LETTERA AL PADRE

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Carissimo,

ho bisogno di dirti alcune cose prima che tu parta perciò, ti prego, fai un piccolissimo sforzo e ascoltami, prima di lasciarmi.

Vorrei che sapessi, subito, dell’amore che provo per te.

Inaspettatamente, proprio adesso che siamo alla fine, scopro di amarti. Non è buffo? Dicono che l’amore è il sentimento più irrazionale. Ed è proprio così, visto che pure gli assassini sono amati. E io amo te. Non te lo sei meritato, il mio amore… penso al male che hai fatto, alle cattiverie, alla tua ignoranza in campo sentimentale, alla tua incapacità di dare, chiuso come sei sempre stato dentro una torre altissima, piena d’avarizia, che ha alimentato la tua sterilità di sentimenti.

Potevi essere felice, lo sai? Felice nonostante tutto. E potevamo esserlo pure noi. Chissà. Forse le cose sarebbero andate diversamente per tutti. Ma è una domanda stupida: non si cambiano le carte del destino, non si può cambiare quello che non si conosce… Potevi essere felice con la mamma, credo non desiderasse altro che essere amata, innamorarsi. Eri bello, papà. Eri bellissimo. Ti guardo nelle tue foto giovanili, mi piacciono il tuo sorriso pieno e gli occhi azzurri che mi hai lasciato in eredità. Il fisico asciutto e tornito, le spalle larghe e quella tua eleganza innata che hai conservato sempre.

La tua bellezza è andata di pari passo con la tua aridità e ti ha chiuso all’amore, alle gioie e ai dolori della vita. Eri “sordo” e “muto” e questa incapacità di ascoltare e dire l’hai riversata dentro ogni singolo interstizio dell’esistenza… ti ho analizzato, sai? Ti ho analizzato per capire, per capirti. In cuor mio ti ho assolto. Ma quanto spreco, quanta ingiustizia!

Ti ho analizzato, e l’ho fatto per comprendere da dove arrivava questo buco che ho dentro, il vuoto che non riesco a riempire, questo “senza” che è la cifra della mia vita…una volta, pensando a ciò che sei, sono arrivata alla conclusione che anche l’amore si impara. Si impara come camminare, parlare, ridere: è un processo emulativo degli altri, proviene dai primi oggetti d’amore. E a te nessuno l’ha insegnato. Perciò come potevi donare una cosa di cui non conoscevi nemmeno l’esistenza? Sì! Perché l’amore ha un suo alfabeto, ha le sue regole. Regole che non trovi scritte da nessuna parte: le impari ricevendo amore, vivendo accanto a chi avrebbe dovuto amarti incondizionatamente. Ma tua madre ha visto in te il fallimento della sua esistenza, il difetto che è uscito dalla fabbrica del suo ventre. Una cosa inaccettabile per molte donne, quando diventiamo madri siamo delle dee creatrici, ci sentiamo vicine a Dio e quel tempo così lungo, nove mesi, serve a creare la Perfezione che discende da Dio. E Dio è infallibile. Tu, invece, eri la prova vivente della fallibilità divina, uno schiaffo creatore, un difetto di “fabbrica”.

Dopo la malattia che ti colpì a pochi anni e ti tolse la parola e l’udito, lei si rifiutò di parlare con te. Si è sempre rifiutata di imparare: ti chiedeva attraverso gli altri, ti rispondeva usando messaggeri. Non ha colmato quella distanza, anzi, l’ha scavata più che poteva. Aveva bisogno di difendersi da te! Non ti parlava d’amore, non ti ha accarezzato, non ti ha mai baciato, e così questi cesti carichi di doni d’amore sono rimasti vuoti. E te li sei portati dentro per sempre.

Alla luce di tutto, come posso condannarti se non ci hai mai amato?

Adesso è quello che sto provando: insegnarti ad amare. Io a te! È incredibile come si possano ribaltare i ruoli! Adesso che ti vedo vecchio e fragile, alla fine, so che ti serve il mio sostegno. Mi fai tenerezza. Sorrido, anche se a volte mi fai arrabbiare, quando provi a liberarti dal mio braccio che ti sostiene, ostinato e indipendente. Come me!

….Il velo nero dell’odio ha lasciato pian piano il posto al velo bianco dell’amore e ho voglia di abbracciarti, di baciarti. Non mi trattengo. Quando lo faccio ti illumini. Forse anche tu mi vuoi bene.

“…dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”… sì è proprio così, papà!

Ti voglio bene, e volevo lo sapessi. È stata l’unica cosa che mi hai insegnato. E non è poco.

Adesso puoi andartene. Fai buon viaggio, papà.

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Letteratura e fornelli sono le mie passioni e, fra queste due attività, divido il mio tempo. Non senza fatica! Che la cucina è cura. E amore. Ma vedere il piacere dipinto sui volti dei miei commensali è una moneta molto preziosa. Una volta uno chef disse che chi mangiava le sue pietanze era come se stesse dando un morso alla sua anima, una specie di eucarestia laica. Lo penso anch'io! I miei racconti? Nascono dalla realtà che frequento, dalle piccole grandi storie che ogni famiglia custodisce, gemme preziose che voglio liberare dal buio dell'oblio. Racconto i racconti che mi raccontano, racconto la mia storia. Scrivo ciò che mi ispira. "L'ispirazione è il mio tavolo di lavoro" diceva Baudelaire: a mescolare gli ingredienti poi ci penso io. E' l'arte dell'attesa: in cucina, come per scrivere un testo, non bisogna avere fretta. Ogni elemento ha un suo tempo specifico di reazione, un suo tempo di "riposo" e uno di "lievitazione". Sui fuochi o dentro l'anima.

1 commento

  1. Rileggere questa lettera, mi fa sentire orgoglioso di essere chiamato fratello da te e mi fa capire che l’amore infinito che hai dentro è qualcosa di speciale che non si può definire! Augh!!!

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