Questo è un monito lanciato da frate Antonio dei Cappuccini della Chiesa di Pompei a tutti i convenuti al consiglio di quartiere che è stato aperto a tutti, presso i locali della parrocchia, lo scorso giovedì in occasione della polemica sui campetti di calcio.
La rivoluzione nonviolenta.
Mi piacerebbe parlare e scriverla così.
Non più solo desiderio di pochi, ma sto vivendo, proprio in questi momenti, di tensione, di paura, di nervi che saltano, di paure, l’esperienza collettiva.
Non un’utopia morale, come alcuni stanno volendo riprendere, forse perché hanno i capelli bianchi ed hanno vissuto, ahimé, ma non in maniera totale e cosciente le “deludenti”, almeno per loro esperienze sessantottine; mi ritengo, e non sono il solo, testimone di una nobile scelta di vita per la VITA vera, che non si rifugia dietro pronunciamenti alti, ma con dichiarazioni Altre, di gente comune, che ama e vive la VITA non da dietro una cattedra.
E’ una situazione che ha un certo spessore in questo opaco divenire storico, è – mi sembra davvero strano parlare così- “principio di causalità effettuale che tocca i fatti reali” (Ernesto Balducci).
Persone come La Pira, Don Milani lottarono per alcuni punti cardine della nostra Chiesa.
E non dobbiamo avere paura se, oggi, ancora una volta siamo chiamati a doverli non difendere, ma rispolverarli e ricordarli proprio a chi dovrebbe insegnarceli.
Andando a noi, mi domando se ci sono dati oggettivi che rendano conto di questa nostra mutilazione o di questo nostro fallimento.
La risposta è ASSOLUTAMENTE NO!
Perché Dio non è per gli oppressori!
Non è per l’ingiustizia!
non è per l’omertà e la vanità!
Non è per l’arroganza e superbia!
La via della nonviolenza mi si presenta ancora una volta come l’unica e sola.
Se è il caso anche la protesta nonviolenta, il digiuno, l’incatenarsi!.
Ma sempre nonviolenti!
Ed UNITI!
Chiamiamo in soccorso, solidale i ragazzi della casa Matta, chiamiamo tutta la gente che ha partecipato alle marce No-Ponte, chiamiamo ed estendiamo l’invito a tutta la cittadinanza e come Gandhi, protestiamo in silenzio, in digiuno davanti l’episcopio. Il vescovo anche solo per un obbligo morale dovrà scendere tra di noi!
Non è violenza questa, è richiesta di paternità, per chi sperimenta “l’orfania”!
Ritengo che siano i tempi di una cultura nuova: è il tempo in cui ogni istituzione presenta spaccature e cedimenti se abbandona l’umano senso del Bene Comune. E’ il momento in cui tutte queste istituzioni un tempo avversarie, si riscoprono solidali nel bisogno di affossare oscenità per l’umanità intera.
Ernesto Balducci, ancora mi suggerisce non un approccio etico e moraleggiante, che spaccherebbe la realtà in colpevoli e vittime, ma secondo una “antropologia funzionale”: lo Stato, il Comune, la Chiesa, i Consigli, le Organizzazioni sono tutte strutture mortali, perché si sono dimenticate del loro essere ed esserci per l’uomo.
Ritrovo in questi nostri ritrovarci il senso profondo di queste strutture che ‘l’Unità, l’unificazione che rende sempre meno significative le distanze, le estraneità derivanti dalle precedenti formazioni diabolicamente divisorie. La diversità, invece, oggi, per noi, di questo millennio, è sinonimo di unità nella diversità!
Considero questo tempo, come antecedente all’evoluzione del “post” balducciano. Non necessitiamo più di liturgie spettacolari, perché ci siamo resi conto che le celebrazioni avvengono nella nostra vita, con glli incontri e gli scontri, ma sempre in nome di un Amore che poi ci permette sempre di guardarci in faccia e che ci permette di abbracciarci, perché ci fa riscoprire Belli e Unici.
Ancora Gandhi, cito, ci ricorda che la violenza ha sentenziato e viziato profondamente un recente arco della nostra storia; e violenza non è solo quella fatta con le armi, ricordiamocelo.
Quella è molto più facile da immaginare, ma l’irrazionale prepotenza, l’autocrazia che stiamo percependo in questi eventi, ci urla la necessità di dover rifondare in questa storia, in questo nostro tempo, hic et nunc, la nonviolenza delle rivoluzioni.
Proprio a chi, in nome di questa nonviolenza, anni addietro, proprio nel ’68, ha lottato violentemente!
Sono loro che oggi si spaventano della nonviolenza usando soprusi, inganni, afasie e quant’altro.
Sembra preistoria, rileggendo quanto vi scrivo, ma non è così.
Marx direbbe che la storia, e dunque l’uomo, inizia quando l’uomo stesso agisce secondo la sua differenza specifica, che è la coscienza morale.
In questa situazione molto spinosa, avverto, senza nessun risentimento e, spero senza nessuna aggressività interiore, ma piuttosto con il dolore e lo smarrimento, un divario non imputabile alle maleintenzioni di chi sta operando tanto scempio, ma alla cultura di cui siamo partecipi tutti: divario che è fra la cultura che ci ispira e ci porta ad agire condizionando anche le nostre intenzioni nobili, e la condizione effettiva della realtà.
Divario tra il nostro apparente percettivo, predicato anche dagli amboni, e le forze, anzi la sola ed unica forza oggi, quella economica, che sta modellando il futuro fino a che non avremo raccordato il nostro apparato percettivo a questa sola forza noi saremo esposti ai più tragici soprusi.
Temere?
No!
Dice un karma indiano, che la unica e sola forza è quella dell’Amore.
Se non sbaglio lo diceva anche un tale che aveva le mani sporche di segature e pestate da qualche colpo di martello andato male!
Stiamo per commettere un grave errore se abbassiamo le nostre teste, perché ci riteniamo in pochi a dover e poter affrontare questa rivoluzione.
Basta essere solo in due o tre, sempre lo stesso tizio ci ricorda.
Coraggio!
E’ un imperativo, non vogliatemene male, che presiede questo mio vaneggiare teorie e pensieri!
Desidero trasmettervi questo imperativo che mi dona coerenza ed ordine morale assoluto, fondamento per la nuova condizione umana, per la possibilità di una rinascita di una nuova comunità.
Stiamo agendo bene, perché pensiamo secondo il postulato di Einstein secondo cui in quanto membri di questo genere umano, pensiamo al futuro e in Bene, e in Meglio rispetto al nostro presente.
E non possiamo lasciare ai nostri figli una colpa, un danno, una violenza, una nefandezza, una commistione tra mafia, potere, denaro e arroganza.
Il Popolo!
Questo prima di tutto.
Ce lo ricorda il Deuteronomio: un DIo che per il Popolo manda il suo profeta dinanzi al potente del momento disarmato.
Ce lo ricorda il Vangelo!
Fratelli…. coraggio!!!!!!
Assistiamo a una realtà che tenta di interpretare e vivere una legge contro gli immigrati, ma nel nostro contesto Ecclesiale e sociale: gli immigrati sono coloro che non la pensano e non si piegano al regime di turno!
Vanno clandestinizzati!
Vanno espulsi!
Vanno allontanati!
Meccanismi coevi ad una logica non più nostra., che è finita, ma che non ammettono essere finire.
La nostalgia di un tempo senza confronto, senza incontro, senza scontro, non comunicativo, ma impositivo si riflette in ogni operare.
Scusatemi questa passionalità, ma l’evidenza con cui sto vedendo ed ascoltando tanto mi sollecita.
E’ un dramma questo che ci viene chiesto, oggi, di vivere nella nonviolenza, perché a chi continua ad utilizzare i presupposti della vecchia cultura, ripeto morta nel lontano 1989 ormai, dobbiamo dare il beneficio della buova fede, della sincerità.
L’origine del divario, ancora, ma sto finendo, ve lo prometto, non va posto a livello delle intenzioni, ma va posto al livello della cultura: occorre modificare la nostra cultura, partendo proprio dai piccoli, così come 15 giorni fa fecero i piccoli di Giacomo. Raccordiamo la cultura, la formazione, la conoscenza all’effettiva condizione.
Coraggio.
Ci viene chiesto al di là dell’imminente situazione, di ritrovare quella forza vitale che ci chiede, come imperativo morale, di costruire per loro, per i nostri piccoli.
Non più altri Giovannino, Andrea o quanti altri buttati fuori da questa comunità ed oggi schiavi di logiche carcerarie e mafiose ipocritamente pedagoghi, ma solo della loro fine.
Quest’altro è stata una risposta a quanto finora si dice a sproposito o solo con rabbia.
Riesco solo adesso a poter mettere insieme le due email, di Ivana, e quanto abbiamo vissuto ieri sera.
Comprendo l’afflato e l’apprensione, ma bisogna anche rispettare le paure spettrali che alcuni hanno fatto emergere e la semplicità di altri che continuavano a non comprendere l’accaduto.
Solo poco fa, mentre stavo mandando un fax, ho atteso l’arrivo di qualcosa indirizzata al mio provinciale: il generale sarà qui intorno al 4 marzo mi pare per incontrare tutti i frati.
La cosa dunque deve essere arrivata alla sue orecchie e soprattutto ha preferito scendere lui e venirne a parlare di presenza senza intermediari.
Quello che ha riportato Ivana, sono state parole molto forti che non possono non accendere ancora una volta quello Spirito che soffia in ognuno di noi.
IL problema – e non è affatto banale-, è che questo Spirito è soffocato continuamente.
Placido ha solo fatto intendere – ed è stato questo- la diplomatica forma con la quale il parroco sta cercando di incutere la paura dapprima e poi l’azione soppressiva.
Dobbiamo essere pronti a tutto.
D’altronde il Vangelo ci ricorda che se hanno fatto con LUI di peggio, non dobbiamo aspettarci allori e poltrone!
Dobbiamo rimanere uniti.
Ci premevo molto ieri sera, perché la dialettica tra Peppino ed Antonio si sarebbe potuta accendere in personalismi che non avrebbero portato a nulla.
Bisogna tenere saldo il rapporto tra tutti noi.
Dobbiamo non compiere lo stesso loro errore, ovvero non lasciare mai nessuno all’oscuro degli accadimenti e dei nuovi risvolti.
L’informazione deve girare libera e senza mitigazioni.
Agguerriti, sì, perché non possiamo costruire palazzi e lasciar crollare i sogni!
Non possiamo parlare di documenti della Chiesa, di attività sociale o di quant’altro se abbiamo fatto perdere il carisma evangelico.,
Questo è vento di primavera, nella Chiesa.
La comunità, voi laici, state ricordandoci a non fissare il dito che punta la luna.
Questo è soltanto meraviglioso.
Questo è quello che Gesù faceva nel Vangelo: ai discorsi diplomatici con l’alta gerarchia, preferisce il popolo, coloro che non erano più ascoltati, ma solo visti come fonte di ricchezza e nulla più.
Dobbiamo puntare alla radice agli abusi di potere che ormai da anni si sono radicati in questa comunità, che schiacciano la libera e santa iniziativa di ogni figlio.
Dobbiamo presentare un’interpretazione “altra” della nostra Scrittura amata e tanto infangata.
Quella di ieri sera era Parola viva, Incarnata.
Mi ritornano in mente, perché verranno usate queste parole, credetemi: il perdono e l’assenza di violenza.
Saremo certamente accusati di non perdono e di essere violenti e prepotenti.
Mi ritornano in mente le parole di Kung e di un altro marxista, Machovec: in nome di una dottrina inesorabile, in nome di una salvaguardia di un sistema, non si possono sacrificare gli uomini, e piuttosto che fare ingiustizia o accomodarsi a forme compromettenti di essa, meglio, come Gesù, soffrire ingiustizia.
Il Concilio ci ha ben ricordato, mi ripeteva questa mattina un mio confratello, esiliato vescovo a Santorini, che l’umanità e la giustiza sociale sono stati temi di Gesù, non fissati in documenti, ma attualizzati concretamente.
Ci viene chiesto, proprio attraverso quanto stiamo vivendo, di ri-illuminare quanto la dogmatica ha adombrato, in nome di un’ideologia che ha scollato il Gesù storico da quello Divino – questa è un’eresia!-
Nella nostra scelta di vita, che si chiama vita di fede, vita dell’uomo, del suo presente e del suo avvenire, della sua vittoria e del suo fallimento, del suo amore e del suo dolore, della sua disperazione e della sua inestinguibile speranza, siamo chiamati a riprendere in mano tutto ciò.
Quello che ieri sera ho avvertito è il senso del “limite” per ciò che inesorabilmente sembra essere stato scelto e addirittura già compiuto.
Invece, questo stesso Gesù, questa mattina presentato al tempio, mi ricorda che ci viene chiesto di essere presenti là dove viene creata qualcosa di nuovo.
Sicuramente, sono ancora i marxisti a darci una lezione, ciò è non voluto, non previsto, non messo in conto né dalla dottrina, né dai provvedimenti del partito (Roger Garaudy), prova ne sono tutte le soppressioni “primaverili” in nome di un’ortodossia disumana.
Non possiamo, ai nostri giorni, clandestinizzare l’umanità di Cristo, che scende nel nostro tempo, nel nostro qui-ed-ora pronto a spezzare le catene degli oppressi e a piegare le intrecciate logiche degli oppressori.
Vi chiedo di non adombrava di nuovo questo Gesù in cui tutti crediamo con ogni forma di liturgica ideologia: esistenzialista, ecclesiale o altro ancora.
Gesù, ci ricordava stamattina Ivana con quegli scritti inoltratici, è SPERANZA PER IL MONDO!
Crediamoci.
Continuiamo a vivere – e a qualcuno conviene così, anzi continua a proporre azioni di questo genere-, in una situazione di quasi totale schizofrenia, dove addirittura il nostro comune vivere – per usare le parole di ieri sera, ma non il loro senso- viaggia su un binario parallelo a quello della fede rituale e isolata, disumanizzata, indisturbata da tutti gli accadimenti che condizionano e sollecitano il nostro vivere.
Questo sforzo intellettuale, sociale, etico che stiamo compiendo ci vuole risvegliare e ci vuole rendere consapevoli che non è davvero tutto perduto. Anzi, tutto sta iniziando proprio adesso!
Ma dobbiamo iniziare a lavorare questo “ferro rovente”, non possiamo più servirci di “vecchie formule”, di ostentare pretese di essere i detentori del vero insegnamento solo perché abbiamo un “sacramento” in più! (mi riferisco a noi sacerdoti).
MI auguro che tutta questa mia dissertazione possa scuotervi e assetarvi nella ricerca di uno sconosciuto misterioso e fraterno modo di vivere la Comunione.
Ricercare il Bene ed il Bello comune è un continuum mettersi in discussione, riprendere le trame del discorso e tessere una nuova traccia per noi di domani e per i vostri figlio.
Credo che questa comunità possa alzarsi.
Credo che questa comunità possa essere segno e testimonianza per un risveglio dei suoi pastori.
Credo che, insieme, possiamo ripulire la nostra scelta di vita da tanti rovi che ci hanno soffocato.
Vi chiedo perdono se sono stato prolisso e “ideologico”.
Il Signore vi benedica e vi doni la Pace.