con un’auto “civetta”. Era la solita Alfa 75 grigio-metallizzata. Ma solo quella sera scoprii che non era in dotazione: era di Saitta. La stava ancora pagando a rate. La Fiat uno di “copertura” era troppo nota con il suo color verde pisello. Oltretutto aveva troppi chilometri sul motore. Il rischio di rimanere a piedi era estremamente elevato. Saitta era alla guida. Dietro Sapio e Manti. Ci addentrammo nella Corleone by night: il deserto assoluto. Mi pareva turismo mafioso. Manti sembrava ringiovanito. Anche nell’abbigliamento, con giubbottino in pelle e blue jeans. «Dove andiamo signor capitano?», chiese Saitta. «Facciamo visita a Giovanni Grizzaffi». Risposi con sicurezza. Tutto era buio pesto. In compenso in cielo si poteva distinguere persino la via lattea, aldilà del crinale scuro delle montagne.”

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