Le nostre arance non le vuole piu’ nessuno

Di Tonino Cafeo

 

Un uomo anziano e uno più giovane chiacchierano sereni,  seduti su un muretto sotto una vecchia quercia, alla luce delle prime stelle, dopo una lunga e calda giornata estiva.

Parlano della campagna , dei vigneti, delle colture che si facevano e non si fanno più, dello stato che si presenta solo come esoso esattore o protettore di affaristi, appaltatori, generali  stranieri.

L’uomo anziano fa l’agricoltore e racconta con un certo orgoglio delle lotte di suo padre e dei suoi compagni per la terra, ed anche delle sue. “Abbiamo bloccato lo stretto di Messina” dice “per difendere il nostro lavoro”. Quello che ascolta e ogni tanto annuisce sono io, venuto nelle campagne di Niscemi, insieme a lui e ad altre quattro-cinquemila persone per contrastare ancora una volta , con un’azione diretta e pacifica, la costruzione delle antenne del Muos, il sistema di comunicazione satellitare che utilizza le microonde per mettere in connessione sofisticati mezzi di guerra e trasforma così un lembo bello e dimenticato di Sicilia in una  potenziale fabbrica di malattie e in avamposto delle guerre globali del ventunesimo secolo.

Intorno a noi la pace e il silenzio delle serate isolane. A qualche chilometro, invece, le donne , gli uomini e i ragazzi che hanno marciato insieme a noi, vanno sereni e determinati oltre i cancelli e i fili spinati che separano la sughereta dagli impianti militari e “liberano”  i compagni che hanno passato la notte precedente sui tralicci alti e affusolati degli impianti radio della marina degli Stati Uniti. Poi, tutti insieme, si torna indietro per una volta vincenti e felici.

L’immagine più bella, quella che resterà, della giornata del nove agosto alla fine è questa. Gli spintoni degli agenti dei reparti antisommossa, le manganellate- poche in verità- l’elicottero che vola basso e le nuvole di lacrimogeni sbiadiranno presto, come pure i litri di inchiostro- reale ed elettronico- sprecati ancora una volta per “spiegare” a chi è rimasto a casa quanto “barbari” e “violenti” e adesso, nelle parole dell’improbabile presidente della Regione, persino “mafiosi” siano quei cittadini che rifiutano di essere trattati come cavie o come comparse in un film di guerra.

Nessun “insurrezionalista”, però,   venerdì,  ha “rovinato la festa”  di nessun altro, e i “mafiosi” avevano il volto sereno delle mamme NoMuos, ancora una volta in prima fila, disposte a rischiare di farsi male per affermare un principio che sentono giusto. L’odore di napalm al mattino, quello che piaceva tanto all’ufficiale pazzo di Apocalypse now, è rimasto nella fantasia di cronisti troppo abituati a sovrapporre i propri schemi alla realtà, fino a farla sparire, oppure, più brutalmente, a  raccontarla come vuole il proprio editore.

Anche i tutori dell’ordine sono sembrati piuttosto svogliati nel fare il loro abituale lavoro. Forse stanchi per aver passato gran parte delle scorse settimane a inseguire e ammanettare i ragazzi del presidio permanente e a perquisire le case degli attivisti no Nuos alla ricerca di inesistenti prove di chissà quale attività criminale, hanno agito -come suol dirsi- al minimo sindacale,  limitandosi al tentativo di respingere l’ondata impaziente di cittadini che alla fine si è potuta riappropriare di ciò che le è stato sottratto da chi ha messo gli interessi geostrategici di una grande potenza al disopra del diritto di tutti alla salute e alla convivenza pacifica.

“ Le nostre arance non le vuole più nessuno”. Continua l’agricoltore di prima. E nel dirlo sembra quello stesso contadino che parlava di alberi e frutta andata a male in Conversazione in Sicilia di Vittorini. Da allora sembra cambiato tutto e niente. Navi nello Stretto ce ne sono sempre meno e le tasse pagate tornano sempre  indietro in basi militari e manganellate. Ma quando arrivano i ragazzi variopinti scesi dalle antenne ci guardiamo negli occhi accennando a un sorriso. Forse , da oggi,  tutto ciò non è per sempre…

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