Michele Saccomanno, relatore dell’indagine condotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale sugli ospedali psichiatrici giudiziari , ha definito gli O..P.G. un “inferno organizzato” , aggiungendo di aver provato “orrore per l’aver creato come società, dei luoghi nei quali qualcuno ritiene di aver nascosto non ammalati psichiatrici ma mostri di cui vergognarsi”.
La tematica degli ospedali psichiatrici giudiziari ha generato, sin dalla loro nascita, dei risvolti quasi polemici e rivolti essenzialmente alla loro esistenza e alla loro organizzazione. Queste voci che da più parti si sono sollevate nei confronti di questi Istituti e hanno portato alla presa di coscienza della assoluta arbitrarietà di questi luoghi, che violano i diritti umani. Sono il frutto del famoso sistema doppio-binario, che prevede per i detenuti sani di mente, il carcere, per i soggetti con problemi psichiatrici e probabilità di ricommissione del reato, le misure di sicurezza, ossia l’internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Seppur nelle difficoltà di conciliare l’aspetto sanitario con quello detentivo, l’opg è entrato seriamente in crisi a seguito di una mutazione qualitativa , dovuta ai pochi investimenti e ai tanti tagli che hanno interessato l’apparato detentivo. Venuta meno la qualità di cura dei soggetti affidati a questi istituti, si è determinata una crisi di sistema, in parole povere, questi Istituti facevano fatica a produrre sanità autentica. La trasformazione avrebbe significato un grosso investimento di risorse, una riforma molto profonda, le cui caratteristiche si stanno provando a organizzare in questi in questi mesi, e in questi ultimi giorni, con notevole difficoltà.
Dal 31 marzo 2013, infatti, tutti gli O.P.G. d’Italia dovranno essere chiusi per sempre. Finalmente ci si è reso conto che così organizzati, questi istituti rappresentano la “vergogna”del sistema Giustizia in Italia e che, prima o poi sarebbero divenuti di dominio pubblico per la violazione di tutti i diritti dell’ uomo che in essa si compiono. Ci si è resi conto, che una soluzione va trovata anche per loro, per i folli rei . La soluzione al problema è arrivata. La chiusura pare essere la scelta migliore, in vista della creazione di strutture territoriali, ognuna per ogni Corte d’Appello, in cui la detenzione del malato di mente, verrà gestita in modi diversi rispetto a quelli conosciuti ad oggi . Benissimo, ma dire che il 31 marzo è dietro l’angolo è un eufemismo. E queste strutture che dovrebbero accogliere persone con gravi patologie mentali e in più, in misura di sicurezza perché considerati pericolosi … dove sono? Non sono state neanche progettate.
In questa fase avanzata della chiusura, ci dovremmo augurare che questa novità sia propedeutica ad una risoluzione definitiva del problema. Agli esperiti del settore, sorgono moltissimi dubbi in merito per diversi motivi che andremo a vedere.
Partiamo dalla considerazione che gli O.P.G. sono delle strutture molto complesse, che gestiscono persone affette da patologie psichiatriche diverse, per quadro clinico, per prognosi, per gravità, per possibilità di reinserimento, per posizioni giudiziarie diverse in base al reato commesso. Tutti hanno bisogno di un trattamento individualizzato che abbia come obiettivo il venir meno della pericolosità sociale.
Ma chi abita questi luoghi ?
Da un lato abbiamo gli infermi totali, ossia persone che hanno commesso reati nella condizione di incapacità di intendere e volere, giudicati pericolosi. Dall’altro abbiamo soggetti, che hanno commesso un reato nella condizione di parziale capacità di intendere e volere, i cosiddetti seminfermi.
Coloro che non hanno la capacità di intendere e volere, sono sottoposti a misura di sicurezza che va dai 2, 5 10 anni , mentre per i seminfermi la misura di sicurezza va da 6 mesi a tre anni.
Allo scadere della misura di sicurezza, sarà il magistrato di sorveglianza a stabilire, sulla base delle relazioni redatte dall’equipe dell’istituto, sia per gli infermi totali, che per i parziali, se la pericolosità è venuta meno del tutto e se il soggetto possa o meno ritornare nella società civile.
Qui sorge il primo grande e complesso problema che affligge nel profondo questi istituti e consiste nel fatto che spesso, la valutazione del magistrato è anche in relazione alla possibilità di trovare per questi soggetti delle strutture nel territorio alternative all’O.P.G., capaci di accoglierli e frequentemente i territori di riferimento, ne sono sforniti.
Sin’ora il risultato di questa carenza, si riassume in molti casi , nel rifiuto da parte del magistrato di sorveglianza a revocare la misura di sicurezza, e la tendenza a prorogare in attesa di trovare situazioni migliori. Queste soluzioni ottimali spesso richiedono tempo prima di essere trovate, tanto tempo, e nel mentre, si creano quelle situazioni paradossali che nel gergo vengono definiti “ ergastoli bianchi”, cioè quelle persone che entravano in O.P.G. per la misura di sicurezza minima e ci rimanessero per tutta la vita. Da un lato le famiglie che rifiutavano l’accoglimento dei soggetto e dall’altra l’assenza di strutture che assistessero in maniera adeguata il malato.
Il direttore dell’O.P.G. di Barcellona Pozzo di Gotto, il Dott. Nunziante Rosania in merito si esprime in tal modo : “Si tratta di un dramma nel dramma, perché molto spesso abbiamo l’impressione come operatori di sequestrare le persone”.
Ma queste due categorie di ospiti degli O.P.G., non sono i soli.
Accanto a questi, ci sono i detenuti in misura di sicurezza provvisoria, provenienti dal carcere, in attesa di giudizio. Sono persone che vengono dichiarati non gestibili dai Presidi Sanitari Psichiatrici territoriali e rimarranno in O.P.G. fino alla celebrazione del processo. Accade non di rado che le fasi di giudizio vengano rinviate più e più volte, con il risultato che queste persone rimangono ristrette per anni. Sono persone completamente dimenticate, che rimangono in questa posizione anche per 7 – 8 anni. Il record di permanenza in O.P.G. fu battuto ad Aversa, pensate che un signore ci rimase in quella istituzione per 52 anni.
Ma non è finita qui. Ci sono ancora altre persone. Ci sono i detenuti riconosciuti responsabili dei reati a loro ascritti e ad essi è stata comminata una pena detentiva, cioè condannati da sani di mente, però nella fase di esecuzione pena, quando erano in carcere, è sopraggiunta una malattia psichiatrica incompatibile con il regime detentivo ordinario. Sono i cosiddetti osservanti, che rimangono in O.P.G. generalmente per un mese, prolungabile a due mesi, in cui l’equipe valuta la condizione psichiatrica di questi soggetti
Alla fine dell’osservazione, se la loro condizione psichica lo consente, rientreranno in carcere. Può spesso succedere che, a causa della loro condizione psichiatrica, debbano continuare a scontare la propria pena all’interno dell’O. P.G. per infermità sopravvenuta. Gli osservanti, ha differenza degli internati, non rischiano di rimanere per tutta la vita in O.P.G, poiché quando arriva il fine pena, debbono essere dimessi, indipendentemente dalla condizione psichiatrica in cui si trovano.
Infine, sono presenti in questi istituti anche i cosiddetti minorati psichici , definizione che probabilmente inorridire fa la moderna psichiatria. Si tratta dei detenuti incapaci di adattarsi all’ambiente carcerario, spesso giovani, con gravi disturbi di personalità, che in carcere ne combinano di tutti i colori, perennemente in conflitto con gli altri detenuti e con il sistema carcerario. Entrano in carcere per reati bagatellari e pian piano diventano criminali di lungo corso.
Sono questi gli ospiti di questi istituti e attorno a loro ruota la polemica. Cos’è che deve prevalere, la difesa sociale o al centro della strategia riabilitativa deve porsi l’uomo malato e quindi far prevalere un sistema di cura e trattamento individualizzato? Sin’ora abbiamo pensato ad inscatolare questi soggetti ed ad escluderli dal civile consesso.
La ricerca di soluzione che fossero frutto di una mediazione tra sistema penale, medico , giuridico, non è stata trovata anche se fortemente richiesta. È come se quelle 1.428 persone non esistessero affatto. Probabilmente il problema è di tipo economico. Un internato, costa alla cosiddetta società civile 50 euro al giorno, mentre un malato di mente , affidato ad un centro territoriale , al sistema sanitario, costa almeno 160 euro. Si capisce il perché i problemi che affliggevano gli O.P.G, non sono mai stati superati .
Il dramma degli ospiti degli O.P.G. e anche un dramma per gli operatori . I tempi dettati dal decreto di chiusura di questi istituti sono tempi strettissimi a monte di tanti problemi già esistenti.
Sarà letteralmente impossibile chiudere gli O.P.G. entro tale data trovando contemporaneamente soluzioni adeguate per tutta la casistica presente negli istituti e soprattutto per quella parte più impegnativa dal punto di vista psicopatologico per le quali andranno trovate strutture sanitarizzate, che non ci sono. Ogni regione dovrà provvedere per conto proprio alla creazione di strutture alternative all’OPG. Siamo davvero arrivati al momento della svolta definitiva ? andremo davvero oltre questa strepitosa contraddizione?
Lo stesso direttore dell’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto sottolinea che queste realtà sono dei sensori di come funziona un sistema sociale. Se non riusciamo ad assicurare quelli che definiamo gli ultimi della società, dando la possibilità di avere altre possibilità, vuol dire che c’è qualcosa che non va..
Tutti auspichiamo che la Giustizia garantisca in primis la certezza della pena ma in condizioni di dignità umana. Questo è un problema che riguarda primariamente l’amministrazione della Giustizia…va ripensato tutto il sistema.
L’O.P.G., così come il carcere , è l’esempio del fallimento della società, che per gestire le diversità , da vita a dei luoghi che hanno la fisionomia di discariche sociali.