Etiopia, tra lusso sfrenato e salari minimi

L’Etiopia è la nuova frontiera da corteggiare. Un centinaio le ambasciate nella sola capitale, tra lusso, prostituzione, affitti alle stelle e fiumi di case popolari.

“Una casa semi-arredata la affitti a 2.500 dollari al mese – spiega il nostro contatto sul posto – io se ho un euro lo investo in Etiopia. Nella capitale Addis Abeba, c’è un lusso che fa paura. Vedi questo impressionante boom economico e pensi: che ci faccio ancora in Italia?”

Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale per il 2018 davano l’Etiopia come avviata a diventare l’economia mondiale a più rapida crescita.

Un boom economico, quello che sta vivendo il Paese più popoloso del Corno d’Africa, che soprattutto dopo l’accordo di pace con l’Eritrea si manifesta come un “grande gioco”, condotto su diversi fronti e livelli. Come spiega l’Istituto Per Gli Studi Di Politica Internazionale (l’ISPI), da un lato, gli attori globali hanno elaborato “strategie di proiezione verso il continente con l’intento di accedere a nuovi mercati e diversificare le risorse necessarie a sostenere le proprie economie in crescita. Dall’altro lato l’Africa subsahariana ha iniziato un percorso di forte crescita economica e stabilizzazione politica”.

Basti pensare che quasi tutti i Paesi hanno migrato parte della loro produzione in Etiopia dove la manodopera, soprattutto quella delle industrie tessili, costa talmente poco che i dipendenti lavorano per meno di un terzo dello stipendio dei lavoratori del Bangladesh come riporta lo studio Stern Center For Business And Industry Della New York University che ha fatto il giro delle testate mondiali con titoli quali “le mani operaie di HM, Guess, e Calvin Klein guadagnano appena 26 dollari al mese”.

“L’ho letto anch’io sui giornali proprio mentre mi trovavo ad Addis Abeba – spiega il nostro contatto che viaggia e investe in Etiopia ma continua a vivere a Messina – e mi ha fatto molto arrabbiare, ma lì pensano: meglio questo che niente! Le fabbriche? In realtà sono villaggi di fabbriche, dove ad esempio la figlia di Trump fa produrre le sue scarpe. Fa impressione. Come Prada, o Bata, o la più volte citata HM. Le grandi firme sono tutte qui a produrre.

Chi prende i 26 dollari al mese – prosegue – spesso lo fa come secondo lavoro, in più hanno il trasporto pagato con servizio navetta basato sui turni lavorativi. Bisogna anche considerare che si parla di villaggi dove la maggior parte sono contadini e hanno la loro terra, quei 26 dollari al mese dunque senza altre spese, per loro sono qualcosa. Una cosa bella, inoltre, è che per ogni famiglia trovi una persona che sta meglio economicamente e si prende cura degli altri. C’è ancora un alto rispetto per il prossimo, quello che qui in Italia abbiamo perso. Rispetto per gli anziani, per i poveri. Sono molto legati ai veri valori cattolici e cristiani.

Certo non stiamo parlando di Addis Abeba – specifica – la città è troppo cara, non te ne faresti niente di 26 dollari al mese in una grande metropoli che ospita più di cento ambasciate, dove le case costano tantissimo e gli affitti sono altissimi. Qui c’è un lusso che fa paura! Gli Emirati Arabi in pieno centro stanno costruendo dei palazzi “luxury” che si estendono per chilometri e chilometri”.

Quello manifatturiero inoltre non è l’unico mercato, la maggior parte delle rose che si vendono qui in Italia viene dall’Etiopia, dalle serre olandesi in Etiopia. Gli israeliani hanno puntato sulle fragole. Ognuno ormai ha il suo mercato.”

E l’Italia? Quanto e com’è presente in Etiopia?  Nel luglio del 2015, l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi inaugurò la diga Gilgel Gibe III, la più grande centrale idroelettrica dell’Africa, insieme al premier etiopico definendola “un orgoglio italiano”, più recentemente il premier Conte in occasione della sua visita al palazzo presidenziale di Addis Abeba confermava l’intenzione dell’Italia di “concentrare i nostri sforzi soprattutto sul settore agro-industriale”. L’Italia, secondo la Farnesina, è il quarto paese per valore d’importazioni dall’Etiopia (ICE, 2016). E l’export nel solo 2016 ammontava a 325 milioni di euro divisi tra diversi settori.

Andando però ad analizzare la situazione locale quanto e come beneficia la popolazione etiope di questo boom economico?

“Certo è che si fanno arricchire i ricchi, ma nel frattempo tolgono le persone dalle baracche e costruiscono fiumi di case popolari.  Mio figlio ad esempio ha lasciato Parigi e lavora lì adesso. Le idee per attrarre chi vive fuori non mancano, ma ci sono anche tutta una serie di agevolazioni particolari. Ad esempio per i musulmani pagare interessi è ḥarām (proibito) e quindi la Commercial Bank Ethiopia ha disposto per tutti, musulmani e cristiani, opzioni di acquisto che prevedono un versamento del 20 per cento sul valore di un appartamento ad esempio e interessi zero per la restante parte. Altro esempio? Se apri il conto in euro o in dollari gli interessi sono del 14 per cento più interessi minimi giornalieri, mentre in moneta locale non vanno oltre il 7 o il 7, 50 per cento. Ti aiutano a investire. A questo si aggiungono una serie di servizi che attraggono i tuoi investimenti magari spingendoti a spendere qualcosa in più. Io ad esempio ho acquistato un appartamento in un complesso dove vivono solo diplomatici, ma abbiamo un idraulico, un elettricista, un falegname, i guardiani, le signore che vengono a prendersi la spazzatura e fanno la differenziata, mentre in Italia a tutte queste cose devi pensarci tu. Ovviamente tutto deve essere tracciabile e ci sono così tante ambasciate e così tanti interessi che bisogna sempre certificare la provenienza del denaro”.

Fuori e dentro la capitale però, dietro le auto da 80 mila dollari e gli alberghi da 300 stanze, la dura realtà. Senzatetto in aumento, intensificazione della prostituzione e la maggioranza della popolazione che come si legge nella relazione del CESPI “cucina usando la legna o altri sistemi non moderni, vive in case prive d’impianti igienici e pavimentazione, non ha l’elettricità e l’acqua potabile a meno di 300 metri dall’abitazione”.

Un’Etiopia a due velocità, che resta dipendente dagli aiuti stranieri, arrivati a coprire tra il 50 e il 60 per cento del bilancio nazionale, mentre rincorre una crescita esorbitante all’insegna del lusso e dello sfruttamento di ogni tipo di risorsa in suo possesso, con implicazioni presenti e future difficili da immaginare e quantificare.

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