Qualcosa sta cambiando in Sicilia. Per trent’anni l’editore Ciancio è stato il simbolo dell’inviolabilità Ora è finito nel registro degli indagati di Catania.
L’editore Mario Ciancio iscritto nel registro degli indagati a Catania è notizia più imprevista e claL morosa delle dimissioni di Fidel a Cuba o della conversione alla democrazia di Kim Jong nella Corea del Sud. Come loro, per trent’anni Ciancio ha incarnato su di sé il principio supremo del potere: l’inviolabilità. Adesso l’ha perduta. Inviolabilità non è solo impunità, che richiama materia per questioni tribunalizie. L’inviolabilità è un modo di condizionare i pensieri e i gesti degli altri, di acconciarli all’obbedienza, al rispetto dovuto, al bacio della pantofola. Per trent’anni Ciancio è stato un editore inviolabile, ossequiato dai colleghi, temuto dai suoi cronisti, adulato dai mandarini della politica (di maggioranza e d’opposizione). Per trent’anni è stato un imprenditore inviolabile, capace di far ruotare a suo piacimento i destini dei piani regolatori delle città in cui voleva costruire, area edificabile dov’era verde agricolo, indici di cubatura triplicati, veti della soprintendenza azzerati… senza che mai qualcuno (con poche eccezioni) puntasse il dito e la voce contro gli scandali. Per trent’anni, da padroncino del suo giornale, Ciancio ha governato l’informazione siciliana come Mosè sul Sinai: ciò che andava pubblicato, ciò che andava manipolato, ciò che andava cestinato. Per trent’anni ha celebrato i suoi passi di danza con i capi della mafia catanese offrendo loro in omaggio graziosi cadeaux: qui ti pubblico una letterina arrivata fresca fresca dal 41 bis, lì tolgo la parola e la faccia alle notizie che vi di- sturbano, apparecchio lenzuolate di giornale per i teoremi dei vostri avvocati, propongo campagne sulla mafia che non esiste, censuro i necrologi delle vittime della mafia… In un Paese mediamente civile, alla prima strizzata d’occhio di Ciancio a Santapaola l’ordine dei giornalisti gli sarebbe saltato al collo, le procure del regno lo avrebbero messo in croce, i suoi giornalisti avrebbero proclamato uno sciopero a oltranza e gli altri editori avrebbero deciso di andarsi a stampare i loro giornali altrove (e non nella tipografia di Ciancio, come fa da molti lustri anche Repubblica). Inviolabile lo è stato, Mario Ciancio: ma solo grazie alla viltà degli altri. E adesso che vecchi, vecchissimi episodi vengono riletti e giudicati con sguardo più attento dalla Procura della Repubblica di Catania, ci sgorga dal cuore una domanda: ma quando queste cose accadevano e da taluni venivano perfino raccontate, quando Ciancio riceveva il boss Ercolano nel suo ufficio per consentirgli di fare un cazziatone al cronista che s’era permesso di nominarlo invano, quando il suo giornale dava silenzioso risalto ai messaggi in codice che la famiglia Santapaola spediva a mezzo lettera da un carcere di massima sicurezza, quando Cosa Nostra si spolpava la città, scannava i suoi uomini migliori, si metteva in tasca denari e appalti e il foglio di Ciancio su tutto ciò taceva, dove diavolo erano quei giudici? A cosa pensavano? Su cosa si trastullavano? La notizia è questa: la fine del- l’inviolabilità di Ciancio, non le cose che ha fatto, i suoi peccati da periferia. Quelli erano noti, masticati cento volte, scritti , letti e declamati. La notizia è quel giudice che ha finalmente deciso di fare di quelle storie un racconto e di trasferirlo nel codice penale. Concorso esterno in associazione mafiosa: poteva essere contestato una decina di anni fa, ma va bene così. L’altra notizia è che per molti siciliani illustri Ciancio resta inviolabile, innominabile, insindacabile. Le cose raccontate in questi giorni sono gravi, avrebbero preteso che qualche schiena politica non restasse piegata a compasso visto che non ci sono più pantofole da baciare. Invece: il silenzio. Stupito, ansioso, sfacciato. Non un parlamentare della Repubblica ha ritenuto di dover commentare, né da destra né da sinistra. L”‘antimafia dei fatti” s’è ritrovata sfatta, muta, attonita. I capi del Pd, preoccupati di venir cestinati dai pastoni politici delle gazzette di Ciancio, hanno staccato la spina. Eppure di cose su cui ragionare ce ne sarebbero. Lombardo e Ciancio, una cerniera di potere e di impunità che vacilla, si slabbra, si spalanca. Inchieste impietose sui clientes del governatore siciliano, sulle sue assunzioni facili, sui randez-vous con i mafiosi; inchieste rigorose sugli affari e gli amici dell’editore siciliano, sui suoi rapporti con Cosa Nostra. Qualcosa sta cambiando, in Sicilia. Irreparabilmente. Lo racconta anche il silenzio dei vili. Conserviamone memoria per gli anni che verranno.
da L’Unità del 4 dicembre 2010