È il titolo di un libro di Ernesto Balducci, che scorro tra le mani mentre rifletto su ciò che è accaduto in questi ultimi giorni. Mi riferisco al tragico e disumano episodio dell’attacco israeliano alla nave di pacifisti palestinesi. E mi riferisco al messaggio lanciato da chi oggi pomeriggio si è riunito davanti alla Prefettura di Messina per far sentire una voce “altra” rispetto a quanto abbiamo sentito dai vari TG e letto nelle testate giornalistiche.
Mi viene subito da pensare che alla base di questa piccola forma di protesta pacifica, non violenta, avvenuta proprio qui, a Messina, con poche persone, sta la provocazione di una sfida difficile e in apparenza disperata, che non può che suscitare irrisione in quel “mondo dell’opulenza” che tende irresistibilmente allo sfondamento di ogni limite, vive nel consumismo esasperato e nello spreco permanente e non vuol saperne (anzi concepisce come assurdo) il solo parlare di senso del limite e della misura, di saggezza e sobrietà.
Scrive Ernesto Balducci, nella sua Etica Planetaria, che «la figura di Francesco d’Assisi viene letta all’interno della nuova consapevolezza ecologica della comunione creaturale, in cui la terra diviene la casa, l’abitazione di quei viandanti che noi stessi siamo, ora avvertiti di ciò che comporta il suo degrado e saccheggio».
Non posso non pensare al disumano modo di trattare avvenimenti di questo genere e subito etichettarli come forme di “terrorismo”, di attacco alla libertà ed alla democrazia; non posso non pensare al modo in cui, ormai da decenni, uomini come noi sono stati privati di un loro sacrosanto diritto che è la terra.
Si tratta di intendere bene il senso della protesta di oggi, che non significa elogio della rinunzia e del sacrificio, ma nuovo senso della fruizione, della gratuità delle cose, sapersi rapportare e cogliere come parte di un’ «etica planetaria», dove non esistono più divergenze che separano, ma la diversità diviene anticipo di comunità, crescita, sviluppo.
La “povertà” francescana di cui il basso numero degli intervenuti può farsi segno –rivendicata in antitesi all’opulenza povera di senso, di direzione e di ricchezza umana del mondo mercificato, di multinazionali e “prime Nazioni” che vogliono imporre dittature e regimi mascherati di democrazia e difesa dei diritti, oggi però vincente e apparentemente insormontabile – «costituisce un serbatoio di inaudita ricchezza, perché con essa l’uomo riguadagna un nuovo possibile rapporto tra sé e il suo ambiente vitale, sottratto alla logica irresponsabile del consumo sfrenato e dello spreco, della devastazione e dell’abbrutimento» (cfr. Ernesto Balducci, Etica Planetaria), che potremmo semplicemente dire disumanizzante e spersonalizzante. Parafrasando Nichi Vendola, che propone la riscoperta di un’etica dei volti su un’etica dei voti, avverto come significativa questa presenza non massiccia da un punto di vista numerico, ma intensa, sentita, densa di forti e coraggiosi messaggi. Apparenti “sconfitte” possono oggi essere un monito per un mondo che dei numeri, dell’economia, del successo, del “merito”, fa gli unici suoi criteri di valutazione.
Mi viene anche in mente la figura di Gandhi con la sua prospettiva – pura utopia, di fronte all’attacco, addirittura, di una nave di pacifisti! – della nonviolenza.
Eppure sento di dire che qui si ribaltano i termini tradizionali del rapporto fra realismo e utopia, o meglio, per dirla con Don Tonino Bello, di eu-topia (bel luogo). Ritengo che si possa e si debba, anzi, parlare di realismo dell’eutopia e indicare nella nonviolenza la via obbligata da percorrere se vorremo salvaguardare, per quanto è in nostro potere, questo mondo e l’uomo.
Da frate e sacerdote, vi dico che la scelta di Gandhi è intensamente evangelica e fa saltare l’ambigua ed irreale dicotomia schizofrenica fra realismo opportunistico, appiattimento rassegnato sull’esistente, da un lato, e spiritualismo consolatorio, interiorismo inefficace dall’altro.
La logica della nonviolenza è una logica paradossale, che comporta il nostro essere-nel-mondo, ma non completamente del mondo, facendo nostre le parole di Gesù Cristo ai suoi discepoli.
«La nonviolenza appare come un’arma di lotta, la strategia migliore per affrontare e risolvere i conflitti (non per eluderli), una pratica che, anziché condurre alla rassegnazione e all’accettazione del male e della violenza, li combatte radicalmente, esibendo un coraggio di tipo nuovo, non guerriero e maschilista né semplicemente muscolare, che ai fautori delle antiche e consuete pratiche della violenza sembra del tutto risibile» (cfr. Ernesto Balducci, cit.).
E’ una scelta profetica di chi, molto amando non solo la propria vita, ma pure quella degli altri, con coraggio e con temerarietà ed audacia, sceglie una via che limita il più possibile la sofferenza, la morte, la distruzione delle persone e delle cose. «E’ una via che nell’altro non vede mai soltanto il nemico o l’avversario, ma sempre anche – attraverso l’esercizio concreto dell’empatia – l’altro uomo, la sua umanità da non calpestare, le sue eventuali e almeno parziali buone ragioni da riprendere e far proprie». (idem)
Mi rincuora leggere e vedere che esiste, in questo mondo, in questa Messina, gente che cerca testardamente e profeticamente di leggere negli eventi della storia contemporanea i segni della progressiva affermazione della cultura della pace e della pratica nonviolenta.
La fase storica attuale, col riproporsi drammatico della cultura della guerra e della violenza, col riemergere dei nazionalismi e delle rivalità interetniche tra i Palestinesi e gli Israeliani sembra smentire con forza brutale questa prospettiva.
Ma –ed è sempre Ernesto Balducci a prestarmi le parole – «quando però gli uomini torneranno a riflettere su di sé al di là dei molti e inquietanti oscuramenti della ragione cui assistiamo, l’indicazione della nonviolenza apparirà probabilmente – se non sarà già troppo tardi – come l’unica strada realistica a noi dischiusa nella prospettiva della sopravvivenza e, ancor più, della dignità della specie: in questo senso la “cultura della pace”, … era ed è una posta in gioco molto più alta della mera assenza di guerra e di violenza. La profezia, qui, si fa profezia anche di possibile sventura: “Siamo chiamati a compiti così nuovi che, se non avremo uno spirito nuovo, commetteremo i crimini che i nostri padri hanno commesso”. In questione, radicalmente, sono infatti l’essenza dell’uomo, il senso stesso del nostro esistere».
Una protesta, quella di oggi, piccola ma significativa. Una logica, quella della nonviolenza, apparentemente paradossale ma da perseguire con coraggio e slancio. La prospettiva di un mondo Altro. Immagini che dal futuro possono e devono precipitare nel nostro presente.