La Bambina che volava sopra gli alberi

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Il Cielo non la smetteva di parlare; le parole avevano sfumature indaco – azzurre ed erano accoglienti come un grembo materno.

Giunse un vento gelido,  dalla voce stridula ed aspra, ed avvolgendosi in mille spire simile ad un serpente imprigionò la bambina che, con polsi e caviglie sostenuti da palloncini rossi come il volto di chi  prova vergogna, fluttuava al di fuori della finestra di un anonimo palazzo.

“Cosa pensi di fare?” – sibilò scuotendo il corpo della fanciulla.

“Galleggiare” – rispose la ragazza con voce tagliente come il pianto

“Gallegiare? Vuoi farmi ridere? Non hai più energia, è inutile essere ostinata. La tua volontà è fragile come i patetici palloncini che ti sorreggono. Resisterai poco” – tuonò il vento trascinando giù il piccolo corpo così tanto da farlo quasi schiantare.

Nell’assistere questa scena un filare d’alberi robusti emise una forte risata facendo scuotere le  cariche fronde, che accarezzate dal vento gelido, produssero un canto giovane ma malvagio come un incatesimo malefico:

“Sei un giocattolo inutile e brutto, non servi a niente andresti distrutto! Tanto di te nessuno si cura e nessuno soffrirebbe per questo lutto”

All’udir queste parole alcune primule, che stavano ai piedi dell’albero, risposero con un coro che somigliava al suono dolce di un violino:

“Perchè questa creatura continuate a maltrattare? Lei, come voi vuol crescere ed amare! Cessate dunque con la vostra stolta incoscienza e smettete di procurarle dolore ed amarezza!”

Adirato dall’ardore dei fiori, il cui canto aveva riportato in alto la bambina, il Vento soffiò come una spada tagliente sulle loro corolle ma, prima di essere spazzata via in una pioggia di petali, una primula gridò:

“Venite corvi venite a vedere di quanta malvagità un essere vivente si riesce a macchiare, venite e  marchiateli con la loro stessa vergogna, chè d’ora in poi non mettano più nessuno alla gogna!”

Dal tetto del palazzo un fitto stormo di neri corvi, forti più del Vento così come forte sa essere  l’inchiostro muto di chi non riesce a parlare del proprio dolore e lo scolpisce in lettere sulla lapide di un bianco foglio,  si precipitò sugli alberi e con frenetiche beccate  iniziò ad  incidere i  tronchi  disegnando le parole: “Violenza, Superficialità, Meschinità, Colpa”

Ad ogni colpo di becco, le fronde degli alberi andavano affievolendosi, ed un  liquido salato come  il  pianto di chi nuota nel proprio dolore, cominciò a scorrere sui loro tronchi causando un senso di  insopportabile bruciore sinile a quello che scotta le labbra di chi ingoia le proprie lacrime; il liquido sembrava ardere i tronchi rendendoli secchi e vuoti, privandoli della loro linfa vitale.

“Cessate questo castigo, ci sembra di morire e adesso siamo in grado di capire! Il bullismo uccide l’anima ed il cuore e ti porta a pensare di non aver valore. Il bullismo ti rende cieco, sordo e muto e non riesci nemmeno a chiedere aiuto!” – urlarono gli alberi.

I lamenti degli alberi produssero un vortice che stava per risucchiare la bambina, non più sostenuta dai palloncini quasi sgonfi, ormai era esausta di tentare di sorreggersi da sola. La bimba cominciò a gridare. “Aiuto! Aiuto, non voglio morire!” ma nessuno sembrava udirla.

A quelle parole il Vento, commosso, si cambiò in brezza e lasciò che il cielo piangesse una pioggia leggera che, pian piano, mutò i corvi in una miriade di farfalle verdi, come la speranza della Vita che sulla Vita vince, lo stormo smeraldino afferrò la fanciulla riportandola in alto per poi adagiarla sul letto di camera sua.

Era stato solo un incubo, bisognava Vivere ancora. 

 

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