E’ stato presentato, nella Sala Zuccari a Palazzo Giustiniani, il numero speciale di Limes “Il circuito delle mafie”. Il nuovo numero – da mercoledì 6 novembre in edicola, in libreria e su iPad – fa il punto su dimensione e caratteristiche del fenomeno mafioso nelle sue articolazioni italiane, europee e mondiali. La prima parte della monografia, “Mafie d’Italia, potenze mondiali”, descrive l’attuale panorama della criminalità organizzata sul territorio italiano. La seconda sezione, “Circuito occidentale: America-Africa-Europa”, traccia i circuiti criminali nelle loro propaggini occidentali. La terza, “Circuito orientale: Asia-Europa”, segue invece le diramazioni orientali dei flussi criminali transnazionali.
Un tema di estrema attualità attorno al quale la rivista di Geopolitica diretta da Lucio Caracciolo ha raccolto le riflessioni del Presidente del Senato, Piero Grasso e del nuovo presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi e procuratori tra i quali Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma con un trascorso come procuratore aggiunto di Palermo e Procuratore capo di Reggio Calabria e il cui contributo è stato pubblicato nel numero in questione.
“Il titolo che avete scelto per questo numero di Limes – si legge nell’intervento di Grasso – illumina una accezione moderna del fenomeno mafioso che non si esaurisce in una questione di ordine pubblico interna agli Stati ma ha invece un carattere molto più ampio: politico, geopolitico, economico e globale. Le mafie influenzano i rapporti fra gli Stati, corrodono la democrazia, inquinano l’economia. Il modello mafioso italiano, che si è radicato ed esteso in Italia al di fuori dalle regioni di origine e in diverse aree del globo, nasce da un intreccio fra crimine, società e territorio ed è storicamente connotato da uno specifico rapporto con la politica e l’amministrazione pubblica. Altri fenomeni criminali organizzati nati in altri paesi – continua l’ex procuratore nazionale Antimafia – hanno caratteri diversi e non sempre sono così efficienti nel penetrare i territori e la politica ma a prescindere dalle specificità è essenziale osservare lo sviluppo della criminalità organizzata transnazionale in termini globali”.
“Per combattere l’espandersi delle realtà illecite è importante – afferma il presidente del Senato – che gli Stati adottino norme e strategie comuni per un coordinato sviluppo delle indagini e delle politiche. Alla globalizzazione del crimine dobbiamo opporre quella della legalità e per fare questo serve innanzitutto armonizzazione legislativa delle regolazioni nazionali. E’ compito delle istituzioni riaffermare il ruolo e la forza della decisione politica, perseguendo politiche pubbliche capaci di operare su quelle condizioni sociali, economiche e culturali che maggiormente favoriscono il radicamento delle mafie”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il Presidente della Commissione Antimafia del Parlamento Rosy Bindi. Secondo l’ex presidente del Partito Democratico, dovrebbe entrare in scena l’Europa, dato che “non si combatte la globalizzazione dell’economia illegale e malata se non c’è una dimensione europea della lotta a questi fenomeni”. “Condivido il giudizio -ha aggiunto in un altro passaggio del suo intervento- di chi dice che la politica non è all’altezza, perché non è sufficientemente libera e autorevole. Questa è l’anticamera, il veicolo del radicamento mafioso. Una politica che ha tutto l’interesse a mantenere debole la società, perché la può ricattare e può comprare il consenso è, a mio avviso, il primo e più grande contributo ai poteri mafiosi”. Per la Bindi occorre “adeguare le leggi che interrompono le connessioni tra economia legale e illegale, senza mai perdere di vista che dove non ci sono lavoro e un tessuto sociale forte, la mafia ha gioco facile. Se la mafia dà lavoro -ha osservato Bindi nel passaggio conclusivo del suo intervento- è più forte di uno Stato che non è capace di darlo”.
Presente all’interno del numero “speciale” di Limes, la conversazione con il Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone. Parlando della corruzione nella capitale, l’ex procuratore capo di Reggio Calabria ha spiegato come mentre a Palermo, nel reggino o (con le dovute differenze) a Napoli il problema principale è l’associazione di tipo mafioso, a Roma i fenomeni criminali di maggior rilievo sono molto più variegati. A Roma c’è la corruzione della pubblica amministrazione, c’è la criminalità economica in cui frode ed evasione fiscale, per Pignatone, sono connotati di un problema tipicamente «romano».
E’ storia come le mafie siano state attive nella capitale. Pippo Calò per un lungo periodo ha risieduto a Roma, dove aveva intensi rapporti con la banda della Magliana per quasi un ventennio presenza ingombrante nell’economia della città. Vincenzo Casillo, braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata, assassinato proprio a Roma. O ai molti latitanti arrestati nel corso degli anni. La complessità di Roma si riverbera anche sul fenomeno della criminalità mafiosa, che qui intendiamo in senso stretto, ossia con riferimento alle organizzazioni che abbiano le caratteristiche previste dal 416bis.
Sulla struttura tentacolare delle organizzazioni criminali, recentemente sono emerse nella loro cruda realtà le connessioni tra territori apparentemente distanti ma legate dalla capacità di ramificazione di clan e cosche. L’esempio di Sedriano e Cirò, due realtà opposte geograficamente e culturalmente, si sono ritrovate sotto gli stessi lanci di agenzia. Sedriano,primo comune sciolto per mafia in Lombardia, e Cirò nel crotonese, in cui il CdM si è pronunciato per ripulire le amministrazioni dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta. Che il malaffare insegua i flussi di denaro è un dato acquisito, che lo faccia spostandosi stabilmente in luoghi culturalmente più avanzati per ragioni storiche e di sviluppo economico ormai non si può più escludere. Sembra proprio che la criminalità non tema più di operare anche in contesti in cui sulla carta vengono ancora portati ad esempio enti e strutture territoriali efficienti ma che, indagini alla mano, testimoniano la collusione tra mondo della finanza, colletti bianchi e boss che nel frattempo hanno deposto le armi per abbracciare le più appetibili gare di appalti. Gare che – cronaca recente- sembrano essere disertate da imprese e aziende. Ha suscitato scalpore in un Comune brianzolo una gara d’appalto andata deserta.
Cose d’ordinaria amministrazione nelle Regioni del sud, dove non suscitano purtroppo lo stupore di molti. Eppure il sindaco di Desio(MB), questa gara d’appalto fallita non riesce a mandarla proprio giù. “Non ho gli elementi per affermare che c’entri la paura dei clan – ha dichiarato il sindaco di Desio Roberto Corti (Pd) – ma è certo molto strano, non è mai successo. Non è un lavoro impegnativo, basta garantire la reperibilità dei mezzi”.
‘Ndrine in Lombardia? Si, la Lombardia sembra svegliarsi sotto l’egida dei clan. L’operazione “Golden Snow” della scorsa primavera portò alla luce come lo spalare la neve rappresentassa un traffico presumibilmente legato alla ‘ndrangheta. La pulizia delle strade da ghiaccio e neve risultò essere affidata a società riconducibili a Stefano Parravicini e Rosario Britti, personaggi che, secondo l’impianto accusatorio, sarebbero legati a Candeloro e Domenico Pio, nomi di spicco della ‘ndrangheta lombarda, condannati a 20 e 16 anni di carcere per associazione mafiosa.
Limes ci parla di un fenomeno mafioso globalizzato, di flussi finanziari pericolosi per l’Italia e tratte internazionali di droga ma se altrove i flussi finanziari sembrano non essere regolarizzati da una legislazione mondiale in contrasto alle criminalità organizzate, in Italia dispositivi amministrativi e leggi non sembrano sortire molto nonostante denunce e atti di denuncia da parte della società civile. L’apologia di Cosa nostra, della ‘ndragheta e della camorra trova ancora ispirazione in parte del popolo italiano. Intanto continuano gli scontri tra procure e dirigenti del Carroccio che i sindaci ladri li hanno sempre visti sempre più a sud rispetto al loro “buongoverno”.
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