Equiparare Diritto di Maternità e di Paternità

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Gender Gap, è questo il nome della disparità di trattamento tra uomo e donna, una disparità che si coglie in particolar modo nel mondo del lavoro e che vede le donne svalutate rispetto l’uomo, ma la soluzione potrebbe essere (quasi per assurdo) riconoscere alla controparte maschile un diritto “dimenticato”: il diritto di Paternità

Cosa spinge un datore di lavoro ad assumere un uomo anziché una donna? Se da un lato la cultura e la mentalità ci dettano che un uomo è assai più produttivo rispetto ad una donna (salute più forte, assenza del ciclo mestruale mensile che provoca un calo delle prestazioni lavorative), cosa che in parecchi casi non trova fondamento scientifico e che è possibile debellare solamente nel tempo, dall’altro vi è anche una ragione contributiva e di tassazione, un oggettivo problema incentrato principalmente sul congedo di maternità.

Il punto della situazione: allo stato attuale ogni donna ha diritto a 5 mesi di astensione dal lavoro durante la gestazione ed il parto, tali 5 mesi sono ripartiti in:

  • 2 mesi antepartum
  • 3 mesi postpartum

Su parere della ASL locale la donna può non fruire dei 2 mesi antepartum e recuperarli nel periodo postpartum sommandoli ai 3 di diritto, stessa cosa vale in caso di adozione di minore con 5 mesi di congedo a partire dall’ingresso in famiglia del minore.

E per i padri? Per i padri il congedo obbligatorio per paternità è di soli 5 giorni più 1 facoltativo da dover dividere con la madre (invero, o ne fruisce la madre o il padre) da fruire entro 5 mesi dalla nascita del bambino. Per i datori di lavoro la differenza è abissale! Dato che, durante il congedo di maternità, spetta alla madre l’80% dello stipendio interamente anticipato dal datore di lavoro, il datore di lavoro è dunque obbligato a pagare (seppur all’80%) un lavoratore assente e sarà probabilmente costretto ad assumerne un altro (si, lo stipendio alla donna in maternità viene poi rimborsato dall’INPS tramite detassazione, ma ciò avviene a postumi, dunque il datore di lavoro privato si trova a dover anticipare un ingente somma di denaro), una differenza netta che crea una discriminante non da poco, principalmente tenendo conto che il nostro paese è composto, per lo più, da Micro e Piccole Imprese

Come eliminare dunque questa forte discriminante tutelando il sacrosanto diritto alla maternità? Tutelando il più ampio diritto alla genitorialità ed equiparando il congedo di Paternità a quello di Maternità, perché? Per almeno 3 ragioni:

  1. Viene eliminata la discriminante economica: per i datori di lavoro, checche se ne dica, è infatti questa una delle maggiori cause di discriminazione tra uomo e donna, principalmente nel settore privato, equiparando il congedo di paternità e di maternità verrebbe eliminata questa sostanziale differenza, il datore di lavoro non avrebbe dunque più alcuna ragione economica per preferire il lavoratore maschile alla lavoratrice femminile, riportando tutto nei più adeguati parametri della meritocrazia
  2. Supporto alla genitorialità: è cambiato di netto il contesto sociale, adesso le donne sono (per fortuna!) inserite nel mondo del lavoro, tante valide libere professioniste combattono quotidianamente in un mercato sempre più agguerrito e l’assunto “Donna a casa, uomo a lavoro” non funziona più, in non pochi casi è la donna a portare indotto economico alla famiglia anziché l’uomo, una tale disparità di trattamento mette in forte crisi questi nuovi scenari creando non poche difficoltà a donne in carriera e libero professioniste, va dunque adeguatamente supportata la genitorialità; una misura di equiparazione quale quella del congedo sarebbe inoltre un utile incentivo alla creazione di nuove famiglie, combattendo il crollo della popolazione ed il suo progressivo invecchiamento
  3. Diritto d’esser padri: una maggior dignità ed equiparazione del ruolo femminile nella società passa necessariamente dal riconoscere l’importanza del ruolo maschile nell’educazione, nella crescita e nello sviluppo del bambino, dando all’uomo il giusto peso nell’ambito famigliare. Perché il padre non può condividere con il proprio figlio 5 mesi di vita? Perché non può assistere alla crescita, ai primi passi ed ai primi mesi di vita del proprio figlio condividendone esperienze e sviluppo? Perché deve essergli impedito di assistere adeguatamente la propria compagna? Cos’ha di minore il ruolo di padre rispetto a quello della madre? Il legame padre-figlio non può più essere sottovalutato, il legame affettivo, educativo ed interpersonale non ha nulla di meno rispetto a quello materno

E’ indubbio che tale evoluzione sociale vada accompagnata da provvedimenti utili alle imprese che permettano alle stesse di poter sostenere tale evoluzione, misure dunque come l’anticipo di solo metà delle spettanze dovute durante i congedi con il resto a carico INPS risulta dunque funzionale nell’ottica di combattere (e possibilmente risolvere) la grande questione sociale della disparità di genere.

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