La mala accoglienza

Se il buongiorno si vede dal mattino, non è che ci sia da stare tanto tranquilli rispetto alla futura gestione dei migranti che, non trovando posto nella tendopoli dell’Annunziata, saranno sotto la responsabilità diretta dal Comune.

A lasciare perplessi soprattutto la mancata partecipazione di tutti i membri dell’esecutivo Accorinti alla riunione convocata in Prefettura, evidentemente impegnati altrove.

Presenti per Palazzo Zanca il Capo di Gabinetto Silvana Mondello, l’esperta per l’immigrazione e due dipendenti comunali in forze al Dipartimento Protezione Civile, ma l’amministrazione non c’era. Dopo l’incontro si è deciso che a tutti i profughi che per motivi di spazio non potranno essere accolti nella tendopoli per motivi di spazio ci penserà il Comune, come del resto in questi casi prevede la normativa. 

“Ovviamente continueremo il lavoro di coordinamento -rassicura il Capo di Gabinetto della Prefettura Maria Adele Maio– e a essere attenti ai profughi che arrivano in città. Stiamo effettuando dei sopralluoghi per verificare se le strutture che hanno risposto al nostro bando sono adeguate e poi si deciderà. Nelle more, così come previsto dalla normativa, sarà il Comune a occuparsi di quanto avviene al di fuori della tendopoli”.

Il campo allestito nella cittadella sportiva dell’Università (l’unico ente locale dell’intera provincia che abbia risposto alla richiesta di strutture del prefetto Stefano Trotta) è sempre pieno e visto che la visita sollecitata dal sindaco Renato Accorinti all’ASP 5 l’1 maggio scorso ha provocato, com’era prevedibile, la chiusura del PalaNebiolo, i profughi arrivati questa mattina sono adesso di diretta competenza di Palazzo Zanca.

E se al problema delle tende da reperire si è provveduto utilizzando quelle previste per l’esercitazione di protezione civile in corso stamane in città, sui bagni i concetti di umanità, accoglienza e fraternità sono andati a farsi benedire.

Per ore e ore i profughi sono stati privati di questo importante servizio. Solo verso le 18 sono arrivati alcuni bagni chimici, che la Prefettura ha provveduto a far consegnare. Chi ne ha avuto bisogno prima è stato costretto ad accovacciarsi davanti a tutti e a utilizzare i tombini sul molo.

Un’umiliazione incancellabile, che fino ad oggi era stata risparmiata ai migranti che la città ha accolto dalla fine di ottobre.

Resta comunque il dato di fatto che il tanto esecrato PalaNebiolo, che i buoni di professione da mesi definiscono un lager e del quale hanno sempre chiesto la chiusura, forse tanto male non è in confronto a quanto avvenuto oggi.

Dei 292 profughi, tutti di provenienza sub sahariana, 140 sono stati portati a Catania per essere condotti altrove in aereo, mentre per gli altri l’Autorità Portuale ha messo a disposizione un padiglione della cittadella fieristica. Padiglione, impossibile non sottolinearlo, privo di acqua e luce.

Quello che importa però, è aver fatto chiudere il PalaNebiolo. Così chi per mesi ha attaccato la Prefettura di Messina per come sono stati gestiti i migranti (dimenticando che a decidere è il Viminale) questa notte potrà dormire sonni tranquilli.

Difficilmente i 150 uomini ammassati in un padiglione della Fiera senza acqua corrente ed energia elettrica, si spera recuperate in emergenza, potranno fare altrettanto.

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One comment

  1. Gentile Elisabetta Raffa, temo che il suo scritto nasconda un fraintendimento madornale. I cosiddetti “buoni” chiedevano non soltanto la chiusura del palanebiolo, ma la fine del modello d’accoglienza “concentrazionario” a favore di quello “diffuso”, fatto di piccoli numeri e in piccole strutture attrezzate. Si proponeva, per così dire, tutto un altro modello di società.

    Il suo testo, piuttosto, svela un atteggiamento di ineluttabilità tipico di quel “pensiero di Stato” che, secondo un classico autore francese, finisce col pensarci anche quando non ce ne avvediamo. La vicenda di ieri non ci parla affatto delle colpe dei “buoni”, ma narra dell’incapacità delle istituzioni di prendere nota della situazione, limitare gli arrivi in città e imporre al Ministero degli Interni di non eccedere il numero degli “accoglibili”, non violando così la rigorosissima normativa domestica e internazionale in materia di rifugiati e minori non accompagnati. Questa storia, in altri termini, ci narra di un potere che — per ragioni del tutto indipendenti dall’entità degli arrivi, e legate piuttosto alla strutturazione dell'”industria del salvataggio” e all'”economia dell’emergenza” — si ostina a non riconoscere che questo modello di accoglienza è insostenibile, sorvolando così sulle forme drammatiche da lei stessa descritte.

    Temo dunque che abbia sbagliato la morale da trarsi e sarebbe bello che approfondisse la questione alla luce di uno studio delle sue molteplici articolazioni giuridiche, “filosofiche” e economiche, e non soltanto del buon senso e, questa volta sì, dei buoni sentimenti. Il riduzionismo e l’inadeguatezza della sua analisi, infatti, sono purtroppo evidentissimi e allo studioso di questioni penali ricordano il dibattito “umanitario” che un tempo divideva i fautori della ghigliottina e quelli del supplizio.

    Cordiali saluti,

    Pietro Saitta

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