La violenza, e i suoi cari falsi nemici

Questo è il Paese dei moderati, chi non lo sa! Il Paese di elettori moderati che eleggono parlamentari moderati che danno vita a Governi moderati. È naturale, dunque, che violenze come quelle registrate a Roma in occasione dell’alto momento democratico della votazione sulla mozione di sfiducia al Governo Berlusconi il 14 dicembre, abbiano suscitato sdegno, disgusto, assoluto biasimo da parte del popolo e dei suoi rappresentanti. Le immagini delle automobili bruciate, dei petardi contro la polizia, delle vetrine dei negozi distrutte, dei bancomat incendiati, degli assalti contro le camionette della Guardia di Finanza, dell’accanimento poliziesco contro manifestanti già resi inermi; queste immagini, hanno travalicato le Alpi e oltrepassato l’Oceano, ottenendo lì condanne ben meno dure di quanto abbiano fatto qui.
La violenza è diventata protagonista indiscussa di ogni discussione “politica”, di ogni articolo “giornalistico”, di ogni “dibattito” televisivo. Il primo atto accusatorio di enorme rilevanza sull’opinione pubblica ha la firma di Roberto Saviano. Qui il primo grande errore. Avvalorando la tesi – già esposta dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma – dei cento incappucciati “professionisti della rivolta”, e del movimento che cerca di placarli, l’autore di Gomorra fa perdere di credibilità alla sua legittima opinione. Isolare il fenomeno dei violenti, rendendolo estraneo al movimento degli studenti, è lo schema del potere, ed è necessitato dalla percepibile paura e debolezza – mai abbastanza da sovrastare la loro prepotenza – che i membri del Governano cercano in tutti i modi di non manifestare, forti e calmi nelle loro posizioni “moderate”. La favola del gruppo organizzato , della “regia”, è il mezzo di protezione della classe politica, volto a svilire il disagio, la rabbia, l’esasperazione sociale che questo Paese vive. Chi si adegua a questa versione dei fatti ha – involontariamente, non lo metto in dubbio – mistificato la realtà degli eventi. L’elogio stesso,da parte di Saviano, al fenomeno dei Book Block provoca una strana acidità a chi quei Book Block li ha visti scagliarsi contro le camionette della Polizia di Stato, dimostrazione che chi guerreggiava in Via del Corso – per la maggioranza naturalmente, non mi pare il caso di passare da un eccesso all’altro – non era un millantatore di «Anarchismo» – come dice Saviano – ma studenti, esponenti del movimento. Gli stessi che hanno occupato le facoltà, gli stessi che hanno occupato i monumenti, gli stessi che da due anni sfilano, protestano,provano inutilmente a farsi sentire. E la risposta dei capi quale è stata? C’è l’ha rammentata l’ultima puntata di Annozero di giovedì 16 dicembre, dove un giovane è stato “moderatamente” attaccato, insultato, schernito da un “moderato” Ministro della Repubblica paladino della pace, che spende il suo tempo a giocare a fare saltare in aria i suoi soldatini in “missione di pace”.
Chi, di quelli che sconvolti hanno assistito alle immagini romane si è chiesto il perché? Chi ha chiesto il motivo? Chi ha sentito l’opinione della piazza? Meglio, chi l’ha veramente ascoltata? Chi l’ha ascoltata e chi ne ha preso atto senza “bollare” definitivamente i protagonisti di quelle immagini? Se non provi a spiegarti la violenza, se pensi che la violenza non abbia una causa né un fine, sei un violento. Violenti il pensiero e il disagio, violenti la rabbia di chi ha gridato prima di colpire. Il metodo “guarda e giudica” non ha mai risolto i problemi; “comprendi, confrontati, ragiona” è già un primo passo. E forse non si è compreso proprio un tubo. È la strategia della famigerata “zona rossa” che ha prodotto i suoi ovvii risultati. Come a Genova. Come a Genova la volontà del corteo è superare il limite imposto, oltrepassare il blocco e giungere ai luoghi del potere, dove – “democraticamente” – si decide della vita di tutti. La rabbia ora è latente, latente come lo è da troppo tempo oramai. Forzare il blocco è sempre l’obiettivo di un corteo che ha un blocco davanti. Ma il blocco non si apre, il blocco serve a difendere chi sa di essere un usurpatore della democrazia che sbandiera, serve a proteggere i “moderati” gerarchi di una “moderata” dittatura. La rabbia non è più latente ora, l’obiettivo è sfumato, e la furia della piazza divampa. È l’esasperazione questa, l’esasperazione provocata dall’inarrivabile, dalla percezione diretta di non poter decidere della prima vera proprietà di ognuno di noi: la propria vita, il proprio presente e il proprio futuro. E come a Genova chi attacca la polizia, chi spacca i vetri e le auto è chi prima protestava pacificamente con gli scudi, sono le Tute Bianche, sono i Book Block, figli di una violenza più grande, la violenza del blocco, la violenza della distanza dal potere. Eccolo lì il “Governo del popolo”, a violentare la Nazione con le sue compravendite e le sue risse. Il “Governo del popolo” costretto a nascondersi, a difendersi dal popolo, a rintanarsi nel suo bunker, militarizzando una città, trasformandola in una gabbia per topi. Nessuno si è chiesto se distruggere una Mercedes e risparmiare una Punto seguisse – per quanto a mio avviso, sbagliata – una logica! Nessuno si è chiesto se incendiare un bancomat e spaccare le vetrine di una gioielleria per lasciare intatti una diversa tipologia di negozi avesse un senso per chi stava lì!
La violenza delle strade di Roma è condannabile quanto la violenza di Montecitorio, di Palazzo Madama e di Palazzo Chigi, non è più giusta né più sbagliata. È solo la sua risposta, ed è marginalmente condannabile solo per un verso. Attaccare un bancomat significa personalizzare la lotta, trasformare uno schermo ed una tastiera in un’icona, col rischio di accanirsi contro questi anche quando il nemico vero è ben a portata di mano, significa plasmare la lotta stessa ad oggetto, consumarla come fosse il prodotto di una multinazionale, declassarla a cosa. D’altra parte, c’è una domanda molto importante che merita una risposta: «la violenza del 14 ha provocato una diminuzione dei favori dell’opinione pubblica o no?». Si, certamente. E l’opinione pubblica, forte della sua importanza, è ora pronta a delegittimare quelli che fino a qualche giorno fa’ aveva appoggiato. Ma l’opinione pubblica si sente forte, e condanna ed elogia a suo piacimento, credendo davvero di contare qualcosa. E mettiamo davvero che esista un’opinione pubblica uniforme, o che l’opinione pubblica raggiunga livelli maggioritari fino a poter includere la quasi totalità delle opinioni presenti. Diamo per vere tutte queste bugie, il nodo fondamentale è un altro. A cosa serve questa maledetta opinione pubblica, questo seme incapace di fertilizzare il terreno che lo custodisce? Da anni parla l’opinione pubblica, da anni dice ciò che va e ciò che non va; sia mai importato a nessuno, abbia mai trasformato il Paese, abbia mai rivoluzionato il modo in cui la politica viene concepita qui in Italia. Mai. Quindi, ci faccia il piacere di farsi i fatti i suoi questa benedetta opinione pubblica, che a noi non serve proprio a nulla chi sta davanti alla tv e dice “è giusto, è sbagliato”, “approvo, disapprovo”, “sto con uno, sto con l’altro”. Sia la gente capace di mandarla a fanculo l’opinione pubblica, di essere essa stessa la propria opinione, di essere capace di portare alle estreme conseguenze quelle opinioni trasformandole in azione, in volontà di cambiamento, capace di spegnere il televisore e uscire da casa per dire la propria in un Italia dai punti di vista egemonizzanti. Quando la gente sta a casa, non mi importa fischi o applauda. Mi importa solo pensi autonomamente per poi agire come creda. Proprio un sogno!
È democratico un Parlamento che tranquillamente e “moderatamente” discute e fiducia un Governo mentre fuori il suo “popolo” mette la capitale della Nazione a ferro e fuoco? Un Parlamento che non sospende la propria seduta mentre l’Italia tutta è in piazza? Un Parlamento che mercoledì 22 dicembre legifererà mentre il “suo popolo” sarà ancora lì, a cercare di fargli sentire la sua voce? Fosse il 1848 romano, napoletano, palermitano, fosse il 1789 parigino, il 1944 salodiano o il 1968 milanese non avreste dubbi ad urlare alla legittimità della rivolta, della lotta violenta contro un potere violentatore. Ma oggi siete diventati tutti “moderati”. Biasimate la violenza voi, e con la violenza non volete avere nulla a che fare. Con la violenza, con i violenti non si discute pensate. Forse la pensate come noi, allora. Con l’estensione del DASPO alle manifestazioni di piazza nessuno potrà più non vedere il fascismo di uno Stato che prima è sordo alle nostre grida, e poi ci impedisce di manifestare il nostro pensiero critico in nome della “nostra” sicurezza. In nome della pace.
Un Governo che applica le leggi prodotte da un Parlamento, punendo – dal suo punto di vista, legittimamente – chi tali leggi infrange, è rappresentante di un potere legale. Un Governo che impedisce ai cittadini di infrangere le leggi e di ricevere la punizione imposta, d’altra parte, è un Governo che limita la libertà degli individui, ed è rappresentante di un potere tutelare. Un potere tutelare è un regime. Se non ci avessero educato all’inviolabilità istituzionale ed all’onnipotenza parlamentare, il regime lo vedremmo bene oggi. Invece, cechi, dovremmo cercare il dialogo con chi non lo vuole. Dovremmo essere democratici con chi non lo è.