Iacopo Melio: la mia disobbedienza è esercizio alla cittadinanza

Il 2018 si
è concluso con le nomine a Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Tra i
33 premiati dal Presidente Mattarella, Iacopo Melio, 26 anni, di Cerreto Guidi (Firenze),
nominato Cavaliere «per il suo appassionato contributo alla causa
dell’abbattimento delle barriere architettoniche e degli stereotipi culturali».

Iacopo con la “i”, la stessa di
ironico e irriverente, è scrittore, giornalista,  attivista per i diritti umani e civili, studente
di Scienze Politiche e fondatore della Onlus”
#vorreiprendereiltreno”, diventata punto di riferimento nazionale
per la disabilità.  Ha all’attivo
due libri   “Parigi XXI” (Miraggi
Edizioni, 2016) e “Faccio salti altissimi” (Mondadori, 2018) e
nel 2017 è stato vincitore del “Premio
del Cittadino Europeo” .

Abbiamo chiamato il Cavaliere Iacopo Melio
per chiedere la sua opinione sui temi più discussi e controversi dell’Italia di
oggi: barriere, buonismo, politica e giornalismo.

Sul sito del Quirinale alla voce “
gli
esempi civili insigniti da Mattarella” la tua  descrizione si apre con “affetto dalla
sindrome di Escoban”, sbagliando pure sindrome per una r (Escobar). Sull’Avvenire
l’articolo in merito fa precedere ad ogni persona insignita del titolo una
categoria: per te è “Il
DISABILE”, in grassetto e maiuscolo. 
Prima del tuo nome viene la categoria disabile o la tua malattia.
E’ come se avessimo sempre bisogno di questo tipo di comunicazione per
semplificare la realtà.  Cosa comporta
questo  modo di fare?

Quando mi chiedono
“quando avverranno i cambiamenti culturali? Perché ci sono discriminazioni?
etc.”. io dico sempre che è un problema di comunicazione. Noi non sappiamo
raccontare la disabilità e finché non impareremo a raccontarla continueremo ad
avere una società non inclusiva. Continuare a vedere prima la disabilità della
persona significa vederla per quello che non può fare. Non mi sono lamentato
per la descrizione del Quirinale, ma se le Istituzioni sono le prime a
sbagliare poi si crea l’effetto a catena. E’ come con la sindrome, sbagli tu
per primo e sbagliano tutti.

La soddisfazione più
grossa per me è stato il servizio di Rai Tre, quando sono stato presentato come
giornalista e scrittore e non “disabile”. Questo significa
riconoscere un ruolo sociale. Vieni riconosciuto per quello che fai e che sei.
Anche se di questi tempi fare il giornalista è più una disgrazia ( ride).

La tua storia è un atto di disobbedienza continua e
necessaria. Secondo gli stereotipi un disabile non può avere una sua Onlus, 633
mila follower e permettersi  pure di
mandare baci alla “coerenza” del Ministro Salvini, di parlare di
tette e di essere onestamente felice.

Negli
anni mi è stato detto di tutto, ma se c’è una cosa che mi da fastidio è quando
mi si dice “pensa alle cose tue”, che significa pensa alla disabilità
e non parlare di politica. E pensa se non studiassi Scienze Politiche e non
facessi il giornalista. Dovrebbe essere un dovere di ogni cittadino
interessarsi di politica. Si usa la disabilità come bavaglio per censurarti
quando hai idee diverse da chi ti sta attaccando. Questo lo trovo più violento
dell’offesa o della minaccia perché si tende ad annullare la tua esistenza di
cittadino. La mia non è una ribellione. È un impegno a fare del proprio meglio
con gli strumenti che si hanno a disposizione. E’ disobbedienza perché gli
altri la rendono tale. In realtà è  vivere da cittadino.

Da
cittadino, giornalista, studente di Scienze Politiche e Cavaliere ti chiedo
allora cosa pensi dell’ attuale governo, specchio di un’Italia che sembra sempre
più avere paura del diverso o del più debole.

Credo che sia paura del diverso ma
credo anche che si usi il diverso per spaventare e distrarre dai problemi reali.
Si usano i più deboli come merce di scambio per il voto e la visibilità e lo si
fa anche in maniera “caritatevole”. Nel mio
ultimo articolo
ad esempio smonto punto per punto il programma per la
disabilità nella manovra di bilancio, dimostrando con numeri e fonti ufficiali,
che quello che pubblicizzano, dall’aumento delle pensioni al fondo per la vita
indipendente e per il “dopo di noi” non corrisponde al vero. Inoltre sembra
che quello che fanno, lo fanno per carità, in realtà lo dovrebbero fare perché
è un diritto. Si è creato il “Ministro della famiglia e della disabilità”.
Associare le due cose non solo è molto infantilistico, come se un disabile fosse
sempre un bambino e non potesse avere vita propria e indipendente, ma creare un
Ministro apposito è un’ulteriore discriminazione. Basterebbe che ogni Ministero
tenesse conto nel suo operato anche dei disabili, questa sarebbe la vera
rivoluzione.

Dimmi
la verità, sei un buonista? Giusto per restare in tema etichette.

La definizione corretta è “un
buonista di merda”. Chi te lo dice specifica sempre “di merda”, non
so perché ma evidentemente ce l’hanno a cuore. Bisogna essere buonisti, se
buonisti significa essere dalla parte dei più deboli  e ricordare alle persone che i diritti sono
di tutti.

Un
giorno l’Italia sarà accessibile, nel significato più vasto del termine?

E’ ovvio che se non ci
sperassi non mi alzerei nemmeno dal letto la mattina. Non è un percorso facile e
non lo vedo così immediato, però deve essere possibile. Come diceva qualcuno “ogni
lungo viaggio inizia con un primo passo” e noi dobbiamo fare questo primo
passo.

Da
una persona come te che pubblicamente ha una storia fatta di coraggio, denuncia
e ironia, vorrei sapere qual è la tua più grande paura o debolezza, proprio
perché essere deboli sembra non essere concesso.

A livello macro, ho
paura della morte, proprio per il mio profondo attaccamento e amore per la vita
e di conseguenza del tempo che passa. A livello più concreto, ho timore di non
riuscire a essere un giorno indipendente, ad avere ad esempio un lavoro che mi
permetta di vivere in maniera autonoma.

Nella
tua voglia di indipendenza hai optato per una strada ancora una volta non
semplice, il giornalismo. Perché?

Per l’idea di poter dar voce alle storie
degli altri, a chi non viene quotidianamente ascoltato. Quelle persone che
quotidianamente e si vedono negati i propri diritti.  Ho sempre trovato piacere nel vedere le
parole come uno strumento sociale per restituire un pò di giustizia e di
uguaglianza.

Un’ultima
domanda è d’obbligo, andrai in treno a ritirare l’onorificenza?

Il servizio sui treni dal 2014, da quando
ho iniziato la campagna con #voglioprendereiltreno, è un po’ migliorato.  Non dico che sia solo grazie a noi, ma è anche
vero che dopo le nostre campagne, così come dopo il video virale di vengo anch’io no tu no, la
disabilità è uscita un po’ fuori, grazie anche ai social che permettono di
raccontare e mostrare.  Se per avere l’assistenza
nei treni prima occorreva prenotarla con 3 giorni di anticipo adesso bastano 24
ore. A livello culturale, in generale, qualcosa si sta muovendo. Si a Roma andrò
col treno.