La Storia non siamo noi ma quella che ci raccontano

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In occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria si è portati a ricordare i fatti e le circostanze che causarono il massacro di oltre 6 milioni di Ebrei. E di anno in anno si ripetono le stesse storie generiche e superficiali senza riuscire a raccontare la Storia  di ogni singolo Ebreo morto. Quella Storia che dalla nascita l’ha portato a morire in campo di concentramento o in un forno crematorio. E non può essere di consolazione il fatto che vi siano stati nel tempo altri campi di concentramento Russi e Jugoslavi o che in Cambogia il genocidio, questo veramente sconosciuto ai molti, ha fatto oltre 20 milioni di morti. Non vi può essere consolazione perché non conosciamo la storia di tutte queste singole morti, non facciamo nostra la vita di queste persone ed esse pure da morte non ci appartengono.

E forse è proprio per dare un volto a tutti questi morti, per ricordare ogni singolo ebreo morto nei campi di concentramento, che abbiamo deciso di ricordare nel giorno della memoria un grande scrittore che in quanto donna pretendeva che la si chiamasse ciononostante scrittore perché «il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte, risente ancora della società degli harem».

Elsa Morante, moglie del più famoso Moravia, che ci piace ricordare con un aneddoto di Enzo Siciliano, tratto dalla sua biografia di Moravia, per farcela apparire subito simpatica. Durante la guerra i due sposi a un certo punto, per la mancanza di tutto, si trovarono a scegliere se usare la Bibbia o I fratelli Karamazov come carta igienica. Naturalmente scelsero di sacrificare Dostoevskij. Questo aneddoto ci aiuta a introdurre il suo romanzo più importante la Storia ma soprattutto la filosofia ed il messaggio che traspare da esso e cioè che gli umili e i poveri sono vittime inconsapevoli di demoni eterni: il potere, la conquista e il denaro. « Uno scandalo che dura da diecimila anni».

Ambientato durante la seconda guerra mondiale, il romanzo racconta la storia di una famiglia di modeste condizioni che fin dall’inizio si presenta come il prototipo della “vittima” inconsapevole che è chiamata a subire i demoni eterni della Storia. Ida Ramundo, vedova e madre di Nino, subisce a Roma nel 1941 la violenza di un soldato tedesco. Da un gesto bestiale e incomprensibile nasce una prodigiosa creatura innocente, Giuseppe detto Useppe. Sarà proprio l’innocenza infantile di questo bambino, il suo modo tenero di vedere la realtà, i suoi giochi e le sue risate su uno sfondo di morte, a trasformare il romanzo in capolavoro . La famiglia subirà tutte le traversie della Grande Guerra, dalla perdita della casa alla scomoda convivenza con altri sfollati. E sono queste vite insignificanti, primordiali, così simili all’esistenza agreste e spontanea degli animali: quelle di Iduzza, maestrina elementare precocemente invecchiata, e di Ninnarieddu, una specie di ras di borgata “de noialtri” , e di Useppe, bambino idiota e prodigioso, e della mignotta  Santina, che arrotondava facendo anche i tarocchi; a restarci impresse.

Quando il libro usci, nel 1974, diventò un caso politico, oltre che letterario. Nel pieno degli anni di piombo gonfi di ideologia, non c’era area della cultura che non fosse percorsa da partigianeria. Quindi la Storia non poteva che essere letto alla luce di questo filtro annebbiato da concetti e pregiudizi. Dopo aver visto il suo libro massacrato dalle polemiche la Morante si ritirò in casa stordita da tutta quella cecità. “Sul «Manifesto», lo spazio dedicato alle Lettere e opinioni fu letteralmente preso d’assalto ogni giorno per un’intera estate, e c’era chi diceva che La Storia era un romanzo sbagliato perché scorretto da un punto di vista marxista-leninista. Ma in realtà, La Storia è un romanzo scorretto da tutti i punti di vista. Per questo è un romanzo vero” (Silvia Avallone)

A dispetto delle polemiche arroventate del 1974, oggi la Storia matrigna e cattiva ci appare sconfitta dalla bellezza delle vite dei suoi personaggi che hanno attraversato il tempo.

Nino, il figlio maggiore, come la maggior parte dei giovani dell’epoca si fa smanioso davanti agli eventi. Il desiderio di crescere in fretta, la voglia di libertà e di indipendenza lo portano prima tra gli schieramenti fascisti, poi la personalità ribelle lo conduce tra i partigiani, e infine il suo coraggio lo rende vittima della polizia. Nino, un giovane come tanti, morto prima di vivere. Il piccolo Useppe invece resta vittima del suo male, l’epilessia. Un bambino che nonostante le circostanze riesce a vivere la sua infanzia come fosse in una bolla di sapone. (Eleonora Bretti)

A distanza di anni la Storia è diventato un libro nuovo e non è più, ove lo fosse mai stato, quel manifesto politico contro la Storia dei poteri forti o eterni che uccidono gli esseri umani alla stregua delle cavie inconsapevoli o quella denuncia strillata dello «scandalo che dura da diecimila anni».

Come si è detto anche recentemente La Storia è la testimonianza più coraggiosa di fiducia nel potere della letteratura di tutto il Novecento italiano. E’ una cronaca che capovolge il concetto di cronaca, non più un trafiletto sul giornale “Pietoso dramma al quartiere Testaccio — Madre impazzita vegliando il corpo del figlioletto», non più il dramma che si conclude con una foto come se la vita possa essere racchiusa in un’istante ma è il dramma che acquista la dimensione temporale. Le vittime, i carnefici e tutti coloro che attraversano eterei le strade della terra hanno il diritto di essere raccontati, di ricevere il favore di un romanzo, di un racconto, di una poesia, di una Storia appunto. Le ingiustizie, gli orrori, i delitti della Storia e del Potere devono essere raccontati ma non si può farlo con immagini e trafiletti sui giornali perché sarebbero presto dimenticati, come abbiamo dimenticato le storie di 6 milioni di ebrei. Abbiamo bisogno di altro per non dimenticare e secondo la Morante questo altro è la letteratura. Ed proprio La Storia che ci dice quanto abbiamo bisogno di letteratura, e di quanto non ne possiamo fare a meno.

Pietro Giunta 

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