Il filo precario del sogno fuori dal campo

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“In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio”. Parole che meglio di altre riassumono la situazione vissuta dalle famiglie rom che, da quando hanno lasciato il campo, sono andate a vivere nella scuola di Cataratti. Da quel giorno, sono passati tre anni esatti e, cadute le buone intenzioni e i buoni propositi della passata amministrazione, resta il disagio di queste famiglie, che chiedono chiarimenti a Palazzo Zanca. Perché in questo stato sette bambini e cinque adulti non possono più vivere. Infatti, all’interno e all’esterno l’edificio scolastico restituisce crepe, umidità e mura spaccate in due. A raccontarci i disagi maggiori è Giuseppe, che ha sposato una ragazza rom: “Quando siamo stati portati qui, ci hanno indicato le condizioni per poterci vivere. Alle norme generali quali il contratto di casa e luce, si affiancava il divieto di portare persone estranee e roulotte. Entro diciotto mesi, questa scuola doveva essere, tramite il sistema dell’autocostruzione, modificata e adattata alle esigenze abitative, oppure ci doveva essere dato un alloggio. Da quel giorno sono passati tre anni”.

“Queste persone non hanno alcun contratto”, spiega l’ex assessore alle politiche sociali Dario Caroniti. “Non è stato stipulato perché, nel frattempo, non è stata fatta la catastazione e, con essa, gli atti conseguenti alla loro permanenza lì, compresa la suddivisione della scuola in due, perché dovevano venire due appartamenti e ovviamente si sarebbero dovuti raddoppiare i servizi igienici. Era stato previsto di dedicare una parte all’autocostruzione, come è successo per gli alloggi dell’Annunziata, ma nel frattempo sono decaduto e non è stato possibile continuare il lavoro”.

Intanto, proprio in questi giorni l’ispettore dei vigili urbani Biagio Santagati si è recato nella scuola per effettuare un sopralluogo e redigere un piano di intervento che, secondo quanto ci raccontano ancora gli inquilini, sarebbe stato stimato in trentamila euro. Una somma esosa, rispetto ai soldi che il comune è disposta a spendere: “Il comune” dice ancora Giuseppe “ci ha proposto di sistemare lo stabile, offrendoci la cifra di seimila euro. Con questa cifra non si può fare nulla, forse arriviamo a sistemare solo la porta d’ingresso. I problemi sono di ordine strutturale. La stanza da letto l’ho sistemata io, senza chiedere alcun contributo”. Resta comunque un pizzico di felicità per queste famiglie, perché, nonostante le pessime condizioni in cui si trovano a vivere in questo edificio che assomiglia appena a una casa, sono riusciti a instaurare un buon rapporto con le persone della zona.

Il clima, però, non è stato sempre così sereno, come racconta il consigliere comunale dei Democratici Riformisti Nino Carreri: “L’esperimento portato avanti da Caroniti ha creato clamore. Si guardava con diffidenza a questa comunità, tanto che all’epoca si organizzò un incontro in parrocchia per creare un clima ospitale”. Il punto però, sempre secondo Carreri, è riflettere su quale futuro la politica messinese vuole dare a queste persone, che a tutti gli effetti sono messinesi e meritano una chance, anche per mettersi in fila in quella che oggi è un’emergenza abitativa, perché “la scuola non è una risposta adeguata”.

Che la scuola non è una risposta adeguata, però, non lo suggeriscono solo i muri troppo alti, difficili da dipingere e che richiedono l’impiego di una scala e tre persone che la sorreggono, minando l’incolumità delle stesse persone, ma anche la puzza nauseabonda che emanano i muri ammuffiti e che i bambini sono costretti a respirare e i ratti che troppo spesso la popolano insieme agli inquilini. La domanda è “che senso ha spendere in una struttura che versa in condizioni assai rischiose?”. L’auspicio poi è che non si arrivi al prossimo maggio per “festeggiare” il filo precario del sogno fuori dal campo. 

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