Forse tutti siamo investiti dallo stesso sogno, dall’attesa di un raggio di sole, da qualcosa che frantumi lo stato di assuefazione che ricopre la città di Messina. Quel qualcosa la poetessa messinese Maria Costa l’ha ritrovato nelle sue poesie, nei suoi ricordi, ma soprattutto in quella casa modesta, semplice ed essenziale allo stesso tempo sospesa tra cielo e mare.
“La mia era una casa di scribacchini – racconta- e io ho passato una vita intera a scrivere e ad annotare. Spesso mi hanno chiesto come si diventa poeti. Ma io credo che questa sia una dote innata. Credo che il poeta è un po’ anche un profeta capace di vedere più in là”.
Ma nella casa assorta a musa ispiratrice, il Parnaso come l’avrebbe chiamato Callimaco, irrompe la tradizione marinaresca sia negli oggetti attaccati alle pareti sia nei profumi di questo borgo marinaro che, in un tempo non assai remoto, era un centro vivido popolato da uomini e donne che ogni giorno calavano le reti e vivevano del pescato. Un tempo che ha ceduto lo spazio al silenzio e alla mancanza di riferimenti tradizionali e locali che rendevano non certo migliore ma sicuramente più speranzoso lo sguardo verso il futuro. “Coppa i mariggiati assai ni’ subbia ma furu sanati ca duci puisia” recitano della parole impresse su muro della stessa poetessa che meglio di altre restituiscono la forza risanatrice della forza poetica .
Forza che più in generale per la Costa è insito nel popolo siciliano: un popolo sventurato che tra le sue mille sfaccettature dalla coppola ai cannoli, racchiude il desiderio di risorgere: “ La fame, lo stento e la fatica. Sono queste le l’immagini della Sicilia- afferma con veemenza la Costa- che mi punzecchiano di più. Il popolo siciliano per me è caro però quando si incazza nesci fora du bucali. Ma io penso che un giorno a passi e passetti anche la nostra città raggiungerà la vetta e arriverà dove tutto è fratellanza e pace. Io me lo auguro dalle radici del cuore. Non può durare così perché c’è un detto che dice “bon tempu e malu tempu non dura tuttu u tempu”.
Si mostra compiaciuta la poetessa messinese quando ci racconta che molte televisioni estere sia russe che tedesche in questi anni hanno affollato casa sua per raccontare la sua parabola artistica ma il pensiero che più la inorgoglisce è l’ultimo lavoro che l’ha vista protagonista nel cortometraggio “Come le onde”del regista messinese Fabio Schifilliti che ancora una volta ha permesso attraverso lo schermo cinematografico di consacrare questa personalità che è considerata dall’Unesco tesoro umano vivente .
Il rammarico più grande però è che i problemi agli occhi non gli permettano più di scrivere e declamare i suoi versi come faceva prima e come fa ogni volta che qualcuno la va a trovare, aprendo i testi poetici che da anno ormai hanno entusiasmato linguisti, antropologi, studiosi di cultura popolare ma anche semplici cittadini che amano abbandonarsi in queste storie locali che un tempo si tramandavano di padre in figlio:” L’ultimo libro che ho scritto si chiama Albero Maestro- ha detto infine Maria- i fatti sono tutti veri e non mancano riferimenti storici puntuali e particolari come lo sbarco degli angloamericani. Allora ero una ragazzina, ma di quel periodo mi è rimasta impressa la figura di un soldato che finì la sua” guerra” salutando la fine della sua vita dicendo addio alla sua fidanzata messinese. E’ un piacere per me raccontare questi ed altri frammenti della nostra Messina”.
Maria Costa attende la rinascita della città dello stretto. La rinascita, secondo lei, dovrà avvenire ritrovando il sapore della fratellanza e la riscoperta delle cose semplici, rinunciando a tutto quello che è superfluo.