Gli orrori dell’archeomafia

Binomio mafia e archeologia. Niente di nuovo probabilmente per voi lettori, ma oggi ne scriviamo per non tacerne numeri, azioni, considerazioni.

Ai boss mafiosi piacciono le cose preziose, è risaputo: opere d’arte pittoriche e non e soprattutto l’archeologia scavata, s’intende, clandestinamente e di frodo. I loro bunker sono come scrigni, pieni zeppi di ricchezze. I numeri dell’ archeomafia, riportati da Ecomafia 2010, sono davvero sbalorditivi: 882 furti d’opere d’arte effettuati, 13.219 oggetti trafugati, 1.220 persone indagate, 45 arresti; ma anche 19.043 beni culturali illecitamente sottratti recuperati insieme a 14.596 reperti paleontologici e 55.586 archeologici.

I “desiderata” spaziano indistintamente da tele di altissimo valore (Guttuso, Dalì, De Chirico per citarne alcuni), al traffico di reperti archeologici e pezzi di antiquariato appartenenti alle epoche più varie, di inestimabile valore.

Ma non è tanto sui dati quantitativi che voglio soffermarmi, poiché questi si rivelano essere incontrollati e incontrollabili, quanto sensibilizzare le coscienze di voi lettori riguardo il problema. Una sensibilizzazione che trova grossi ostacoli in determinate categorie: il mafioso è di per sé un uomo senza scrupoli, famelico, assetato di soldi, potere e prestigio, soprattutto se tutto questo è possibile realizzarlo in modo facile.

È chiaro, dunque, che le attività mafiose amano l’arte ma non la sua essenza intima, il suo vero valore, le sue immense potenzialità comunicative: arricchire lo spirito di chi le osserva, contribuire alla formazione della memoria storica non solo del singolo, ma della collettività.

Ogni anno vengono sottratti da musei, chiese, collezioni private e non, centinaia di migliaia di oggetti causando lacune incolmabili nel nostro patrimonio. Spesso i luoghi ove accadono i furti sono poco custoditi o poco valorizzati e divengono facile preda per i “tombaroli” o la criminalità organizzata.

Da tempo, infatti, si richiede più valorizzazione e tutela! Il sistema del “denaro sporco” ricavato dalle refurtive è complesso e differisce in base alla tipologia del bene sottratto: è l’ultimo step di un processo che, in modo graduale e irreversibile, declassa il pezzo rubato fino a spogliarlo, paradossalmente, di qualsiasi suo valore.

Ben più grave è la constatazione di transnazionalità di queste operazioni illecite: i pezzi rari e di alto valore, quindi più facilmente identificabili, una volta rubati vengono allontanati o nascosti per anni fino a che non si trovi l’acquirente diretto oppure, in mancanza di questo, si immettano tramite false certificazioni sul mercato dei professionisti.

Sensibilizzare le coscienze, DENUNCIARE!

La Sicilia è una delle regioni italiane a più alto rischio, con uno dei patrimoni artistici più cospicui, e per questa sua peculiarità spesso nel mirino dell’archeomafia. Solo due esempi a riguardo: se il Satiro danzante, magnifico bronzo originale greco a grandezza naturale, recuperato nelle acque di Mazara del Vallo, è riuscito fortuitamente -e fortunatamente- a non cadere nella rete mafiosa, ciò non vale per la “Natività” del Caravaggio. La tela (2 metri di altezza), rubata nel 1969 dalla Chiesa di San Lorenzo a Palermo, rimane, ad oggi, il ricercato numero uno originando, inoltre, una grave mancanza per quel periodo che vuole il Maestro attivo in Sicilia.