La Sacelit: la fabbrica della morte!

La Sacelit è nota a tutti come “la fabbrica della morte”. Lo stabilimento di San Filippo del Mela, nel messinese, paese che rientra fra i comuni  della zona ad elevato rischio di crisi ambientale – Valle del Mela,. Nel comprensorio  operano altri insediamenti industriali come una raffineria di petrolio, una centrale elettrica alimentata ad olio combustibile denso una fabbrica di recupero del piombo dalle batterie esauste, una acciaieria, cantieri navali ed altri opifici minori.

La Sacelit venne inaugurata nel 1958 su iniziativa della Italcementi, una multinazionale di Bergamo. Produceva materiale per l`edilizia e l`idraulica: tutto in amianto-cemento.

La parola amianto deriva dal greco asbestos. Significa inestinguibile, indistruttibile. Proprio per questa sua resistenza il materiale (che ricorda il cotone) è stato impiegato in Italia dal dopoguerra. Ci si è costruito di tutto: dalle famose coperture in Eternit alle piastre  per i ferri da stiro, dagli schermi cinematografici alle carrozze ferroviarie. Una produzione vastissima che ha coinvolto oltre  un milione di lavoratori.
Dei danni provocati dall’amianto si parlava già nel 1907. Ma è solo negli anni Sessanta che la comunità scientifica riconosce che il cosiddetto materiale killer può provocare il cancro.
Le malattie collegate all’inalazione della fibra di amianto sono tre: l’asbestosi, che riduce le capacità polmonari e può portare anche alla morte; il mesotelioma, un tumore che può colpire il rivestimento dei polmoni (pleura) e degli organi addominali (peritoneo); il carcinoma polmonare, forma di cancro molto diffusa.
Comunque, nonostante queste correlazioni fossero note da tempo, l’estrazione, l’importazione e la produzione continuarono fino al 1992, anno in cui la legge 257 mette al bando l’amianto. La norma, però, è stata attuata solo in parte. Se dal 1994 è cessato il commercio, stessa efficacia non hanno avuto le attività di bonifica. Nel 2000 la commissione parlamentare d’inchiesta sul circolo dei rifiuti ha confermato: su tutto il territorio nazionale ci sono 23 milioni di tonnellate d’amianto. Rimangono ancora ad altissimo rischio: gli abitanti di case inquinate dalle fibre, i familiari degli ex lavoratori esposti e le case accanto ai numerosi siti dove si aspetta lo smaltimento.
Ogni anno muoiono per l’amianto tra le 4 mila e le 5 mila persone. Il tempo di latenza delle malattie è molto lungo: dai 20 ai 50 anni. Per questo, il picco della mortalità è atteso nel 2010. Gli epidemiologi hanno già fatto il conto finale: nei prossimi vent’anni, nei sei paesi europei più importanti, 250 mila persone moriranno solo per mesotelioma.

 

“Ci dicevano che su quei sacchi di juta contenenti amianto e cemento potevamo persino mangiare. Ci dicevano che era sicuro, non avevamo nulla da temere”. queste sono le parole di Domenico Nania, presidente del comitato ex esposti, rilasciate ad un noto giornale nazionale.

Il primo a denunciare i rischi che stavano correndo i lavoratori fu proprio lui: “Nel 1979 lessi un articolo in cui si diceva chiaramente che il materiale provocava il cancro. Così iniziai a collegare il fatto con la morte per tumore di qualche mio collega avvenuta in quel periodo”. Gli operai lo elessero nel consiglio di fabbrica e lui cominciò la sua battaglia. “Domandammo  mascherine e tute di protezione che non ci avevano mai dato, anche se la legge le imponeva dal 1955. Esigemmo visite mediche e più controlli”. La Facoltà di Medicina del Lavoro della Università di Bari, a seguito di un controllo effettuato sui dipendenti della Sacelit  stilò  un elenco di lavoratori “non idonei a lavoro specifico e generico”. Già nel 1976 la Sacelit sa quindi, che 16 dipendenti soffrono di asbestosi, la malattia dell’amianto.  “Nel 1983” “l’Ispettorato del lavoro di Messina diede una multa all’azienda e indicò una serie di lavori da fare entro tre mesi, tra cui l’installazione di un impianto d’aerazione e una serie di misure per la sicurezza. L’unica cosa che hanno fatto è stato di ridipingere la mensa.
.Lo confermano le 18 sentenze che hanno obbligato la Nuova Sacelit a risarcire altrettanti ex operai per il “danno biologico subito. Le motivazioni delle sentenze non lasciano dubbi: “Le argomentazioni difensive (della Sacelit) inerenti le scarse conoscenze scientifiche sulla pericolosità dell’amianto” non possono essere accolte.

Nessun dubbio, quindi: la Sacelit ha violato le leggi. Ma la procura della Repubblica di Barcellona è andata oltre; ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Indagati, i quattro dirigenti che, negli anni, hanno guidato lo stabilimento di San Filippo del Mela.

Nel giugno del 2008 si è ottenuto il riconoscimento in sede processuale delle responsabilità penali per la Nuova Sacelit condannata a pagare circa 10 milioni di euro ai familiari delle vittime.

La chiusura definitiva dello stabilimento avviene però solo nel luglio del 1993, a un anno dalla legge che vieta la produzione e la commercializzazione dell`amianto in Italia. La storia dovrebbe insegnare, purtroppo il profitto economico per alcuni “imprenditori” è più importante della salute delle persone; è un problema che constatiamo in tutta la Valle del Mela.

Non sono bastati i 101 morti di amianto di questi anni per fermare speculazioni e far maturare una coscienza e un’etica del lavoro. Nel 2002 a fronte di una certificazione di una bonifica mai avvenuta del terreno della ex Sacelit, un imprenditore locale  decide di comprare quel terreno per farvi sorgere un deposito di derrate alimentari che  commercializza in tutti i punti vendita di supermercati siciliani. Cibo all’amianto, in breve.
Una commissione di esperti del Ministero dell’ambiente nel gennaio 2007 ha accertato la presenza di rilevanti quantità di amianto sugli alimenti e sui macchinari utilizzati per il trasporto. Com’è stato possibile che accadesse di nuovo che quelle fibre d’amianto contaminassero lavoratori e cittadini?
Agli imputati è contestato, l’art. 444 del codice penale che punisce il commercio di sostanze alimentari nocive e pericolose alla salute pubblica. All’imprenditore è inoltre contestata la violazione delle norme di cui al Dpr 303 del 1956 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e altre norme connesse a quelle legate all’amianto e alla sicurezza dei lavoratori.

Il 7 agosto del 2009, I carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Roma, nelle prime ore della mattina, hanno eseguito nove misure cautelari personali, per traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi. In particolare si tratta di rifiuti contenenti amianto in forma friabile, altamente cancerogeno, provenienti principalmente dal sito di bonifica di interesse nazionale di Milazzo e da altre parti d’Italia e inviati presso la discarica di Pomezia, idonea a ricevere esclusivamente amianto compatto. La condotta illecita di produttori, intermediari e smaltitori di tali rifiuti, secondo i militari dell’Arma, è stata agevolata attraverso azioni di corruzione e di concussione da parte dei titolari della discarica e di funzionari pubblici. Nel sito laziale sarebbe finito amianto frantumato proveniente dalla ex Sacelit e dalla ex Nuova Sacelit di San Filippo del Mela .

La Valle del Mela, ha urgentemente bisogno di una classe politica che ha veramente a cuore le sorti dei suoi abitanti e del territorio; purtroppo giorno dopo giorno si registrano un aumento esponenziale delle malattie legate all’ambiente insalubre in cui viviamo. Quindi urge un piano di risanamento.