L’AQUILA E’ NATA PER SPLENDERE- NON PER MORIRE

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A quasi 5 anni dal terremoto de l’Aquila avvenuto la notte del 6 aprile del 2009,  un’altra catastrofe si è abbattuta  sul  suo Comune . Vice sindaco, fun­zio­nari, asses­sori ed ex asses­sori sono finiti sott’inchiesta per reati che vanno dal mil­lan­tato cre­dito alla cor­ru­zione. Due giorni fa ero lì, e dopo tutti questi anni ritrovo una città deserta, ritrovo vite distrutte, angoscia. Primo Levi diceva: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.  Non si può non conoscere e non comprendere il dolore di una terra così “scossa”.

  Il sisma   ha lasciato   308 vittime, oltre 1500 feriti e più di 10 miliardi di euro di danni stimati, sembrano però passati pochi giorni da quell’incubo. Mi sembra quasi di viverlo personalmente.  L’AQUILA è deserta, i pochi negozi che ci sono, chiudono e riaprono in posti diversi  per via dell’agibilità che il comune gli concede per pochi mesi,  così mi dice  Giorgio,  un ragazzo di 19 anni che trovo all’ufficio informazioni della piazza centrale mentre mi racconta con tristezza delle poche cose rimaste da vedere, mi delinea una mappa  indicandomi  la fontana delle 99 cannelle,  costituita da novantatrè  mascheroni in pietra e sei cannelle singole, dalla maggior parte dei quali sgorga l’acqua. Secondo la tradizione, le cannelle rappresenterebbero i novantanove castelli che, nel XIII secolo, parteciparono alla fondazione dell’Aquila e  lui,  con la dignità di chi, sconfitto vuole riappropriarsi della sua città mi dice che lo Stato li ha abbandonati mentre mi indica  un posticino dove assaporare il loro prosciutto.

Il salumiere, mentre  con amorevole cura  mi porge il tanto aspettato panino mi racconta della sua vita distrutta- ha perso casa e lavoro ed ora, senza perdersi d’animo continua il suo egregio  lavoro  cambiando negozio continuamente  e portandosi dietro tutto ciò che gli è rimasto.

 Lui e la moglie con forza e coraggio continuano a darsi forza  tra i ruderi di una città fantasma ed io, con il mio panino in mano, trafitta dalle loro  parole continuo il mio pellegrinaggio “rovistando” con gli occhi attraverso le  finestre dove  si scorgono ancora materassi, coperte, piatti, mobili sparsi qua e là. Oggetti rimasti lì, come se il tempo si fosse fermato a quella maledetta notte. Calcinacci di case ormai abbandonate, impalcature che segnano una ricostruzione che tarda ad arrivare,   strade ormai vuote, silenzio, pace. E’ la troppa pace  che mi trafigge   mentre con lo sguardo lucido mi avvio verso quello che è rimasto della  casa dello studente. Un pezzo di vita crollato per sempre. Le  mura rimaste  rappresentano il   simbolo di una disgrazia non preventivata che contempla  storie di ragazzi provenienti da diversi paesi. Erano lì solo per studiare e dare un senso al loro destino, quello che la notte del 6 aprile è stato spezzato per sempre. Tecnici, ingegneri, sismologi hanno colpevolmente e reiteratamente ignorato tutte le prescrizioni per evitare il dramma. Si notano  vizi progettuali, materiali scadenti, errati interventi manutentivi. Questo è ciò che resta della dimora di  questi ragazzi morti per colpa di chi non ha mai fatto il proprio dovere.

L’eco di questa meravigliosa città racconta storie di  vita vissute:  Giovanna Berardini  avrebbe dovuto dare alla luce sua figlia Giorgia il giorno seguente al terremoto e invece morì nella sua casa in via Fortebraccio insieme al marito e al figlio. Sara  e Lorenzo – i due fidanzatini morti l’uno nelle braccia dell’altra. Lei   23 anni, studiava scienze infermieristiche nel capoluogo abruzzese, mentre Lorenzo, 25 anni, stava per laurearsi in agraria a Teramo. Gabriele – 19 anni, era uno studente modello,  già al secondo anno di ingegneria. Marco ,  20 anni,  studiava ingegneria, trovato dopo giorni sotto le macerie, Federica 24 anni, studentessa di medicina  e volontaria nella croce bianca. Giusy e Genny le due sorelle di 24 e 22 anni, Alberto il 35enne impiegato che era solo passato a trovare un’amica e invece ha trovato la morte. Queste sono solo alcune delle vite stroncate da una tragedia che non sembra aver fine. Del resto: “A terremoto avvenuto, si scopre sempre qualcuno che l’aveva previsto ma non era riuscito ad evitarlo” 

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