Lotta alla dislessia: in prima linea l’Istituto Comprensivo “Vittorini” e l’istituto Nautico di Messina

Perché ho confusione nel distinguere le lettere dell’alfabeto “d” e “b”? Perché sbaglio nei calcoli più semplici? Queste sono solo alcune delle domande che dovrebbe porsi un bambino di sei – sette anni se incontra difficoltà nella lettura o nelle operazioni matematiche. Per via della stessa giovanissima età, il bimbo non sempre si accorge di avere un problema. Eppure questo problema   prende il nome di DISLESSIA e diventa sempre più frequente nella prima età scolare. Inoltre capita sempre più spesso che chi ne è affetto non viene trattato con le terapie più corrette. Per questo l’Istituto comprensivo “E. Vittorini” e l’Istituto Nautico “Caio Duilio” di Messina hanno avviato una campagna di prevenzione e diagnosi per i ragazzi dislessici.

Ogni scuola si sta muovendo attraverso il proprio referente che si è trovato coinvolto direttamente   in casi di dislessia. All’Istituto Vittorini, se ne occupa la professoressa Grazia Rita Restuccia, docente di lettere nella scuola media. Al Nautico la professoressa Elisa Venuti, anche lei insegnante di lettere. Entrambe hanno interpellato operatori esterni alle scuole perché, per affrontare la dislessia, viene richiesta una specializzazione in neuropsichiatria o pedagogia. Non si tratta infatti di un handicap – dicono gli esperti – ma di un disturbo dell’apprendimento che va preso nei tempi giusti. Una volta oltrepassata una certa età, il recupero viene compromesso. Entrambe le scuole si sono affidate alle dottoresse Tiziana Calarese, neuropsichiatra infantile e Rosa Grosso, psicopedagogista. Il Nautico ha l’ulteriore consulenza esterna della dottoressa Eva Germanò. Entrambe le scuole pagano con i propri fondi questa assistenza specifica perché la Regione non ne può elargire.

Le docenti “NO DISLESSIA” che hanno anche una formazione di pedagogiste stanno cercando di individuare i casi che si presentano tra i loro iscritti. Per gli allievi dell’istituto superiore, si tratta di non fare peggiorare i casi già conclamati.

“E’ importante scoprire questo disturbo nell’età infantile, all’epoca della 2°-3° elementare – spiega la prof.ssa Restuccia. Dopo la terza elementare, se permangono quegli ostacoli nella lettura, nella scrittura o nel calcolo, saranno evidenti rispettivamente i problemi di dislessia, disgrafia o discalculia. Qui, siamo riusciti ad organizzare un vero e proprio screening all’interno della scuola creando un campione consistente di alunni, circa un centinaio distribuiti tra le prime classi della scuola secondaria di primo grado e tutte le seconde della scuola primaria. Un centinaio corrisponde a coloro che hanno avuto l’autorizzazione della famiglia – sottolinea la Restuccia – perché una delle barriere che circondano la dislessia è la mancata accettazione da parte dei genitori dell’esistenza di questo disturbo. Preferiscono pensare che il disturbo sia passeggero, un fattore d’età e che riconoscerlo nel proprio figlio amplificherebbe il suo disagio nei confronti dei compagni. Quindi noi come istituzione non solo dobbiamo sopperire alla carenza di strutture adeguate alla cura di questo problema ma dobbiamo combattere anche contro la reticenza dei familiari. Questi infatti sono preoccupati dall’accostamento degli specialisti ai propri figli e hanno frainteso il significato del loro intervento pensando si trattasse di una visita medica e non dell’apprendimento”.      

Dello stesso parere è la professoressa Venuti che ha rivolto obbligatoriamente il progetto del Nautico dal titolo “Insieme per sconfiggere i disturbi di apprendimento” solo alle prime classi dell’Istituto.  “Non c’è partecipazione da parte dei genitori – riferisce la docente. C’è tanta ritrosia. Alcuni hanno paura persino di ammettere il problema pur avendo già avuto in passato la diagnosi di dislessia. Nella scuola superiore dunque arrivano gli studenti che non sono stati compensati negli anni precedenti. Sono i più irrequieti, i più disattenti, vengono presi in giro dai coetanei se manifestano problemi nella lettura. Questi ragazzi potrebbero essere persino a rischio di dispersione scolastica. Tutto questo perché? – si chiede la Venuti. Perché la scuola non è stata in grado di fornire il materiale adeguato al loro recupero. Eppure l’istituzione Scuola ha il dovere di formare gli alunni secondo le proprie specificità. Bisogna sensibilizzare le classi al problema che si può paragonare al “mancinismo”: chi ne era affetto veniva ghettizzato e traumatizzato con provvedimenti incredibili come quello di legargli le mani. La dislessia come il mancinismo è una disabilità che si può recuperare senza conseguenze”.             

In entrambi gli i plessi scolastici, l’anno scorso, è stato effettuato un corso di formazione rivolto ai docenti e coordinato dalla dott.ssa Antonella Galliano del Policlinico Universitario. L’iniziativa non è stata particolarmente sentita e quindi poco partecipata. Importante però il tentativo della scuola “Vittorini” di coinvolgere la scuola “Beata Eustochia” che ha aderito parzialmente.             

Questo dunque è il primo anno che si adopera lo SCREENING sia alla “Vittorini” sia al Nautico  che diventano così istituti pionieri di questa campagna di prevenzione. Il progetto si articola tra dicembre 2009 e gennaio 2010 per poi lasciare alle strutture sanitarie idonee il compito di eseguire la terapia indicata dalle specialiste delle scuole.

Lo screening invece viene somministrato dalle docenti referenti del progetto durante le ore di attività scolastica ed è formato da test standard quali lettura, dettato, scrittura e calcolo. Inoltre, “l’esame viene realizzato singolarmente – spiega la professoressa Restuccia – in posti adeguati come la sala-professori. I casi riconosciuti nella nostra scuola che possiedono una diagnosi sono circa 10 su 100 quindi il 10%: qualcosa in più rispetto alla media statistica. E’ necessario ricordare che i ragazzi dislessici hanno un quoziente intellettivo superiore alla norma ma devono essere trattati con i canali di apprendimento diversi dagli altri quali il canale uditivo grazie all’utilizzo di libri-CD, maggior tempo per fare i compiti e l’utilizzo di calcolatrici, strumenti dispensativi per i discalculici”. “In particolare – continua l’insegnante di italiano – tra le prove spiccano la lettura di non parole e il dettato di non parole ovvero una successione di vocaboli senza un significato logico dove i soggetti dislessici possono confondersi maggiormente, ma c’è anche il conteggio di elementi grafici e il calcolo scritto”. Una volta superato lo screening, se si identificano casi di dlslessia, si organizzano incontri con docenti e genitori. Successivamente, i giovani pazienti verranno indirizzati verso una terapia riabilitativa mirata con esercizi.

“Attraverso i compiti si fa terapia – chiarisce Grazia Restuccia – una terapia che utilizza software predisposti. Peccato che non esistano strutture pubbliche destinate a questo scopo. L’unica è rappresentata da DISMED che svolge recupero pomeridiano. La scuola di certo non è attrezzata”.            

Pochi sanno, comprese le famiglie coinvolte, che esiste una legge che tutela i dislessici, la 122 datata giugno 2009: “qualora i genitori avessero diagnosi di dislessia e il consiglio di classe non intervenisse con gli opportuni strumenti – recita la legge – i genitori possono denunciare la scuola”.   

“Grazie a questa legge – aggiunge la professoressa Venuti – esiste un PERCORSO DIDATTICO SPECIFICO PER DSA, ovvero le linee guida che devono seguire i docenti di fronte a uno studente dislessico. In questo percorso, ci si deve avvalere di strumenti compensativi e dispensativi senza i quali è difficile raggiungere il recupero dei pazienti: tra i primi ci sono la tabella dei mesi e l’alfabeto, la tabella pitagorica, delle misure, delle formule, la calcolatrice, registratore, cartine geografiche e storiche, tabelle della memoria di ogni tipo, PC con programmi di videoscrittura con correttore ortografico, dizionari di lingua straniera computerizzata, cassette registrate che dovrebbero essere allegate ai testi mediante l’introduzione della Fonetica Scolastica. Quest’ultima è una risorsa che dovrebbe essere garantita dall’alto e a cui dovrebbero provvedere la case editrici pensando anche ai dislessici”.

“Analizziamo a parte – prosegue la Venuti – la voce di questa legge che DISPENSA gli studenti DISLESSICI DA CERTE PRESTAZIONI.

– Non si può dare lo stesso tempo degli altri per le prove scritte in classe.
– I compiti casa sono in forma ridotta e anche i libri di testo dovrebbero essere sintetici.                              
– Si dispensa dalla lettura a voce alta per evitare il disagio.

– Si dispensa dallo studio delle lingue straniere in forma scritta. Per legge i dislessici devono studiare una sola lingua straniera. Possono solo esercitarsi nello scritto per arrivare all’esame finale in cui è prevista sia la prova scritta sia orale”.    

“Attraverso questa legge – ribadisce la docente del “Caio Duilio” – i genitori possono rivalersi sulle scuole e quindi sullo Stato: basta diagnosticare i casi senza vergognarsene”.

La forza delle famiglie sta nell’associazionismo che, spesso, viene sottovalutato o non risulta credibile agli occhi di chi ha problemi seri da affrontare. La dislessia dovrebbe essere sostenuta dall’AID, Associazione Italiana Dislessici che però, sul territorio provinciale, non sembra molto presente. L’ultimo evento segnalato dal sito si riferisce a un congresso a Taormina che risale all’anno scorso.

Ci si chiede perché un’associazione che esiste da diversi anni e si prefigge di incoraggiare i genitori di soggetti dislessici non riesce più a promuoversi verso l’esterno. Perché non organizza attività di sensibilizzazione, perché non costituisce una rete urbana tra le scuole e regionale tra le province? Forse chi si è appoggiato finora all’AID merita risposte proprio in virtù di quei problemi familiari che dovrebbero unire e non allontanare e creare servizi di supporto per i ragazzi che potrebbero sviluppare un rifiuto per la scuola e la società se non vengono seguiti adeguatamente. 

Onore al merito delle insegnanti “NO DISLESSIA” della “Vittorini” e del Nautico insieme agli specialisti del settore reclutati. Ma non si può contare esclusivamente sulla volontà e sulla spinta emotiva – professionale dei singoli individui (per quanto qualificati siano) per sconfiggere un fenomeno come la dislessia. Bisogna fare crescere il concetto di sensibilizzazione al problema per allargarsi al territorio attraverso una realtà come l’AID che dovrebbe strutturarsi con raziocinio e con un sostegno organizzato se ha a cuore la salute collettiva e, soprattutto, il benessere dei bambini.