Ingroia: dietro alle minacce a Di Matteo non c’è la mafia

La procura di Palermo e le indagini sulla trattativa Stato-mafia tornano prepotentemente agli onori della cronaca per le minacce subite da Nino Di Matteo, il pubblico ministero che regge le redini dell’accusa ai boss e agli uomini dello Stato accusati di aver trattato nel periodo delle stragi del 1992-93. Due lettere anonime che riportavano gli spostamenti del magistrato hanno indotto il Csm e il ministero dell’Interno ad aumentare la protezione a Di Matteo, che intanto continua a svolgere il suo lavoro senza rilasciare interviste. 

Antonio Ingroia, fino a qualche mese fa anche lui magistrato a Palermo e coinvolto nelle indagini scottanti che hanno messo sul banco degli imputati da capi mafia del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano a politici come Nicola Mancino e uomini delle forze dell’ordine come Mario Mori e Antonio Subranni, parla delle minacce al collega.

«È da qualche anno che si è creata un’atmosfera molto calda attorno alla procura di Palermo, soprattutto intorno alle indagini sulla trattativa Stato-mafia che ho coordinato fino a qualche mese fa e che il collega Di Matteo ha seguito insieme a un pool di magistrati. Ci sono state minacce che hanno riguardato a volte Di Matteo, a volte me, a volte i magistrati da me coordinati. Io non credo che quelle a Di Matteo siano minacce della mafia, perché quando la mafia vuole colpire non avverte. Credo che gli ambienti che più temono queste indagini non siano quelli mafiosi ma apparati istituzionali che hanno molto da temere che venga fuori tutta la verità sulla strategia stragista del 1992-93».

Questo clima aiuta le mafie nei loro affari, nella loro strategia di inabissamento e nell’allontanare ogni tipo di verità sulla trattativa e sui grandi segreti di Stato che hanno interessato la storia del nostro Paese?

«Certamente si. Tutti i momenti di difficoltà e di crisi agevolano i sistemi criminali. Questo è un momento delicato sia dal punto di vista processuale, visto che si sta arrivando a sentenza nel processo per favoreggiamento per la mancata cattura di Bernardo Provenzano [nel 1995, ndr], ma anche sul versante politico perché l’Italia oggi è senza governo e in una situazione di stallo politico-istituzionale. In questo momento i sistemi criminali integrati della mafia con i poteri occulti fanno sentire le loro voci per creare un clima di instabilità».

Secondo lei l’isolamento che sta vivendo il pm Di Matteo è dovuto in parte anche al fatto che lei ha lasciato la procura di Palermo per candidarsi?

«Io non credo che ci sia nessun isolamento personale, Di Matteo è all’interno di un pool che lavora e ci sono tanti italiani che vogliono la verità. Direi che l’unico isolamento che Di Matteo e l’intero pool vivono è un isolamento nei confronti del mondo delle istituzioni, che è rimasto sordo a questa richiesta di verità. Il dottor Di Matteo oggi non è più isolato, è più esposto, che è un concetto diverso perché quando c’ero io l’esposizione mediatica era concentrata su di me. Sono convinto di aver fatto la cosa giusta, perché andandomene ho tolto di mezzo il magistrato più esposto mediaticamente e credevo che per un certo periodo questo avrebbe dato tregua alla procura di Palermo. Così è stato. E come spesso accade il ciclo si ripete, infatti era già successo lo stesso quando si trasferì il dottor Caselli: io ero alla procura di Palermo e per un po’ lavorammo in tranquillità portando avanti la nostra linea. Poi l’esposizione mediatica aumentò si di me e gli attacchi e le accuse che erano stati rivolti contro Caselli sono stati rivolti a me.Ora si sta ripetendo la stessa storia con il dottor Di Matteo. Il punto è che bisogna far venir meno l’isolamento istituzionale. Sono convinto che serva un impegno politico di chi ha a cuore le tematiche della giustizia e che sia amica della magistratura e non nemica. Per questo mi sono candidato».

Si aspettava il risultato che Rivoluzione Civile ha ottenuto o credeva di avere una percentuale maggiore di voti?

«Ovviamente mi aspettavo di più, però so che siamo sstati vittima di alcune condizioni: aver messo su un movimento in un mese e mezzo non ci è stato certamente di aiuto; siamo stati travolti dallo tsunami di Grillo e infine la presenza di alcuni partiti e politici di lungo corso ha finito per penalizzarci. Ma io credo in questo progetto e credo che dovrà ripartire su basi diverse».