In questi giorni si parla molto di morti e cimiteri in occasione della festa del due novembre. Passeggiando al cimitero monumentale tra le tombe di uomini ricchi e illustri, tra i moderni mausolei che tanto ricordano l’orrore delle speculazioni edilizie che caratterizzano Messina, ho immaginato di essere una maestra che decide di portare i suoi allievi al cimitero dei poveri, senza lapide e senza tomba. Polvere alla polvere, cenere alla cenere. È un cimitero veramente autogestito, dove parenti e amici creano piccole lapidi mobili se possono, altrimenti i defunti vengono ricordati da una semplice croce, a volte anche senza nome. Nelle belle stagioni si crea un prato di erbe spontanee e c’è un panorama incredibile: nulla da invidiare alle cappelle che puzzano di fiori morti.
Potrebbe accadere che in questa passeggiata i bambini si incontrassero con il fantasma del mimo Gérard Foucaux che si aggira tra la scalinata Santa Barbara e il cimitero dei poveri. Facciamo finta che sia accaduto davvero, che io sia la maestra, che siamo al cimitero, tutti insieme e per un attimo torniamo un po’ bambini. Appare Gérard, sta fumando, è seduto sull’erba, sembra ringiovanito. Man mano che ci avviciniamo spegne la sigaretta, ci fa un cenno e inizia a truccarsi, prima la crema, poi il cerone bianco, poi il borotalco, indossa un gilet colorato. Ci fa un medley dei suoi spettacoli più belli: la sua nascita, il bello di essere un clown, atto senza parole. E ci lascia senza fiato. Alcuni di noi non ricordavano più Gérard, alcuni bambini, troppo piccoli, non l’avevano mai visto e avevano sempre sognato di incontrare un vero mimo, un vero clown.
Un bambino alza la mano e gli chiede se non è triste rimanere in questa parte di cimitero dove quasi nessuno viene a trovarlo. Lui risponde “Je m’en foute”. Poi ci rivela che un giorno a Messina esisterà una scuola di circo Gérard Foucaux, che sta a noi lavorare per crearla. E ci racconta la sua infanzia, la vita difficile con i genitori alcolizzati, poi gli orfanotrofi, la famiglia che adottò lui e la sorella Silvie per sfruttarli sul lavoro. Il padre adottivo che lo picchiava se andava bene a scuola, perché voleva che si impegnasse solo nei lavori che gli ordinava. E poi la fuga a Parigi, l’incontro con Marguerite Duras che gli permise di frequentare la scuola di circo di Annie Fratellini, il suo maestro di mimo Ikuo, l’amicizia con Marcel Marceau, poi quando riuscì a portarlo a Messina. Gli chiedono come mai decisa di trasferirsi a Messina, lui fa un po’ il vago, il fantasma vicino di terra sussurra a un orecchio della bambina accanto a me “pi na fimmina” e si sparge subito la voce in tutta la classe, ma Gérard non conferma, cambia discorso, ci parla di quando lavorava in TV con i bambini a pianeta marameo e di quando fondò con l’amico Bernerd Michaud “La cage au folles” la prima e sino ad ora unica scuola di mimo a Messina, dove si svolgevano corsi di mimo, clown, yoga, teatro.
Un’altra bimba gli chiede com’era la scuola ai suoi tempi e come vorrebbe che fosse. Gérard risponde che non era meglio di ora e solidarizza con i bambini che si lamentano per i troppi compiti; c’è un gruppetto che vuole imparare a giocolare con le palline, altri vorrebbero più ore di arte e ginnastica. Gérard ha sentito parlare di asili steineriani, scuole waldorf, e anche di scuole familiari, non sa esattamente cosa siano, ma pare che i bambini si divertano di più e imparino meglio, dice che si imparano molte cose pratiche, oltre che teoriche, c’è più armonia, si può giocare molto. Si dispiace però che spesso queste scuole siano private, e quasi mai nei quartieri poveri. Sarebbe bello che questi metodi di insegnamento più creativi si spargessero a macchia d’olio nei quartieri più difficili e che l’accesso fosse gratuito.
“Bella idea il pedibus” e “i luoghi per crescere”, sussurrano i morticini vicini – anche al cimitero è giunta voce di queste iniziative dell’amministrazione comunale per i più piccoli.
“Sì, ma” aggiunge Gérard, “non basta: ci vuole un cambiamento nella scuola, non certo la riforma della Gelmini o del Monti di turno, poi che sono ste “larghe intese”… bleah! la rivoluzione potete farla anche voi, se i vostri genitori sono troppo borghesìni potete farvi consigliare dai clown e dalle maestre simpatiche. Potete scambiarvi i libri, i giocattoli, smontarli, costruirne voi, non c’è bisogno di chiedere continuamente regali costosi e di plastica, potete essere voi stessi creatori dei vostri giochi, riciclarli, io ne ho trovati tanti nella spazzatura, potete cantare, danzare, condividere il vostro cibo, fare i compiti insieme e se sono troppi decidere di non farli e non avere paura della maestra, che se è brava vi capirà e vi aiuterà, se non è brava potete ribellarvi e poi chiudere gli occhi e immaginare un’altra maestra, un’altra scuola, un’altra città…a volte quando li riapri il sogno si è avverato, altrimenti hai guadagnato comunque un bel momento di libertà”.