L’immagine più bella della manifestazione è Marco, 15 anni, appoggiato ad una Punto bianca, defilato dal resto della protesta. Defilato non perché escluso, né per una volontà dissociativa individuale, rispetto alla sua prima esperienza di partecipazione politico-partitica, Marco guarda i suoi – forse – prossimi compagni di partito inneggiare slogan ed intervenire dal megafono, battere le mani a tempo e mostrare i cartelli appesi al collo con le loro scritte di protesta nei confronti di una classe politica lontana ed indecente, guarda e si indigna con una genuinità ed un’innocenza che dovrebbero essere quelle di chi vuole lanciare oltre l’ostacolo il futuro di questo Paese. Parlo con lui e mi racconta la sua esperienza rispetto ai movimenti di protesta degli studenti di questo autunno, e tutto ciò che di questo movimento non gli è piaciuto; lo spiazzo un po’ con due domande particolari: «a quali ideali ti senti legato?», «oggi come oggi, se potessi, quale partito voteresti?». Alla seconda domanda mi risponde che la situazione è un po’ confusa, ed effettivamente, come dargli torto, in uno Stato in cui gli intrighi ed i ricatti di palazzo dominano e segnano le agende politiche di ogni governo. Marco e la sua protesta.
La protesta, però, è anche quella – è principalmente quella – della Giovane Italia, movimento giovanile del Pdl, nato nel 2009 dalla fusione di Forza Italia-Giovani per la Libertà ed Azione Giovani, realtà giovanile di Alleanza Nazionale, costituitasi in continuità con la svolta di Fiuggi attraverso l’unificazione delle organizzazioni per i giovani militanti dell’M.S.I., ed è una protesta sentita quella che porta più di un centinaio di giovani a radunarsi davanti Palazzo dei Normanni, sede dell’Ars, per chiedere una politica pulita, una politica morale, una politica vera. L’iniziativa scatta nella mattinata con l’affissione di alcuni striscioni che danno appuntamento al presidio del pomeriggio. «Siamo indagati e condannati, vogliamo essere candidati» recitano gli striscioni in via Notarbartolo ed in altre zone della città. La stessa scritta è impressa sullo striscione della dimostrazione quando arrivo, mentre un apparato di giornalisti di ogni estrazione ed ogni tipo si sfiancano per portare anche oggi in redazione il loro trofeo di finzione e di qualunquismo, incapaci di andare oltre qualche foto, un video, un paio di interviste insignificanti – non certo per colpa degli intervistati. Arrivo, scatto qualche foto – il tempo che la macchina fotografica perennemente scarica mi abbandoni – e mi poggio sulla Punto di Marco. Parlo con lui, ma anche con Davide e Carolina. Il primo è Davide Gentile, presidente regionale di Giovane Italia e consigliere circoscrizionale del Pdl nel Comune di Palermo, la seconda è dirigente nazionale dell’area giovanile Pdl, e il ciondolo a forma di croce celtica che porta al collo mi segnala – con tutti i margini di errore che può contenere la mia analisi – una provenienza probabilmente più vicina alla militanza in Azione Giovani piuttosto che nei Circoli della Libertà. È appena rientrata dal congresso nazionale che ha sancito la nomina a segretario nazionale di Angelino Alfano, già ministro della Giustizia, ed un deciso cambio di rotta verso i giovani e la legalità dicono.
Entrambi, Davide e Carolina, mi spiegano la protesta. Li ascolto, poi faccio qualche ricerca, e finalmente mi rendo conto di una situazione devastante. 27 deputati su 90 dell’Assemblea Regionale Siciliana si trovano oggi in una condizione di illegalità sospetta o accertata, ultimo fra questi Cateno De Luca, eletto nell’Mpa ed ora nel Gruppo Misto, arrestato lo scorso 28 giugno per tentata concussione e falso in atto pubblico. Ma dietro l’indecenza e la corruzione personale c’è un’indecenza ed una corruzione ben peggiore, quella che si annida nelle aule legislative più che negli uffici dei faccendieri, in una casta che si difende e si perpetua a colpi di clientelismo e prostituzione fisica morale politica istituzionale, per questo dietro la decisione della protesta prende uno spazio corposo un evento particolare – la famosa ultima goccia che in questa Terra sembra non voler cadere mai: la scelta dell’Ars, che, con un voto a scrutinio segreto ed una maggioranza che – se non altro per i numeri di cui si compone – appare chiaramente trasversale, ha sottratto alle sentenze giudiziarie ogni forza vincolante, ed ha impedito la decadenza dallo status di rappresentante del popolo siciliano al deputato Santo Catalano, eletto nelle file dell’Mpa ed ora passato ai Popolari di Italia Domani, dichiarato ineleggibile dalla I sezione del tribunale civile di Palermo, causa la condanna definitiva in Cassazione del luglio 2001 per abusivismo edilizio ed abuso d’ufficio. Ironia della sorte vuole che la sua poltrona, il libero professionista favignanese, l’avesse conquistata proprio a colpi di sentenze giudiziarie, che avevano portato alla decadenza dell’altrettanto ineleggibile deputato – ex compagno di partito del protagonista – Fortunato Romano ed al suo salto in Sala d’Ercole alla fine del 2009. Dopo un anno e mezzo, i “nostri” “cari” rappresentanti hanno fermato la catapulta che preparava il nuovo salto del deputato, quello fuori dalle finestre dell’Ars, fra l’indignazione degli stessi partiti regionali e quella – ben più vera – dei ragazzi della Giovane Italia, questo martedì a protestare in concomitanza di una “significativa” seduta dell’aula.
Dopo un’ora, verso le 18:00, la protesta finisce. Si smonta e si torna a casa. Si torna a casa col groppone in gola di un movimento da sempre schierato per la legalità, che ha da subito condannato posizioni come quelle di Cuffaro e Dell’Utri nell’ambito del centro-destra, e che si rimette alle sentenze ed alle indagini delle magistrature contro ogni abuso del potere politico, e che poi, amaramente, è costretto a difendere Silvio Berlusconi – ancora riconosciuto leader dal suo popolo – , le teorie del fumus persecutionis, i suoi sproloqui, le norme ad personam ed un partito «legalista e garantista» che, se non parerà il culo ad Alfonso Papa entro questa metà del mese – sempre che lo faccia – , sarà solo per paura di un’accentuazione della “crisi” con la Lega Nord. La Giovane Italia è l’urlo strozzato in gola di chi non ha più nessuna vera destra a cui affidarsi, e si abbandona con sdegno – un po’ come si fa a sinistra – alle logiche depravate di un sistema politico e culturale da rifondare, ed a un sultano che ha solo i suoi interessi da difendere, sognando magari nella figura del nuovo segretario, da sempre complice delle nefandezze del capo, un nuovo Giorgio Almirante, che, per chiarezza – e senza voler scomodare il passato salodiano – dopo il rinvio a giudizio del 1986 per favoreggiamento aggravato nei confronti degli autori della strage di Peteano, seppe magistralmente avvalersi dell’immunità parlamentare – che gli concedeva di non sottoporsi neppure agli interrogatori – fino all’amnistia che lo liberò definitivamente dal processo in quanto ultrasettantenne. Oggi c’è una giovane destra che vuole cambiare, e la sua possibilità di farcela – come mi ha detto Davide Gentile – dipende solo dalla capacità dei giovani di sostituire i vecchi. Magari non facendo i loro stessi “errori”.