Il Bunkerino. Tra le mura di Falcone e Borsellino

Se si pensa a un museo, ci si immagina un posto in cui sono custodite reliquie, reperti e oggetti la cui importanza storica trova degna manifestazione. Teche, vetrine e targhe aumentano l’imponenza e la quasi sacralità di quanto esposto. Lacci rossi sottolineano metaforicamente una separazione non solo, e non sempre, cronologica. Ciò che è esposto diviene in qualche modo ‘lontano’ da un visitatore che percepisce, anche se inconsciamente, un certo distacco.

Una descrizione che non si addice a un museo che tutto vuole, fuorché suscitare distacco. Il museo ‘Falcone e Borsellino’, all’interno del Tribunale di Palermo, mantiene solo nel nome quella dicitura che ispira tanta reverenza quanta separatezza. Alla definizione ‘museo’ si preferisce quella di ‘Bunkerino’, voluto dalla Associazione Nazionale Magistrati e curato unicamente da Giovanni Paparcuri, l’autista del giudice Rocco Chinnici che, dopo essere scampato all’attentato che tolse la vita al magistrato e alla sua scorta, fu richiesto dal giudice Giovanni Falcone come esperto informatico. Dal 2016, Paparcuri cura meticolosamente ogni aspetto del ‘museo’, assicurando al tempo e garantendo alla memoria la custodia di reperti altrimenti perduti.

Un corridoio e tre stanze. Quel corridoio e quelle stanze percorse e vissute negli anni dell’istituzione del Maxi processo dai giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta e Antonino Caponnetto. Tutto è come allora. Gli uffici dei due magistrati simbolo dell’operazione che ha portato al più grande processo della storia italiana, sono aperti al pubblico senza filtri, senza separazioni. Un’unica mediazione: il racconto commosso e pervaso da ricordi ancora vivi di un uomo che quelle stanze le ha vissute da addetto ai lavori. Giovanni Paparcuri è Cicerone e al contempo protagonista. Ogni oggetto, da lui recuperato e gelosamente conservato, ha una sua storia che merita di essere raccontata. Perché è questo lo scopo del bunkerino: non far dimenticare l’Uomo che vestiva quella toga. Cercare di contrastare quel fenomeno di idealizzazione che spontaneamente colpisce quegli Uomini ricordati come eroi, la cui umanità spesso cede il passo alla quasi mitizzazione.

Ecco quindi che ovunque si respira aria di realtà. La storia passata sembra inchinarsi di fronte alla contemporaneità. Tra quelle mura, su quelle mattonelle, il tempo passato da quel 1992 svanisce per lasciare spazio al concreto. Falcone e Borsellino perdono quell’alone di mito per tornare ad acquisire la propria dignità di Uomini. Gli eroi appartengono al mito, a un qualcosa che ha l’odore della leggenda, dell’astratto.

Ecco dunque sulla scrivania del dott. Falcone, le sue penne, i suoi sigari. Le sue papere di legno che l’amico Paolo si divertiva a ‘mmucciare’ (nascondere ndr) quando l’amico Giovanni era fuori città. Il bigliettino d’amore lasciato dall’amata Francesca. E ancora le foto, la sua sedia. Nella macchina per scrivere, un mandato di cattura firmato dai giudici Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta e Caponnetto. Sulla scrivania, la sua agenda, i suoi documenti. Documenti su cui quella firma, che è possibile toccare con mano per sentire il solco sul foglio, strappa prepotentemente al tempo l’idea di un qualcosa che non c’è più.

Altra stanza, altro ufficio, altra realtà. Sulla scrivania del giudice Paolo Borsellino, il cappello indossato per il funerale dell’amico Giovanni. La macchina per scrivere con cui il figlio Manfredi ha voluto stilare la propria tesi di laurea. Il suo diario, la cui pelle consumata comunica più di mille pagine.

Nelle librerie, organizzate come in qualsiasi altro ufficio, dei faldoni misti a libri di diritto. Ci si avvicina e ciò che si legge lascia senza fiato: ‘interrogatori buscetta’, ‘testimonianze contorno’.

Sul muro, incorniciata, la frase che il giudice Giovanni Falcone leggeva a chiunque dovesse avere un colloquio con lui:

“Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni.

Questa è la base di tutta la moralità umana”.

Falcone e Borsellino, Chinnici, Costa, Terranova, Dalla Chiesa, Giuliano… erano Uomini.

GS Trischitta