Le antimafie e l’antimafia: riflessioni sul 19 1uglio

Il 19 luglio, ricorrenza della strage di via D’Amelio in cui furono assassinati Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Eddi Walter Cosina e Vincenzo Li Muli, dovrebbe essere un giorno di sfida al potere mafioso.

Perché questa strage dettata da una assurda ragione di Stato non può e non deve smettere di suscitare la richiesta di verità e giustizia. Ha detto bene ieri, parlando commosso dal palco di via D’Amelio, il fratello di Claudio Traina, Luciano: leggiamoli ad alta voce, ogni giorno, i nomi di questi morti. Sì, ha proprio ragione, non ci stanchiamo di ricordarli questi nomi ai rappresentanti delle istituzioni che vorrebbero insabbiarli. E sono parenti delle vittime come Luciano Traina che in questi anni hanno fatto attenzione a non fare dei propri cari delle immaginette da apporre quando serve in certa antimafia d’occasione. E hanno fatto bene.

 “L’antimafia è in cerca di prestigio e di denaro” ha dichiarato il giorno prima Rosy Bindi in visita a Palermo per la commemorazione di rito.

Sì, anche questo è vero, cara Bindi. Ma intanto lo Stato che fa?

Bacchetta i suoi generali migliori. Ecco che cosa fa.

Qualche giorno fa il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato dal PM Di Matteo in opposizione alla delibera con cui, l’8 aprile del 2015, il Csm nominò tre magistrati come sostituti procuratori alla Direzione nazionale antimafia, inserendo Di Matteo all’undicesimo posto nella graduatoria dei candidati nonostante non vi fossero elementi oggettivi di valutazione per tale bocciatura.

Oltre a bacchettarli , lo Stato isola i propri generali.

Il Procuratore di Palermo Lo Voi ha scritto una circolare ai colleghi a rischio di attentati, tra i quali lo stesso Di Matteo, invitandoli  a non frequentare luoghi affollati per “motivi di sicurezza”, impedendo così ai magistrati di essere presenti sul palco di via D’Amelio.

Dunque lo Stato, riassumendo cosa fa?

Da un lato, anziché premiare, boccia i suoi difensori più esposti al rischio di attentati di stampo mafioso, dall’altro si dichiara inerme e privo di tutele per gli stessi, costringendoli all’isolamento e al silenzio. Un doppio bavaglio, si direbbe, che fa comodo a molti, troppi uomini del potere, dentro e fuori dello Stato, spinti da logiche di corrente politica, di affari e di corruzione che la filiera del sistema “deve” proteggere, appunto, dai limpidi discorsi di questi magistrati. Discorsi che in passato sono risultati positivamente dirompenti, capaci di imprimere nella pubblica opinione ragionamenti, informazioni e dichiarazioni consapevoli, pericolosi probabilmente per chi vorrebbe coprire tutto o fornire la solita informazione pilotata.

E la mafia che fa?

La mafia non parla, ma agisce. A Castelvetrano il 19 luglio incendia alcuni alberi della villa Borsellino, proprio nel paese del super latitante Matteo Messina Denaro, lanciando un chiaro messaggio all’opinione pubblica. La mafia intende affermare il proprio stato di forza e di sicurezza, sa il fatto suo.

La mafia agisce nel traffico di uomini lungo il canale di Sicilia. Affarone del secolo. I minori non accompagnati in 10.000 spariscono in un imbuto di traffico di organi pedofilia e sfruttamento. Nelle stazioni ferroviarie di grosse città, come Catania, Palermo e Messina girano bambini di 10-11 anni in ore notturne “in attesa” di clienti che fingono di scendere dai treni.

La mafia interviene nei finanziamenti europei per la legalità, per l’antimafia e per la stessa giustizia. Pon sicurezza milionari, spartiti con logiche da “sacco di Palermo”. La mafia dirotta gli investimenti dal bene comune alla cosca politica che la rappresenta. Sposta i santi e i simulacri religiosi a proprio compiacimento. Festeggia compleanni nei quartieri allestendo palchi per spettacoli neomelodici. La mafia comanda gli stadi. La mafia agisce nella macchina burocratica di assegnazione e gestione dei rifiuti, nel settore ecologia e ambiente. La mafia gestisce i concorsi pubblici negli ospedali, nelle università, negli enti pubblici, nelle iscrizioni agli albi (la Ndrangheta è la più esperta nel permettere infiltrazioni attraverso l’iscrizione agli albi, bisogna riconoscerlo, opera efficacemente al Nord dove servono notai e avvocati compiacenti nell’ambito degli affari dell’edilizia). La mafia che non parla, si vede benissimo, gode di appoggi d’alto borgo, presenta libri da Vespa in Rai, sa comunicare, non ha bisogno di selfie su facebook per pavoneggiarsi ed essere riconosciuta.

E allora che ne è rimasto del sacrificio di uomini di Stato come Borsellino e i suoi “angeli” della scorta? Ha senso ancora oggi ritrovarsi in Via D’Amelio con il Movimento Agende Rosse e i parenti delle vittime?

L’ “Orchestra Falcone Borsellino” della “Città invisibile” è stata presente per 5 anni di seguito in questa strada e su quel palco, dietro invito di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo. Lasciate che vi racconti però che cosa significa questo momento per questi ragazzini che suonano in un’orchestra sinfonica in nome di Falcone e Borsellino, cosa che li distingue esemplarmente da altri gruppi musicali che si esibiscono in questo e in analoghi contesti.

L’orchestra è costituita da bambini e ragazzini di età dai 6 ai 18 anni. Provengono da territori in cui la mafia ha vinto da sempre e in cui non vi è possibilità di scelta: o stai con la mafia o sei nei guai, perché lo stato non ti aiuta,  non ci sono altre vie di uscita. Se sei povero, se hai un genitore malato, disoccupato, se non hai mezzi per studiare, se vivi esposto alla violenza e alla sopraffazione e non hai chi ti protegge puoi solo fuggire. Ma un ragazzino, un bambino non può fuggire. Lo convincono, prima con le lusinghe, poi lo addestrano e gli danno importanza facendolo entrare nel clan, del quale diventa uno schiavo. Non tutti però si lasciano convincere e trascinare. Perché i bambini e i ragazzini sono più portati a crescere abbracciando il bene piuttosto che lo spaccio o le armi. Ed ecco allora che arriva un’opportunità, la nostra Scuola, una scuola di vita e non solo di orchestra. In questa scuola gratuita, ogni giorno insegniamo ai ragazzi cose semplici e rivoluzionarie. Intanto la condivisione e la fratellanza, il fare gruppo e non branco o clan. Insegniamo loro ad avere stima di se stessi e rispetto degli altri. A curare il proprio ambiente e la propria istruzione. Ad esercitare il senso critico, la libera riflessione, l’approfondimento e la ricerca della verità attraverso i fatti. A difendere i propri diritti e quelli dei deboli. Li aiutiamo ad arricchire il proprio vocabolario attraverso la poesia. E non ultimo, diamo loro una motivazione fondamentale che li porta a battersi e ad impegnarsi: ovvero la dignità della giustizia sociale. In poche parole, lasciamo penetrare nei loro cuori e nella loro mente, il desiderio di una società più giusta in cui il loro stesso riscatto è possibile. Ed ecco che allora Borsellino, ma anche Falcone e tutti gli altri uomini che hanno combattuto per un ideale di giustizia, ci vengono in aiuto. Infatti è il loro esempio a guidare questi ragazzi nelle scelte quotidiane di fronte alle lusinghe e alle pressioni della mafia.

Suonare quindi in via D’Amelio il 19 luglio non è per loro uno spettacolo, non è un concerto, ma è una risposta, uno schiaffo alla mafia, allo stato inerte, alle antimafie che mirano al prestigio e al denaro, all’ipocrisia dei media che li ostenta, alle volgarità dei selfie e alle passerelle dei politici nelle commemorazioni. Per ognuno di questi bambini costituisce l’esito di un anno o anni di lotta contro un muro invalicabile che non solo la mafia ma anche la stessa antimafia sa ergere loro attorno, perché loro non fanno parte di un establishment o di un gruppo attorno al quale si costruiscono interessi economici, di corporazioni o di immagine. Significa testimoniare che non c’è bisogno di appartenere a nessun partito politico per far sentire i propri diritti. Significa  dimostrare che Borsellino e i suoi agenti di scorta hanno passato il testimone. E che possono essere salvati. Da chi? Da bambini come loro, con la stessa voglia di farcela che hanno loro, ecco da chi.

Ne abbiamo avuto prova anche al Duomo di Monreale dove, al mattino del 19, l’Orchestra ha voluto offrire un concerto a Paolo ed Agnese Borsellino e a tutte le vittime di mafia di questa città: Basile, D’Aleo, Morici, Bommarito e Giaccone. Qui, nella cornice di uno dei capolavori dell’arte che tutto il mondo ci invidia, i bambini hanno parlato di Agnese e di Paolo. Del Capitano Basile le cui indagini finirono nelle mani di Borsellino. E degli altri caduti di questa città. Il concerto ha radunato una folla di turisti incantati dalla musica dei ragazzi. Tutti hanno ascoltato in silenzio. Si sono emozionati quando abbiamo raccontato della dura battaglia che sta conducendo Di Matteo.  E alla fine si sono avvicinati per ringraziarli. Questo momento ha avuto un grande risultato di informazione e testimonianza in nome di Borsellino. Questa è l’antimafia che vince.

E certo non giova alla memoria di Paolo Borsellino la presenza di sigle sindacali, mi sia consentito rivolgere questa opinione sull’organizzazione di via D’Amelio, non una critica, ma un mio umile punto di vista che vuole essere costruttivo.

Non giova all’impegno contro la mafia in nome di Borsellino che un sindacato come la CGIL o il Siap sia presente perché non si pensi che la lotta alla mafia sia l’impegno di una parte politica dei sindacati.

Trovo importante il ruolo sociale che svolge La casa di Paolo, con i suoi bambini e i volontari che vi operano insieme a Salvatore Borsellino. A Salvatore, verso il quale nutro rispetto e ammirazione, vorrei rivolgere il nostro incoraggiamento, pur sapendo quanto dopo 24 anni sia difficile attendere e credere nella giustizia:  noi non smetteremo di chiedere verità e giustizia, non permetteremo alla parte deviata dello Stato di avere la meglio sulla parte sana. Non siamo gli unici a pensarla così. E continueremo su questa strada. Con i bambini, continueremo.

 

Alfia Milazzo