Macchine umane a Lampedusa

Lucidi e imparziali. I militari della Brigata Aosta sono stati protagonisti elle operazioni di soccorso a Lampedusa. In questa occasione hanno registrato un teatro di morte e orrore. Noi de ilcarrettinodelleidee abbiamo raccolto la testimonianza del colonnello Angelo Vesto di ritorno dall’isola di Lampedusa che ci ha accolto con la cortesia tipica del mondo militare e il profumo del caffè.

Intorno specchi, stemmi e anfibi sul parquet.

Freddo come un soldato fragile come un uomo. Quali sensazioni e stati d’animo ha vissuto l’uomo sotto la divisa?

Vivere in un contesto meridionale, e da soldato, e da uomo è qualcosa di eccezionale. L’ attività di controllo del territorio svolta dal 1992 con l operazione vespri siciliani, oggi con l’operazione strade sicure, ci ha permesso di stare a contatto con la gente, supportare le persone, per noi tutti è importante sentirsi ben voluti. Arrivai a Lampedusa domenica mattina, i miei soldati scaricavano le salme e mi allontanai, volevo rivedere la Lampedusa che conoscevo, ritrovai tanti visi noti e di altrettanti feci facilmente conoscenza. L’ isola conta 6.000 abitanti ed è abitata per un terzo, il resto è terreno roccioso. Dedito all’ esercito da sempre, credi d’essere abituato alla morte. In missione ne hai viste di cotte e di crude e la sofferenza è sofferenza sempre, non ha lingua, né razza, né religione, eppure confesso: quella domenica mattina in più di un occasione ho sentito la necessità di allontanarmi dal molo.

Sotto gli occhi miei e dei miei militari sono passate tutte le 350 salme vittime del naufragio, avevamo il compito di scaricare le motovedette e favorire l’operato della scientifica che effettuava il riconoscimento. Lì per forza di cose, stacchi la spina all’uomo e tiri fuori il soldato. L’uomo sente gli odori, percepisce le storie, il soldato opera in maniera meccanica, e così dev’essere. Il distacco regola non solo il nostro operato, anche quello dei vigili del fuoco, della croce rossa, della guardia di finanza come dei carabinieri, che hanno collaborato in maniera eccezionale per fronteggiare l’emergenza. Siamo addestrati a 360 gradi, sappiamo usare le armi e sappiamo dare supporto umanitario, laddove è necessario talvolta interviene l’uomo, talvolta il soldato.

La morte sta dentro una cerniera, ma come si affrontano i vivi? I superstiti, uomini, donne, bambini, sconfitti dal mare e dalla perdita dei propri cari.

Non ho avuto rapporto diretto coi superstiti, operavo lontano dal centro di accoglienza.

Ognuno di noi porta dentro cicatrici, dolori forti e vissuti particolari, ma credo fermamente che ogni uomo è una macchina. Una macchina studiata bene da chi l’ha creata capace di andare avanti e superare con forza e coraggio ogni tipo di situazione, se davvero lo vuole. Mi capitò di imbattermi in un gruppo di ragazzi superstiti del naufragio. Avrei voluto parlare del viaggio con loro. Non feci domande, nonostante fossero tutto sommato di buon umore. Chiacchierammo in inglese, li aiutai a ricaricare il telefonino e mi accorsi dai loro sguardi che forse stare li, avere a che fare con una realtà civile nettamente distante da quella da cui provenivano li aveva in qualche modo rasserenati; eppure quegli stessi occhi sere prima avevano visto cadere in mare i loro compagni di viaggio. Questo sabato tornerò a Lampedusa e ci tornerò con tutto un altro stato d’animo. Non troverò salme da recuperare ma bisognosi da aiutare. Mi da la forza di riattaccare la spina. Al mio fianco, psicologi e mediatori culturali supporteranno l’operato dei miei uomini.

 Ha avvertito mai un senso d’impotenza? Le è capitato durante i giorni trascorsi sull’ isola di avere un crollo psicologico, legato magari a un immagine particolare?

Sapevo bene quale era il mio compito e come svolgerlo. Un soldato non deve mai sentirsi impotente e dev’essere pronto ad affrontare pericoli ed emergenze. La sera però al telefono con mia moglie, quasi avevo timore a raccontarle, a rendere con le mie parole reale ogni scena vissuta, come se l’omissione di ciò che i miei occhi avevano veduto potesse tenerla lontano ancora un po’. Poi tornai, e le raccontai tutto. C’è un immagine che mi ha segnato e che mi porterò dentro per sempre: molte salme avevano le dita piegate a uncino, le mani atrofizzate come se volessero aggrapparsi a qualcosa, eppure li sotto c’era solo acqua, penso che volessero aggrapparsi alla vita.

350 morti sono anche un bel business, 350 bare rappresentano un affare non da poco. Ha avuto percezione di attività delinquenziali attorno alla morte di così tante persone?

Sono un uomo di legge, per costituzione e per pensiero, ma il mio dovere in questi casi è legato a ben altri aspetti. Indagherà chi di dovere.

Grande impegno da parte della Chiesa e dei suoi inviati, a partire dal vescovo di Agrigento  Mons. Montenegro fino parroco locale, la fede in molti casi si trasforma e diventa forza d’animo?

Ogni uomo di chiesa presente sull’isola ha supportato con la preghiera e la benevolenza operatori, forze armate superstiti e cittadini. E’ stato inviato l’elemosiniere del Papa proprio durante l’operazione di recupero, ha donato una tenda gioco per i più piccoli ed è stato accanto a noi infondendoci una carica emotiva non da poco.

Abbiamo ascoltato i racconti dell’uomo e le gesta del soldato. Forze armate e non, si sono prodigate per fronteggiare una grande emergenza, ma Angelo Vesto, cittadino dell’unione europea, crede che sia possibile impedire che questo tipo di eventi si ripetano?

Sono il portavoce della brigata Aosta e dell’esercito italiano, in quanto tale non posso permettermi di commentare e prendere posizione nei confronti dell’operato di altre istituzioni.

Fermo restando che rispetto a quella che è l’emergenza l’impegno messo da tutti è tanto.

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